Trivellazioni, cosa sono e cosa comportano per l'ambiente

Con la crisi dell’energia, anche in Italia si è tornati a parlare di trivellazioni in mare. Ma cosa sono le trivelle e quali rischi comportano per l’ecosistema?

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Da quando la guerra tra Russia e Ucraina ha scatenato un’emergenza gas, nel nostro Paese si è riacceso il dibattito sulle trivelle. Come spesso capita con gli argomenti di scottante attualità, però, spesso la cronaca si ferma allo scontro politico, dando un po’ per scontate le motivazioni. Cerchiamo quindi di fare un passo indietro spiegando da zero cosa sono le trivelle, quali sono le criticità ambientali e climatiche che portano con sé e in quali zone del nostro Paese ci sono giacimenti di idrocarburi ancora inutilizzati.

 

 

Trivelle, cosa sono

Visto che i giacimenti di petrolio e gas naturale (composto prevalentemente da metano) sono sottoterra, per sfruttarli è necessario perforare il suolo. Le trivelle, dette anche impianti di perforazione, servono proprio a questo: a seconda delle necessità e della tipologia di impianto, scendono da poche centinaia di metri di profondità fino a un massimo di 7-8 chilometri. Una volta creato il pozzo, diventa possibile estrarre gli idrocarburi. Le trivelle possono essere posizionate sulla terraferma oppure in mare, su piattaforme fisse oppure galleggianti; quando si sente parlare di trivellazioni offshore, ci si riferisce proprio a quelle al largo.

 

Referendum "no trivelle", il quorum mancato

Non troppo tempo fa, per la precisione nel 2016, gli italiani sono stati chiamati al volto per un referendum sulle trivelle. L’iniziativa è stata portata avanti – per la prima volta – non attraverso una raccolta firme bensì da dieci Regioni italiane, sulla spinta di alcune associazioni ambientaliste. Era un referendum abrogativo, con cui cioè si chiedeva allo Stato di cancellare una disposizione: nello specifico, l’articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, nº 152. 

 

Quest’ultimo consentiva di prorogare le concessioni per le estrazioni di idrocarburi fino all’esaurimento dei giacimenti, se tali concessioni erano già state rilasciate e riguardavano zone a meno di 12 miglia nautiche dalla costa. In parole più semplici, chi votava “sì” chiedeva di non rinnovare le concessioni attive, pur essendoci ancora idrocarburi da estrarre. Si è votato il 17 aprile 2016 ma l’affluenza è stata solo del 32,3%. Non essendo stato centrato il quorum, fissato nel 50% + 1 dei voti, il referendum è risultato nullo.

 

Il nuovo "Decreto Aiuti" quater, cosa prevede

Dopo il decreto legge aiuti di maggio 2022, il decreto aiuti bis di agosto e il decreto aiuti ter di ottobre, anche Giorgia Meloni ha proseguito sulle orme del suo predecessore Mario Draghi. Il consiglio dei ministri infatti il 10 novembre ha varato il decreto aiuti quater che propone le nuove trivellazioni in mare come mezzo per garantire l’autosufficienza energetica italiana e placare l’impennata dei prezzi del gas naturale.

 

Questa la frase che si legge nel comunicato stampa del governo: “Sono previste inoltre, al fine di incrementare la produzione nazionale di gas naturale, l’aumento delle quantità estratte da coltivazioni esistenti in zone di mare e l’autorizzazione di nuove concessioni tra le 9 e le 12 miglia”.

 

Crisi energetica ed emergenza gas in Italia

Nel 2021 l’Italia comprava dalla Russia 29 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno, cioè il 38% del suo fabbisogno. Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina e le relazioni con l’Unione europea si sono bruscamente interrotte, dovrà farne a meno.

 

Da subito il governo (prima guidato da Mario Draghi, ora da Giorgia Meloni) ha cercato di correre ai ripari in diversi modi. Da un lato ha riempito il più possibile gli stoccaggi (con gas – ironia della sorte – comprato sempre dalla Russia a prezzi esorbitanti), dall’altro lato ha stretto nuovi accordi commerciali con altri fornitori come Azerbaigian e Algeria.

 

Nel frattempo sono stati emessi centinaia di provvedimenti per autorizzare nuovi impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, anche snellendo la burocrazia per chi desidera installarli a casa propria.

 

Trivellare l'Adriatico per estrarre il gas

Un’altra strada che sembra piacere al nuovo esecutivo è quella delle trivelle nell’Adriatico. Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin parla di una quantità potenziale pari a 15 miliardi di metri cubi, da sfruttare nell’arco di dieci anni.  Tutto ciò con un vincolo: per i primi due anni il gas deve essere destinato al Gestore dei servizi energetici (Gse), percentuale che scende al 50% per i successivi otto. 

 

Trivelle e danno ambientale

Le trivellazioni pongono due grandi problematiche. La prima è di tipo ambientale: si tratta inevitabilmente di operazioni invasive che compromettono l’equilibrio dell’ecosistema. Spesso e volentieri, denuncia Greenpeace dopo un’analisi di decine di piattaforme presenti in Italia, i livelli di inquinamento nelle aree circostanti sono superiori ai limiti di legge. Il rischio di incidenti può essere ridotto grazie all’adozione delle tecnologie e procedure più avanzate, ma non può essere azzerato.

 

La seconda invece è legata all’emergenza climatica. Il metano ha un potenziale climalterante tra le 20 e le 30 volte superiore a quello dell'anidride carbonica (CO2), pur persistendo meno in atmosfera (tra i 9 e i 15 anni). Gli scienziati dicono a gran voce che dobbiamo abbattere fin da subito le emissioni di gas climalteranti, per mantenere il riscaldamento globale entro la soglia degli 1,5 gradi. Estrarre e usare gas naturale, dunque, appare come un controsenso.

 

Contrari alle trivelle: il fronte del no

Il piano per le trivelle nell’Adriatico ha scatenato una levata di scudi da parte di chi amministra le zone interessate, in primis il governatore della Regione Veneto Luca Zaia. Il timore è che le trivellazioni compromettano il territorio costiero veneto e, dunque, il fiorente settore del turismo. Preoccupa in particolare il rischio di subsidenza, cioè abbassamento dei fondali.

 

Anche l’ex-ministro dell’Ambiente Sergio Costa appare molto scettico. Pur ammettendo che le autorizzazioni partano seduta stante e che si riesca a estrarre tutto il gas, sostiene, il quantitativo è sufficiente per coprire il fabbisogno nazionale per circa due anni. “Poi staremo da capo a dodici, ma con un territorio distrutto. Sono dati certificati dai documenti del Ministero”, dichiara

 

A dire basta trivelle sono poi le organizzazioni ambientaliste e della società civile. Il comunicato congiunto diramato da Greenpeace, Legambiente e Wwf descrive la misura contenuta nel decreto aiuti come “nella sostanza un regalo alle industrie petrolifere estrattive, in primis all’Eni, mentre il vantaggio per le industrie energivore, annunciato dal Governo, appare essere del tutto marginale e sulla strada sbagliata rispetto agli impegni per la decarbonizzazione dell’economia assunti dall’Italia su scala globale dato che favorisce la fornitura e l’uso di una fonte fossile come il gas a prezzi agevolati”.