Termovalorizzatore, cos'è

La gestione dei rifiuti è un tema molto divisivo per l'opinione pubblica, soprattutto quando si discute sulla costruzione di un termovalorizzatore. Cerchiamo meglio di capire come funziona questo impianto, in cosa si differenzia da un inceneritore e quali sono pro e contro a livello ambientale ed economico.

termovalorizzatore

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Potrà apparire impensabile ma per qualche settimana, nell’estate 2022, i rifiuti sono stati il tema caldo della politica italiana. Questo perché la promessa del sindaco Roberto Gualtieri di costruire un nuovo termovalorizzatore a Roma ha spaccato la maggioranza che sosteneva il governo di Mario Draghi, portando alla crisi di governo e quindi alle elezioni anticipate del 25 settembre. Ma come mai un termovalorizzatore è un tema così divisivo?

 

 

Cos'è un termovalorizzatore 

Semplificando molto, si può dire che i rifiuti possono essere suddivisi in due grandi categorie. Da un lato ci sono quelli differenziabili, come carta, vetro e plastica, che vengono conferiti – appunto – nella raccolta differenziata e lì riciclati.

 

Dall’altro lato ci sono i rifiuti indifferenziabili. Un termovalorizzatore è un impianto industriale che li brucia all’interno di un apposito forno. Così facendo produce valore che a sua volta aziona un motore a turbina che genera energia (turbogeneratore). Alcuni termovalorizzatori, i più moderni, riscaldano anche l’acqua che viene distribuita poi nelle case (è il cosiddetto teleriscaldamento). 

 

Differenza tra inceneritore e termovalorizzatore

A prima vista, il termovalorizzatore può essere confuso con un inceneritore. Entrambi infatti bruciano la frazione indifferenziata dei rifiuti, ma la differenza fondamentale sta nel fatto che il primo produce energia; il secondo, tendenzialmente più obsoleto, no.

 

Anche gli apparecchi di nuova generazione, tuttavia, hanno un loro impatto ambientale. La combustione dei rifiuti infatti in ogni caso genera ceneri e fumi; le specifiche tecnologie usate per filtrarli, che possono essere più o meno efficaci, determinano quanto inquinano i termovalorizzatori.

 

Oltre alle polveri sottili nocive per la salute umana, bisogna prendere in considerazione anche quanta CO2 emette un termovalorizzatore per ogni kWh di energia immessa in rete: anche in questo caso non esiste una risposta univoca, perché ciascun impianto è diverso dagli altri. Resta il fatto che un certo effetto climalterante è inevitabile. 

 

Quanta energia produce un termovalorizzatore

Per spiegare quanta energia produce un termovalorizzatore, il Libro bianco sull'incenerimento dei rifiuti urbani di Utilitalia prende come esempio l’inceneritore di Torino. Nel 2018 l’impianto ha trattato 530.040 tonnellate di rifiuti, producendo 399.111 MWh di energia elettrica. Immettendola nella rete di distribuzione nazionale al posto di quella generata attraverso i combustibili fossili, ha quindi evitato di emettere in atmosfera 212mila tonnellate di CO2.

 

Nel calcolo dei pro e dei contro bisogna prendere in considerazione anche quanto costa realizzare un termovalorizzatore. La risposta dipende dalle dimensioni dell’impianto, dalla tecnologia adottata e dal contesto in cui si inserisce: per il discusso impianto di Roma per esempio si parla di un investimento compreso tra i 600 e i 700 milioni di euro.

 

Termovalorizzatori in Europa 

Quanti termovalorizzatori ci sono in Europa? A dare una risposta è la Cewep (Confederation of European Waste-to-Energy Plants). La mappa aggiornata nel 2019 ne conta 499, per un totale di 99 milioni di tonnellate di rifiuti trattati, e non prende in considerazione gli impianti dedicati ai rifiuti speciali. Se ne contano 124 solo in Francia, 100 in Germania, 48 nel Regno Unito, 36 in Svezia e 30 in Svizzera. 

 

L’esempio a cui si ispira il sindaco di Roma è il termovalorizzatore di Copenaghen, celebre perché dista appena dieci minuti dal centro città ed è molto frequentato dalla popolazione, per la pista da sci collocata sul tetto. È vero anche però che, per via delle sue grandi dimensioni, l’amministrazione è costretta a importare rifiuti dall’estero per alimentarlo.

 

Termovalorizzatori in Italia

In Italia ci sono 37 termovalorizzatori, un numero che ha visto un calo nell’ultimo decennio. L’ultimo che è stato costruito, infatti, è quello di Iren Torino e risale al 2013: da allora ne sono stati chiusi altri 11. È quanto si legge in una mappa di Utilitalia (Federazione delle imprese di acqua, energia e ambiente) elaborata su dati dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).

 

Messi insieme, nel 2019 gli impianti italiani hanno trattato 5,5 tonnellate di rifiuti, generando 6,4 milioni di MWh di energia elettrica e 2,2 milioni di MWh di energia termica. 

 

La geografia è fortemente sbilanciata verso il nord Italia, con 26 impianti, di cui 13 in Lombardia e 7 in Emilia Romagna. Numeri che non hanno nulla a che vedere rispetto al centro e sud, rispettivamente a quota cinque e sei impianti.

 

Ne consegue la necessità di far viaggiare i rifiuti per smaltirli al nord, con ingenti costi economici e ambientali. Per la precisione, fa sapere sempre Utilitalia, nel 2019 i camion hanno percorso 62 milioni di chilometri in 108mila viaggi, portando a bordo 2,8 milioni di tonnellate di rifiuti. Così facendo, hanno emesso 40mila tonnellate di CO2, incrementando di 75 milioni di euro l’importo della tassa sui rifiuti (Tari).

 

Il termovalorizzatore di Acerra

Uno dei pochissimi termovalorizzatori al sud Italia è quello di Acerra, nel bel mezzo della cosiddetta Terra dei fuochi, in Campania. Nel 2021 l’impianto ha trattato quasi 733mila tonnellate di rifiuti, producendo 645 GWh di energia elettrica, pari al fabbisogno di 239mila famiglie. Attorno a esso sono sorti altri siti di smaltimento e trattamento dei rifiuti, alcuni dei quali finiti sotto inchiesta. 

 

Anche in questo caso, il tema è al centro di un’aspra polemica politica da quando il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, ha annunciato l’ampliamento con la costruzione di una quarta linea. Una dichiarazione su cui l’amministrazione stessa ha parzialmente fatto marcia indietro. Nel frattempo, la sezione di Napoli dei Medici per l’ambiente denuncia il fatto che la centralina per il monitoraggio della qualità dell’aria sia ferma da un anno.