Tripofobia: significato e cura

Ci sono persone che non riescono a guardare un’immagine di un alveare o dei pori della pelle senza provare un istintivo senso di ribrezzo. In questi casi, siamo alle prese con la tripofobia, o paura dei buchi.

Tripofobia

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©Timothy Dykes/Unsplash

 

Cos'è la tripofobia

Cosa c’è di pericoloso nella foto di un alveare o di una spugna? Assolutamente nulla. Eppure, una percentuale non indifferente di persone non riesce a fissare immagini simili: distoglie immediatamente lo sguardo, provando un senso di angoscia e di disgusto difficile da descrivere. 

 

In questo caso siamo di fronte alla tripofobia, la paura dei buchi o, più in generale, di quei pattern composti da piccole forme geometriche giustapposte. Si tratta di una condizione estremamente comune che, nella maggior parte dei casi, provoca soltanto un occasionale fastidio; ma merita comunque di essere conosciuta meglio, proprio perché è così poco razionale. 

 

Le cause della tripofobia

Ci sono fobie, come per esempio quella dei cani o degli spazi chiusi, che scaturiscono a seguito di un trauma. Altre vengono involontariamente indotte durante l’infanzia: pensiamo per esempio a quei genitori ansiosi e iperprotettivi che mettono costantemente in guardia i loro figli da rischi che in realtà sono piuttosto banali, come quello di prendere un’influenza o di inciampare mentre corrono.

 

La tripofobia, di norma, non corrisponde a nessuna di queste casistiche. Gli studi condotti in merito ipotizzano che, piuttosto, si tratti di un primordiale meccanismo di autodifesa. La successione di buchi che tanto spaventa la persona tripofobica ricorda infatti la pelle di animali potenzialmente letali, come i serpenti velenosi, oppure le pustole che compaiono a seguito di malattie come il morbillo, la lebbra o il vaiolo.

 

Nel corso della storia, dunque, la nostra specie potrebbe avere introiettato l’idea per cui i piccoli buchi giustapposti corrispondano a un pericolo imminente. La reazione istintiva, dunque, è quella di mettersi in salvo.

 

Quali sono i sintomi

Quando vede un’immagine costellata di buchi, una persona tripofobica può reagire in vari modi:

  • istinto irrefrenabile di distogliere lo sguardo;
  • brividi;
  • sudori freddi;
  • palpitazioni;
  • respiro affannoso;
  • nausea;
  • vertigini.

 

In casi molto rari, l’individuo può sviluppare una forma di ansia anticipatoria al solo pensiero di poter vedere immagini che ritiene disgustose, evitando dunque le situazioni “a rischio”.

 

Tipologie di tripofobia

Esistono diverse tipologie di immagini capaci di fungere da trigger, cioè di innescare episodi di tripofobia. Ecco qualche esempio:

  • alveari;
  • spugne da bagno;
  • soffioni della doccia;
  • bolle di sapone;
  • melograni;
  • coralli;
  • fori in un muro di mattoni.

 

Si può provare tripofobia anche guardando un’immagine troppo ravvicinata della pelle, perché i pori risultano troppo visibili. La tripofobia non c’entra invece nulla con la paura dei piedi, che si chiama podofobia. 

 

Qual è la cura/rimedio

È opportuno fare un importante chiarimento: la tripofobia non è una vera e propria malattia classificata nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. La maggior parte delle persone che ne soffrono ha una vita perfettamente normale, con l’unico imbarazzo di distogliere lo sguardo da qualche immagine che inconsciamente percepisce come disturbante.

 

In quei casi limitati in cui la tripofobia arriva a incidere sulla vita quotidiana, è senza dubbio utile chiedere aiuto. Il primo approccio di cura per la tripofobia è la psicoterapia, perché può aiutare la persona a razionalizzare la propria fobia, invece di lasciarsi dominare da essa; in questo senso, anche le tecniche di respirazione e rilassamento possono tornare utili. 

 

Nei casi più gravi, la terapia può essere coadiuvata dai farmaci: questi ultimi vanno in ogni caso prescritti e monitorati da un medico, preferibilmente uno psichiatra.