Fibromialgia, cause, sintomi e trattamento

Dolori continui, eccessiva sensibilità a tocchi anche leggeri, astenia, disturbi del sonno: sono i sintomi principali della fibromialgia, una sindrome che può derivare da molteplici cause. Scopriamo meglio i trattamenti, farmacologici e non.

fibromialgia

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Cos'è la fibromialgia

La fibromialgia è una sindrome caratterizzata da dolore diffuso e persistente, accompagnato spesso da affaticamento, problemi di sonno e concentrazione e sensibilità aumentata alla pressione e al semplice tocco. Spesso è difficile diagnosticarla, perché non provoca deformazioni nelle aree articolari né altre manifestazioni evidenti.

 

“Esistono tre tipi di dolore”, spiega Piercarlo Sarzi Puttini, reumatologo e professore ordinario presso l’Università degli Studi di Milano. “Il dolore nocicettivo è il dolore infiammatorio periferico che nasce dalla presenza di mediatori dell’infiammazione nella sede del trauma. Quando il paziente ha mal di denti o male al ginocchio per un trauma, si somministra un antinfiammatorio e il sintomo migliora”.

 

“Poi c’è il dolore neuropatico che interessa i nervi periferici o il sistema nervoso centrale, per esempio nella neuropatia diabetica e post diabetica”, continua. 

 

“Il terzo tipo di dolore è il dolore nociplastico, il cui modello è la fibromialgia. È dovuto a un’ipersensibilità dei nocicettori del dolore, del tatto e termici. Questi recettori periferici del corpo trasmettono uno stimolo che si percepisce come doloroso anche se non c’è un’infiammazione in atto. In sostanza, la soglia del dolore si abbassa”, chiarisce il professor Sarzi Puttini.

 

“Noi parliamo di allodinia e iperalgesia, cioè una sensazione di dolore che il paziente non dovrebbe avere, o un dolore che sente con un’intensità maggiore del dovuto. Questo meccanismo viene definito come dolore nociplastico: c’è nella fibromialgia, nella sindrome del colon irritabile, nella disfunzione temporomandibolare e nella vulvodinia. Tutte queste patologie, che una volta chiamavamo ‘funzionali’, nascono da questo problema: il nocicettore trasmette questo impulso come doloroso pur non essendoci una causa apparente”.

 

Esiste anche una Giornata mondiale della fibromialgia che cade il 12 maggio di ogni anno. L’obiettivo è quello di mantenere alta l’attenzione nei confronti di una malattia molto diffusa, ma ancora poco conosciuta e diagnosticata.

 

Tra i riferimenti utili per i pazienti italiani e le loro famiglie, inoltre, si possono citare:

 

Sindrome o malattia

Perché si parla di sindrome fibromialgica e non di malattia? Perché in medicina si parla di sindrome quando c’è un insieme di segni e sintomi che si manifestano insieme e che caratterizzano una particolare condizione. Questi segni e sintomi possono essere fisici, fisiologici, comportamentali o psicologici, e spesso si presentano in un modo riconoscibile e coerente.

 

Per fare un esempio totalmente diverso, la sindrome di Down è causata da una trisomia del cromosoma 21 e si manifesta attraverso un insieme di segni e sintomi caratteristici: la forma della testa, i tratti somatici, il ritardo nello sviluppo fisico e cognitivo, la bassa statura ecc.

 

Le possibili cause

Come esordisce la fibromialgia e cosa sappiamo delle sue cause? “Noi abbiamo costruito un modello biopsicosociale perché ci sono tantissime cause o concause della malattia”, risponde il professor Piercarlo Sarzi Puttini

 

“Innanzitutto è una sindrome che ricorre in maniera genetica: chi ha la madre fibromialgica ha 5-6 volte più rischio di contrarre la fibromialgia. È possibile che sia anche ambientale, favorita cioè dalla psicopatologia in famiglia”.

 

“Poi c’è un aspetto epigenetico. I nostri geni, in base alle esperienze positive o negative della nostra esistenza, aprono o chiudono delle porte e tramutano questo messaggio in un messaggio legato al sistema somatosensoriale. Ci sono soggetti con bassa resilienza o una bassa soglia del dolore perché magari hanno vissuto traumi nell’infanzia”.

 

La storia personale, spiega il professore, può avere un ruolo determinante. “Ci sono dei modelli familiari che si ripetono molto tra i fibromialgici. Il primo e il più comune è il doverismo: la famiglia non lascia al figlio la libertà di esprimersi perché è troppo legata al senso del dovere. Il secondo è la famiglia anaffettiva: i genitori non curano i valori reali dell’esistenza del figlio. Il terzo modello è quello della famiglia con abusi fisici, psichici o sessuali. Il quarto è la famiglia con ansia da prestazione”.

 

“Questi soggetti di norma durante l’adolescenza mostrano una bassa autostima e consapevolezza di sé. Nella prima fase della malattia, sono iperattivi: quando però il ‘motore’ che li tiene accesi con questo aspetto neuroendocrino si spegne, diventano fibromialgici. Questo può avvenire anche in età adulta, per esempio se hanno una malattia autoimmune o un tumore che persiste nel tempo”.

 

“Se si esaminano i soggetti con una febbre reumatoide e si valuta l’incidenza della fibromialgia, si arriva al 15-20%. Cosa significa? Che una malattia persistente infiammatoria può modulare la percezione del dolore anche per i i recettori che non sono strettamente correlati alla malattia stessa. Questo vale per molte malattie croniche, ma soprattutto per quelle autoimmuni. Una situazione dolorosa cronica da malattia periferica può, nei soggetti predisposti, sviluppare una fibromialgia concomitante”. 

 

Cosa significa questo, per il paziente e per lo specialista che lo ha in cura? “Significa che bisogna valutare la malattia, ma anche i sintomi che il paziente riferisce”, sottolinea il professor Piercarlo Sarzi Puttini. “Altrimenti, si cura la malattia, la si porta in remissione, ma il paziente continua a manifestare stanchezza e dolore. Il medico deve considerare la qualità della vita del paziente, non soltanto la risposta clinica”.

 

I sintomi principali

Come si intuisce dal nome (algia in greco significa dolore), il primo e più riconoscibile sintomo della fibromialgia è il dolore muscolo-scheletrico diffuso in tutto il corpo. Il paziente ha un’aumentata sensibilità agli stimoli ed è infastidito anche da tocchi leggeri. “Se invece il dolore è localizzato, come nella cefalea o nella vulvodinia, la diagnosi è definita dalla sede in cui il paziente prova più dolore”, precisa il professor Piercarlo Sarzi Puttini. 

 

“Tra gli altri criteri di diagnosi c’è anche la stanchezza (fisica o mentale) durante il giorno. Poi ci sono i disturbi del sonno: il paziente dorme in modo superficiale e dunque non riesce a rigenerare le energie, al mattino si sveglia stanco come se non avesse riposato. Il quarto sintomo è il disturbo neuro-cognitivo, detto fibro-fog: spesso i nostri pazienti hanno difficoltà nella memoria a breve termine o nella concentrazione”, continua.

 

“Accanto a questi quattro sintomi, troviamo anche aspetti psicoaffettivi come ansia e depressione. C’è inoltre un disturbo neuroendocrino che di solito è caratterizzato da una disfunzione del sistema nervoso autonomo simpatico, che tende a prevale rispetto al parasimpatico. È come se il paziente non si riposasse mai: per questo a volte è così affaticato. Può essere anche un disturbo nella secrezione di cortisolo: quando serve uno sforzo in più, il fibromialgico fa più fatica a estrarre energia dal suo corpo perché il cortisolo è prodotto a ritmo più lento o a concentrazioni minori”.

 

Il dolore diffuso e l’astenia

Il dolore della fibromialgia non ha nulla a che vedere con quello che si percepisce dopo un urto, un’ustione o un altro trauma comune. Innanzitutto è cronico, cioè non passa da solo: può semmai variare nel tempo, talvolta anche in relazione allo stress, alla carenza di sonno e alle attività fisiche svolte. 

 

Non tutti i pazienti descrivono il dolore allo stesso modo: c’è chi lo paragona a un crampo, chi a una scossa, chi a una pugnalata. Talvolta è gestibile, talvolta invece ostacola le normali attività della vita quotidiana.

 

L’altro sintomo neurologico tipico della fibromialgia è l’astenia, cioè una sensazione di costante stanchezza e spossatezza che non viene alleviata nemmeno dal riposo. La persona fibromialgica non riesce a fare sforzi che in altre situazioni sarebbero banali; è uno stato paragonabile a quello influenzale, ma non si esaurisce nell’arco di pochi giorni.

 

L’astenia è il sintomo che accomuna la fibromialgia e la sindrome da stanchezza cronica (CFS, dall’inglese chronic fatigue syndrome); in questo secondo caso però l’affaticamento è preponderante, mentre nella sindrome fibromialgica il sintomo caratterizzante è il dolore.

 

Altri sintomi della fibromialgia

Oltre ai sintomi principali, che abbiamo già descritto, chi soffre di fibromialgia può manifestare anche:

  • continui micro risvegli notturni;
  • bruxismo, sindrome delle gambe senza riposo e apnee notturne;
  • sensazione di gonfiore;
  • formicolii e bruciore;
  • sindrome dell'intestino irritabile;
  • dolore pelvico cronico;
  • rinite allergica;
  • vista offuscata e altri disturbi visivi.

 

I tender point

Il tender point in fibromialgia è uno specifico punto del corpo che risulta particolarmente sensibile al tocco. 

 

Per anni il principale test diagnostico della fibromialgia si è basato proprio su 18 specifici punti dolenti, disposti in modo simmetrico tra collo, spalle, petto, fianchi, gomiti e ginocchia. La diagnosi di fibromialgia veniva confermata nel momento in cui il paziente, oltre al dolore diffuso persistente da almeno tre mesi, provava dolore su almeno 11 tender point.

 

Questo metodo però ha dato adito a diverse critiche, perché ritenuto poco preciso e obiettivo. “Visto che le donne hanno una soglia del dolore più bassa, usando i tender point come criterio di diagnosi il rapporto tra maschi e femmine si attesta su 8 o 9 a 1. Usando altri criteri si scende a 3 o 4 a 1, un’incidenza più vicina alla realtà. Anche i maschi infatti possono essere affetti da fibromialgia ma, avendo una soglia del dolore più alta, di norma evocano i tender point soltanto se soffrono di forme molto severe”, spiega il professor Sarzi Puttini. 

 

Nel 2010 dunque l’American College of Rheumatology ha pubblicato i suoi nuovi criteri diagnostici che prendono in considerazione in modo più vasto i sintomi. Con un successivo aggiornamento del 2016, ha chiarito che – per parlare di fibromialgia – il dolore deve coinvolgere almeno 4 distretti corporei su 5.

 

La diagnosi 

Viene spontaneo chiedersi se esistano dei test o degli esami del sangue per diagnosticare la fibromialgia. “Per ora non c’è un biomarcatore per questa malattia. Non possiamo fare una risonanza magnetica e diagnosticare la fibromialgia: la diagnosi è sempre clinica”, risponde il professor Piercarlo Sarzi Puttini. “La risonanza magnetica funzionale, la spettroscopia o le tecniche di imaging cerebrale ci aiutano a capire cosa sta accadendo in questo paziente e di quali terapie ha più bisogno”.

 

Da quando è venuto meno il conteggio dei tender points, il medico sottopone al paziente le 19 aree del dolore, dando un punteggio secondo criteri clinici. “Se si raggiunge il punteggio del criterio di diagnosi, si ha una fibromialgia concomitante. Qualunque sia la malattia che la determina, bisogna trattare la fibromialgia separatamente da essa”.

 

Il trattamento 

Il professor Piercarlo Sarzi Puttini spiega che ci sono domini terapeutici per la fibromialgia:

  • Terapia farmacologica. “Attraverso antidepressivi, anticonvulsivanti e analgesici, cerchiamo di modulare una soglia di dolore più alta. Di solito questi farmaci funzionano al 20-30-40%. Una delle difficoltà tecniche, soprattutto all’inizio, è quella di modulare farmaci e dosaggio sulla base dei sintomi di quello specifico paziente”.
  • Area non farmacologica. “Più il paziente ha una buona massa magra, cala di peso (se necessario) e svolge regolarmente un’attività fisica come il nuoto o la camminata veloce, più alza la soglia del dolore. A si lega anche un corretto apporto nutrizionale, con un’alimentazione bilanciata e priva di alimenti a cui si è allergici e intolleranti”, continua il professore. “Nutrizione e attività fisica spesso sono più importanti dei farmaci: a volte sono sufficienti per stare meglio”.
  • Psicoterapia. “Ansia e depressione a basso dosaggio possono colpire più della metà dei pazienti ma, nel 15-20% dei casi, necessitano di un trattamento elettivo. Alcune malattie psichiatriche, come il disturbo bipolare o alcuni aspetti di psicosi, sono associati a un dolore intenso”, sottolinea il professor Sarzi Puttini. “Di solito iniziamo con la psicoterapia individuale, per poi creare dei gruppi di auto mutuo aiuto in cui i pazienti riescono a sentirsi meno soli”.
  • Integratori e farmaci per sintomi specifici. “Alcuni farmaci e integratori aiutano il paziente a stare meglio, intervenendo su aree come la fatica e il sonno. Ci sono tante tecniche utili, come l’ossigeno ozono terapia, l’EMDR, l’ipnosi, il nordic walking, ma tutte vanno valutate sul singolo paziente”, precisa.
    “È una terapia multidisciplinare da gestire a più mani. Cosa ancora più importante, i medici devono essere esperti di questa specifica malattia. L’approccio iniziale spesso è difficile, perché bisogna raccogliere la storia del paziente, soffermandosi anche su quei traumi e conflitti che apparentemente lui non ricollega con i sintomi fisici. Spetta al medico o al terapeuta il compito di ragionare con lui su come modificare la propria storia clinica”.

 

Il professore ci tiene a precisare una cosa: “Il 50% dei nostri pazienti è in fase di remissione. Grazie a una corretta alimentazione, all’attività fisica e a una terapia farmacologica modesta, queste persone magari non guariscono del tutto ma stanno bene. Noi medici siamo come allenatori: facciamo in modo che il paziente migliori la propria qualità della vita”.

 

“Le terapie croniche sono una condivisione tra medico e paziente. Questo è fondamentale. Il medico deve prendersi il tempo adeguato per spiegare in cosa consistono la malattia e le medicine da assumere; se il paziente non è consapevole di cos’ha, difficilmente seguirà la terapia in maniera coerente”, conclude il professore.

 

Riconoscimento e fondi 

Se è vero che il 50% dei pazienti – in presenza di una terapia adeguata – vede una remissione dei sintomi, c’è anche un 20-25% che risulta particolarmente refrattario ai trattamenti e quindi si trova a convivere con i sintomi. Per chi si trova in queste condizioni, il riconoscimento ufficiale della fibromialgia da parte dello Stato può fare una differenza. Ma a che punto siamo? 

 

“Quando si è riunita per aggiornare i livelli essenziali di assistenza (Lea), che erano fermi al 2017, la Commissione ha dato parere favorevole per l’inserimento della sindrome fibromialgica come malattia cronica invalidante”, risponde Giusy Fabio, vicepresidente di AISF Odv (Associazione italiana sindrome fibromialgica)

 

“Il decreto tariffe è stato approvato il 19 aprile 2023 e si applicherà a partire dal 1° gennaio 2024. Siamo a una fase conclusiva in cui attendiamo una risposta attraverso un decreto di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (Lea), che auspichiamo avvenga in contemporanea. Lo stesso ministero della Salute ha dato rassicurazioni in tal senso”.

 

“A livello politico c’è un grande interesse da quasi tutte le forze politiche per questa patologia. Con l’insediamento della nuova legislatura, sono stati presentati tanti disegni di legge soprattutto in Senato. Lì a febbraio è stata costituita una commissione per fare sì che da tutti questi decreti esca una legge unica che prevede l’inserimento nei Lea, la tutela lavorativa (per esempio con il telelavoro), formazione, il registro nazionale della fibromialgia e così via”, continua Giusy Fabio.

 

“Ad oggi, ci sono state diverse audizioni ma non sappiamo quali siano gli esiti di questi lavori. Continuano, purtroppo, le presentazioni di disegni di legge anche alla Camera. Dico ‘purtroppo’ perché è una situazione che va a complicare ulteriormente un quadro sul quale si sta già lavorando: si rischia solo di creare confusione, come è avvenuto nelle scorse legislature”.

 

“C’è da dire però una cosa importante sul codice esenzione. L’Istituto superiore di sanità nel 2018 ha chiesto uno studio multicentrico che ha stabilito i quadri di severità, in base ai quali verrà concessa l’esenzione. Bisognerà capire poi quali saranno le prestazioni che andranno in esenzione”, precisa Giusy Fabio. “Considerate le numeriche importanti, riteniamo che il problema principale sia di carattere economico”.

 

Qualche dettaglio in più sui fondi. “In legge di bilancio 2022 sono stati assegnati ben 5 milioni di euro per la diagnosi, terapia e ricerca della fibromialgia art.1 comma 972. Nel luglio 2022 il decreto ministeriale del 8 luglio ha sancito il diparto dei fondi a tutte le regioni secondo la densità demografica”, conclude Giusy Fabio.

 

“Aisf Odv ha lavorato e vigilato comunicando e incontrando tutte le regioni per assicurare che questi fondi venissero utilizzati. In ognuna di esse sono stati individuati centri di riferimento e proposte progettualità appunto per la diagnosi, terapia e ricerca della fibromialgia. Stiamo attendendo che arrivino i fondi”.