Le piante dimenticate nei ricettari monastici: un patrimonio da riscoprire
Durante il Medioevo, furono gli Ordini monastici a preservare la conoscenza e l'uso delle piante officinali, alcune delle quali oggi quasi del tutto dimenticate

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- I ricettari monastici: storia e valore culturale
- Le principali piante usate nei monasteri
- Perché molte di queste piante sono state dimenticate
- Cosa possiamo riscoprire oggi
I ricettari monastici: storia e valore culturale
L’uso delle piante a scopo curativo accompagna l’uomo praticamente da sempre ma, durante il Medioevo, la pratica di curarsi con le erbe venne quasi completamente abbandonata.
In quel periodo furono gli Ordini monastici a preservare l’uso e la conoscenza delle erbe. Benedettini, cistercensi, certosini e francescani si presero l’onere di copiare e tradurre testi antichi oltre che coltivare orti botanici, sviluppando quella che divenne poi nota come medicina dei semplici.
Ancora oggi, all’interno di Certose e Abbazie, si trovano orti di erbe officinali, oltre a ricettari erboristici e prodotti per la salute come tisane, tinture e amari.
Le principali piante usate nei monasteri
Tra le piante coltivate e usate nei monasteri troviamo quelle che crescono spontanee o naturalizzate nell’area mediterranea e che ancora oggi utilizziamo in cucina e in erboristeria.
Esempi di piante officinali che si trovavano nei giardini dei semplici sono quelle aromatiche come salvia, melissa, menta, issopo, lavanda, camomilla, rosmarino e timo, piante resistenti adoperate come tonici, digestivi, calmanti e balsamici.
Malva e calendula erano invece adoperate per infiammazioni locali o sistemiche, mentre ruta, parietaria e consolida su usavano per curare fratture e dolori articolari.
La varietà delle coltivazioni dipendeva ovviamente dal clima, oltre che dalle tradizioni locali, dunque nei monasteri del Sud Europa si trovavano specie mediterranee, mentre in quelli del Nord si coltivavano quelle più resistenti al freddo.
Perché molte di queste piante sono state dimenticate
Diverse piante che un tempo erano utilizzate a scopo curativo oggi non vengono più utilizzate o vengono utilizzate molto raramente e, alcune, sono poco conosciute anche agli esperti del settore.
Le ragioni per cui alcune piante sono state dimenticate sono diverse. Uno dei motivi riguarda l’evoluzione delle tecniche farmaceutiche che ha consentito di isolare i principi attivi delle piante, studiarli e spesso sostituirli con molecole più efficaci, con minori effetti collaterali e più semplici da produrre.
Contemporaneamente si è via via persa la tradizione orale che un tempo permetteva di tramandare la conoscenza delle piante attraverso la pratica quotidiana e la formazione diretta, specialmente nelle zone rurali.
Esistono poi anche fattori di natura economica e di sicurezza. Alcune piante hanno rese agronomiche basse oppure richiedono condizioni di coltivazione particolari o si trovano solo allo stato spontaneo, rendendole poco convenienti per l’industria erboristica.
In altri casi, principi attivi considerati troppo potenti o potenzialmente tossici, come nel caso ad esempio nel caso di alcuni estratti di assenzio e della borragine, hanno portato a restrizioni legali, scoraggiando il loro impiego commerciale e anche la raccolta di piante spontanee.
Il mercato moderno ha di conseguenza spinto verso piante più facilmente promuovibili e riconoscibili dal pubblico, come ginseng, echinacea o curcuma, lasciando nell’ombra le specie tradizionali europee.
Il risultato è un progressivo abbandono di alcune piante meno usate che diventano sempre più rare, anche perché l’assenza di domanda scoraggia ulteriormente la loro coltivazione e lo studio scientifico.
Cosa possiamo riscoprire oggi
Riscoprire piante poco utilizzate può essere utile per ampliare l’offerta di prodotti erboristici con specie locali che, se recuperate, possono promuovere biodiversità e sostenibilità.
Coltivare specie tradizionali significa infatti preservare varietà autoctone e adattate ai nostri territori, contribuendo a un’agricoltura più rispettosa dell’ambiente.
La riscoperta di piante officinali ha anche una valenza culturale ed educativa ed è possibile conoscere specie poco note frequentando giardini botanici o attraverso libri, itinerari turistici dedicati, corsi e anche grazie alla divulgazione digitale.
In alcuni casi, il recupero è semplicemente volto ad accrescere la propria conoscenza poiché alcune piante non vengono adoperate per ragioni si sicurezza, ma in altri casi può rappresentare un’opportunità per erboristi e professionisti del benessere, che possono arricchire la propria offerta con prodotti e conoscenze legate al territorio e alla sua storia.