Belladonna, proprietà, uso e controindicazioni

La belladonna ha proprietà spasmolitiche e broncodilatanti ed i suoi costituenti sono utilizzati per dilatare le pupille. Si tratta però di una pianta tossica e velenosa, non più utilizzata in erboristeria.

belladonna

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La belladonna è una pianta della famiglia delle Solanaceae, usata per la sua azione antispasmodica e broncodilatatrice.

 

 

Proprietà della belladonna

La belladonna ha proprietà parasimpatolitica (inibisce cioè la funzione del sistema nervoso parasimpatico) ed è dunque impiegata contro gli spasmi gastrointestinali e come anticolinergico, solo su prescrizione medica.


Tutta la pianta è infatti tossica, in particolare le bacche, per il contenuto di alcaloidi tropanici (scopolamina e atropina) molto pericolosi, che rappresentano, se così si può dire, il veleno della belladonna.

 

A cosa serve la belladonna

Le foglie della pianta sono utilizzate per il contenuto di atropina e scopolamina, principali responsabili degli effetti della belladonna.


L'atropina e la scopolamina sono infatti in grado di provocare:

  • Dilatazione delle pupille (midriasi) attraverso la paralisi del muscolo sfintere dell'iride. Da questa azione deriva il nome "belladonna", poiché in passato la pianta veniva usata proprio per dilatare le pupille e rendere lo sguardo femminile più seducente.


Gli alcaloidi presenti nelle foglie di belladonna hanno inoltre la capacità di ridurre le secrezioni salivari e gastriche e la produzione di sudore e di provocare il rilassamento muscolare di tutto l'apparato digerente, delle vie biliari, della vescica e dei bronchi.


La belladonna viene dunque usata in medicina per ridurre la secrezione acida e della motilità gastrica e favorire la cicatrizzazione dell’ulcera e per l'azione broncodilatatrice, utile per migliorare la ventilazione polmonare in caso di eccessiva secrezione bronchiale, in presenza di asma e bronchite


I preparati galenici sono usati per sedare la tosse, gli attacchi asmatici, la stitichezza e l'acidità gastrica. Esternamente si utilizzano contro emorroidi e ragadi, per l'azione analgesica.


A livello del sistema nervoso centrale, atropina e scopolamina a dosaggi elevati, determinano agitazione, tachicardia, allucinazioni, delirio e insonnia; a bassi dosaggi si ha invece azione sedativa.

 

Modalità d'uso

In medicina l'atropina isolata viene ancora usata come dilatatore di pupille e come miorilassante prima di interventi chirurgici.


Diffuso è anche l'uso della belladona in omeopatia, che la utilizza per problemi respiratori, febbre, convulsioni, infiammazioni, delirio e ipersensibilità al rumore e alla luce intensa.


Un tempo si utilizzavano anche la tintura di belladonna e l'estratto di belladonna. Oggi l'uso erboristico e fitoterapico di questa pianta è desueto poiché, trattandosi di una pianta velenosa, i rischi legati a questo rimedio superano i benefici.

 

Controindicazioni della belladonna

I preparati ottenuti dagli alcaloidi di belladonna sono considerati sicuri ai dosaggi terapeutici. Ad alti dosaggi si possono verificare diversi effetti collaterali tra cui tachicardia, secchezza delle fauci, costipazione.


Assumere la belladonna è controindicato in caso di:

  • Ipertiroidismo; 
  • glaucoma;
  • ipertofia prostatica;
  • insufficienza cardiaca;
  • gravidanza;
  • allattamento;
  • nei bambini.

Inoltre, la belladonna potrebbe interagire con antidepressivi,  antispastici e antistaminici. 

 

Quanto è velenosa la belladonna

La belladonna è una pianta tossica: l'ingestione delle bacche può causare nausea, vomito, tachicardia, secchezza delle fauci, dilatazione delle pupille, eccessiva sensibilità alla luce, ansia, delirio e convulsioni, fino ad arrivare al coma e all'arresto cardiocircolatorio.

L'intossicazione può avvenire in seguito al consumo delle bacche o di animali che se ne sono nutriti, ad esempio volatili e lumache.

La dose letale corrisponde a circa dieci bacche per gli adulti e due per i bambini.

 

Descrizione della pianta

La pianta della belladonnna è un'erbacea perenne che può superare il metro di altezza sviluppando un fusto semplice, eretto e robusto.

Le foglie sono alterne, ovali e a margine intero, lunghe fino a 15 cm,. Foglie e fusto sono ricoperti da una peluria responsabile dell’odore sgradevole emanato dalla pianta.

I fiori di belladonna sono campanulati, viola, isolati e pendenti mentre il  frutto è una bacca sferica, lucida e nera a maturità, che contiene i semi di belladonna.

Le bacche di belladonna sono la parte della pianta che presenta maggiore tossicità.

 

Habitat della belladonna

La belladonna cresce fra i cespugli e nelle radure dei boschi di latifoglie e nelle zone montane e submontane dell’Europa centrale, Africa settentrionale ed Asia occidentale. In Italia la si può trovare nei boschi delle Alpi e degli Appennini.

 

Cenni storici sulla belladonna

"Mangiandosi il suo frutto fa diventare gli uomini come pazzi e furiosi, simili agli spiritati, alle volte ammazza facendo dormire fino alla morte." (P. A. Mattioli) 

I sintomi sono contenuti in una vecchia filastrocca inglese, che recita: “caldo come una lepre (febbre), cieco come un pipistrello (dilatazione pupillare e inibizione dell’accomodazione), secco come un osso (blocco di salivazione e sudorazione), rosso come una barbabietola (congestione di volto e collo), matto come una gallina" (allucinazioni, eccitazione)

La pianta infatti venne chiamata Atropa, nome della Parca greca a cui era stato affidato il compito di stabilire la durata delle vite degli uomini, e porre fine alle loro esistenze, tagliandone il filo.

Il nome "belladonna" deriva dal gergo popolare veneziano cinquecentesco, e allude al fatto che il succo delle sue bacche veniva usato come cosmetico dalle donne, per la cura della pelle e per fare risplendere gli occhi. 

I frequenti avvelenamenti per ingestione delle bacche indussero i farmacologi del Settecento a sperimentare  le azioni da essa esercitate. Il primo a studiarne l'effetto prodotto sugli organi fu Berna Albrecht von Haller  che dopo aver analizzato gli organi notò come conseguenza patologie a carico del sistema gastroenterico e delle terminazioni nervose, ma non esitò a proporla come rimedio nel Parkinson, seppure a piccole dosi.

La spiegazione di questi effetti giunse verso la metà dell'Ottocento, quando fu isolato l'alcaloide atropina dalla belladonna.