Montagnaterapia: da ascesa fisica a percorso di salute

La montagna può avere anche un valore terapeutico: questo approccio si chiama montagnaterapia e ne possono beneficiare tante tipologie di utenti, dalle persone disabili a quelle impegnate in un programma di recupero dalle dipendenze.

Montagnaterapia

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Cos’è la montagnaterapia

La montagna è teatro di imprese straordinarie e talvolta estreme, come ben sa chi segue con il fiato sospeso le scalate dei grandi alpinisti. Ma non solo. La montagna è anche quell’ecosistema in cui ci si può sentire finalmente liberi, dimenticando i ritmi ossessivi e gli spazi soffocanti della città. L'ecosistema in cui lasciarsi cogliere dalla meraviglia di fronte alla natura, in confronto alla quale ci si sente minuscoli. L’ecosistema in cui mettersi alla prova fisicamente e psicologicamente, sempre però nel rispetto dei propri limiti e delle regole che la montagna stessa impone.

 

Non è un caso se la montagna può diventare anche un luogo di riabilitazione, prevenzione ed educazione. Questo approccio si chiama montagnaterapia, nasce negli anni Novanta e si sostanzia in una serie di attività in ambiente montano rivolte a persone fragili, progettate e condotte da personale esperto.  

 

A chi è rivolta la montagnaterapia

Come spiega Ornella Giordana, referente del Club Alpino Italiano (CAI) per la montagnaterapia, quest’approccio può portare benefici a diversi tipi di utenti:

  • persone con disabilità fisica, come non vedenti e persone a ridotta mobilità;
  • persone con disabilità cognitiva (“La montagnaterapia nasce dalla psichiatria, con risultati davvero inattesi”, racconta);
  • persone diabetiche, visto che il movimento fisico abbassa la glicemia;
  • donne operate di cancro al seno;
  • pazienti che hanno subito un infarto;
  • studenti delle scuole medie e superiori, in ottica di prevenzione dell’abbandono scolastico. 

 

Le attività della montagnaterapia

Nel concreto, dunque, come funziona la montagnaterapia? “Noi, come CAI, siamo contattati da operatori delle ASL, medici, psicologi, associazioni o cooperative che ci dicono: abbiamo un determinato gruppo di utenza che ha intrapreso un percorso, magari anche psicologico e farmacologico, e lo vorrebbe accompagnare con la frequentazione della montagna”, spiega Ornella Giordana. “A quel punto, ci sediamo a tavolino con gli operatori e definiamo insieme a loro le attività, tarandole sulle esigenze degli utenti. Sono sempre gli operatori professionali a valutare l’aspetto clinico-relazionale, monitorando gli obiettivi intermedi e finali”.

 

I numeri? Sulle cinquecento sezioni del CAI nel territorio italiano, circa 130 seguono anche progetti di montagnaterapia. L’attività più praticata in assoluto (nell’80% circa dei casi) è l’escursionismo, anche perché permette di approcciare in modo graduale l’ambiente montano, scegliendo percorsi che siano alla portata degli utenti (disabili e non). “Per il recupero dalle dipendenze può rivelarsi molto utile l’arrampicata, perché mette alla prova anche fisicamente a aiuta a costruire rapporti di fiducia”, continua Giordana.  

 

Il grado di difficoltà va valutato di volta in volta, perché dev’essere funzionale ai bisogni degli utenti. Così, ci sono gruppi in cui ci si dedica prevalentemente all’aspetto relazionale e altri in cui si ottiene qualche bella soddisfazione anche dal punto di vista alpinistico. Quello che conta è che “l’ambiente montano ha delle peculiarità e delle valenze uniche a livello educativo”, precisa Ornella Giordana. “Inizialmente capita spesso che le persone siano sedentarie e poco allenate, anche per l’uso di farmaci. Dopo il primo passo in montagna, però, si attiva una risposta fisica e mentale che dà davvero un grande ritorno. Non capita quasi mai che gli utenti abbandonino il progetto”.

 

Il raduno nazionale del CAI

Nel 2021 c’è stata anche l’occasione di celebrare e mettere in luce il lavoro che da anni le varie sezioni del CAI svolgono insieme alle persone disabili. Sabato 11 e domenica 12 settembre si è svolto infatti “A ruota libera”, il primo Raduno nazionale di escursionismo adattato in Val Parma, all'interno del parco regionale dei 100 Laghi.

 

Il CAI ha messo a disposizione alcuni ausili per le persone disabili: il più diffuso è la joëlette, una carrozzina monoruota che va seguita da almeno due accompagnatori, ma ci sono anche la e-handbike off road, per chi può sfruttare la propulsione delle braccia, e il tandem-mtb, per chi ha difficoltà visive. La partecipazione ha superato ogni aspettativa, con oltre trecento persone tra persone con disabilità motoria, non vedenti, accompagnatori e familiari, provenienti da tutta Italia. Tant’è che è già stato fissato il prossimo appuntamento da segnare in agenda: Domodossola, 10-11 settembre 2022.

 

Nel frattempo, svela Ornella Giordana, il CAI ha coinvolto tutto il mondo della disabilità (associazioni, medici, terapisti e Inail) per un grande lavoro di squadra: studiare l’accessibilità dei 90mila km di sentieri in Italia, per individuare e segnalare quelli adatti alle persone a ridotta capacità motoria.