Intervista

Insetti, alghe, cibi sintetici: i Novel food (presto) sfameranno l'umanità

Il cibo del futuro sarà molto diverso rispetto a quello che abbiamo imparato a conoscere: non tanto nel sapore, quanto nelle tecniche produttive. Oggi lo chiamiamo Novel Food ma è destinato a entrare presto nelle nostre abitudini a tavola e sarà una importante risposta alla domanda di cibo nel mondo. Ne abbiamo parlato con Riccardo Bottiroli, fondatore di Developeat.

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Succulenti plant-based burger che non contengono nemmeno un grammo di carne, bensì un mix di legumi, verdure e aromi; fragole ed erbe aromatiche che crescono in serre climatizzate con un apporto d’acqua ridotto al minimo, grazie al vertical farming; carne e pesce sintetici, coltivati in laboratorio senza bisogno di uccidere l’animale; insetti come fonti di proteine. 

 

Il cibo del futuro sarà molto diverso rispetto a quello che abbiamo imparato a conoscere. Non tanto nel sapore, quanto nelle tecniche produttive. Ai non addetti ai lavori potrà sembrare quasi un vezzo, in realtà alla base c’è una necessità molto seria: quella di nutrire in modo sano e sostenibile i 10 miliardi di persone che abiteranno il pianeta nel 2050. 

 

Ne abbiamo parlato con un esperto: Riccardo Bottiroli, dottore di ricerca in Scienze e tecnologie alimentari specializzato nello sviluppo dei cosiddetti “cibi del futuro” e fondatore di Developeat. C’è anche lui tra i relatori del ricco programma culturale di Fa’ la cosa giusta!, la fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili a Milano. L’incontro Fame di futuro è in programma nella mattinata di sabato 30 aprile 2022.

 

Cos’è Developeat?

Siamo un gruppo di liberi professionisti e supportiamo le aziende nella creazione dei cibi del futuro. Developeat è il brand con il quale ci proponiamo come consulenti alle imprese, soprattutto startup, perché è da lì che viene fuori la maggior parte dell’innovazione. Un’altra branca del progetto prevede di sviluppare internamente i prodotti e proporli sul mercato. Una parte importante del nostro lavoro consiste nell’essere in contatto con innovatori, produttori e fornitori.

 

Su quali settori vi focalizzate?

Siamo un hub di innovazione tecnologica focalizzato su alcuni settori:

  • Carne e latticini a base vegetale. Uno dei nostri clienti è un’azienda italiana che produce plant-based meat. 
  • Abbiamo da tanti anni un progetto sullo sviluppo di prodotti a base di insetti insieme a Small Giants, una startup inglese con fondatori italiani.
  • Un settore in cui lavoro personalmente è quello della carne in laboratorio. A livello biomolecolare l’ingrediente carne è esattamente lo stesso della carne tradizionale, ma le cellule tipiche dei muscoli animali vengono fatte crescere all’interno di bio-reattori. 

 

In questo modo riusciamo ad avere un approccio rivolto al mercato, attraverso attività di consulenza fatte con il cliente oppure nel nostro laboratorio qui in Olanda. Ma possiamo anche mettere a punto innovazioni tecnologiche da tradurre all’interno dell’azienda grazie a una collaborazione con un gruppo di ricerca dell’Università di Wageningen. Ci occupiamo sia di elaborare ricette, sia di ricerca e sviluppo degli step necessari per creare un nuovo alimento del futuro.

 

Possiamo fare un esempio di un progetto di successo?

Tra i tanti, mi sembra significativo quello di Small Giants, un’azienda che supportiamo fin dagli albori. Tolto il fattore disgusto, gli insetti sono un ingrediente eccezionale; non solo per il contenuto proteico, ma anche perché processandoli si ottengono oli e altri ingredienti funzionali. 

 

Inizialmente il focus delle prime aziende operanti nel settore era sull’insetto usato intero mangiato come uno snack, cosa che però creava un rigetto a livello culturale. Così noi abbiamo cambiato approccio, lanciando un cracker con una formulazione tradizionale (lievitata, con aromi naturali, di alta qualità) con il 15% di farina di grilli. Il consumatore quasi non se ne rende conto perché il sapore è quello di un cracker, ma l’apporto di nutrienti e proteine è importante. 

 

Il Regolamento Ue 2015/2283, in vigore dal 1°gennaio 2018, ha aperto la strada ai novel food. L’Europa ha dato il via libera a grilli domestici, tarme della farina essiccate e locusta migratoria. Cosa manca, dunque, per completare l’iter di approvazione?

L’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare) dà un’opinione scientifica che richiede un tempo variabile, perché dipende dalla tipologia di studi che verranno effettuati. Poi la palla passa all’Unione europea che deve dare un responso nell’arco di qualche mese; di norma conferma quello dell’Efsa. Durante il periodo di approvazione, ogni paese assume delle misure transitorie; l’Olanda per esempio è stata pioniera.

 

Il problema è che la legislazione va troppo lenta rispetto all’innovazione, e questo vale per lo sviluppo di qualsiasi prodotto a base di novel food: non solo gli insetti ma anche, per esempio, il mycelium, la tecnologia che sfrutta la capacità di crescita dei funghi per creare una struttura simile alla carne. Questo probabilmente nasce dalla volontà di tutelare il sistema alimentare europeo che è estremamente salubre. 

 

Così per esempio capita che l’innovazione sia a un livello molto avanzato ma i prodotti restino fermi in attesa del via libera. Nel mondo delle startup questo può essere un limite, perché le tecnologie costano e le imprese bruciano capitale ogni mese. Se non sono messe nelle condizioni di entrare nel mercato, non incassano abbastanza per poter continuare a investire.

 

Come si fa a vincere le resistenze culturali?

Molto spesso la tipologia di alimento va contestualizzata rispetto al periodo storico. Oggi l’idea di usare fonti proteiche alternative può sembrare inutile, ma un domani – con 10 miliardi di persone sul pianeta – sarà indispensabile per la sicurezza alimentare.

 

In futuro considereremo come “normali” alcune cose che oggi ci sembrano strane. Ne sono convinto. Oggi il latte vegetale interessa a una minoranza della popolazione (sebbene in alcuni paesi i consumi siano già notevoli). Un domani il latte vaccino sarà parte di un mercato più diversificato che comprende anche i latti vegetali e quelli realizzati attraverso la fermentazione di precisione o altre tecnologie simili. Per quanto possano essere innovativi, gli alimenti vengono valutati dai consumatori sulla base di due fattori: quanto è buono e quanto costa.

 

A proposito, quali sono i costi?

Il costo degli insetti è già calato, così come quello della carne in laboratorio; il primo hamburger sintetico, realizzato all’università di Maastricht, era costato 250mila sterline. Man mano che andiamo avanti con il tempo, l’evoluzione tecnologica corre sempre più veloce e il costo scende. Non sappiamo però quale sia il valore limite sotto il quale non può più andare. Detto questo, in un mercato più diversificato non è necessario che tutto costi pochissimo: in base al loro prezzo, prodotti diversi possono essere usati in modi diversi.

 

Qual è l’attitudine dei consumatori?

La questione alla base non è solo tecnologica ma è legata, anche e soprattutto, al comportamento dei consumatori. Oggi il problema non è che tra dieci anni berremo latte da colture cellulari. Il problema è che un ananas può essere coltivato in Sudamerica, impacchettato in Thailandia e consumato in Europa. La sostenibilità è un concetto complesso che abbraccia la dimensione ambientale, etica ed economica. 

 

Quando mi dicono che le tecnologie distruggono quello che abbiamo creato, rispondo due cose. La prima: cosa significa etica? È più ributtante l’idea di mangiare un petto di pollo cresciuto in laboratorio, in un ambiente salubre controllato, oppure mangiare il petto di un pollo che nasce, cresce e muore nell’arco di trenta giorni, sempre rinchiuso in una gabbia?

 

La seconda: nella nostra storia abbiamo innovato tantissimo ma ci basiamo ancora su un’equazione che potrebbe essere sorpassata, quella per cui dobbiamo allevare un animale e ammazzarlo per consumare la sua carne. Proprio come nella preistoria, seppure con un’efficienza maggiore. Secondo me c’è lo spazio per migliorare. Non vado a dire a nessuno di adottare una dieta vegana ma di mangiare responsabilmente, il che significa anche rendersi conto di come vengono prodotti gli alimenti a base animale.

 

La tecnologia è una parte, ma tanto passa dalle scelte singole dei consumatori. Una soluzione virtuosa in termini di sostenibilità è quella di seguire una dieta mediterranea, con la filiera più corta possibile e saltuari alimenti di origine animale. Ben venga, poi, se questi ultimi possono essere parzialmente sostituiti dalle nuove tecnologie.