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Yoga dinamico, le origini

Quali sono le differenze di metodo e di obiettivi tra le forme di yoga statico e il cosiddetto yoga dinamico?

Yoga dinamico, le origini

Fra tutte le numerose forme di yoga esistenti, le più praticate in Occidente sono senza dubbio lo hatha yoga e il raja yoga. Pur accettando entrambi in maniera diversa l’utilizzo di asana e pranayama, il praticante di raja yoga pone tutta la propria attenzione sulla mente e i suoi meccanismi, mentre il praticanti di hatha yoga consacra la propria sul corpo fisico ed il prana, ergendoli a chiavi di volta dell’intero yoga.

Seguendo questa linea evolutiva che pone il massimo accento sui meccanismi del corpo e del prana che lo muove, lo hatha yoga ha sviluppato un enorme numero di asana o posture del corpo, attraverso l’esecuzione delle quali è possibile padroneggiare il prana e quindi tutte le funzioni vitali, fino ad arrivare a comandare a volere la salute e la longevità. È risaputo che un hatha yogi realizzato è in grado di scegliere il momento del proprio trapasso.

 

Gli elementi dello yoga dinamico

Esistono varie scuole di hatha yoga che nei secoli si sono differenziate per principi, mezzi e scopi e, ad un’occhiata più superficiale ed inesperta, pare evidente l’esistenza di due filoni: il primo basato sull’esecuzione di una sequenza di asana fisse, l’altro sull’esecuzione delle stesse con una transizione dinamica.

Vwngono chiamate così quelle tecniche che nella letteratura yogica hanno il nome di ashtanga yoga e vinyasa yoga. Oggi vengono praticati entrambi, sia in forma pura che in una sorta di mix, sotto il nome, appunto, di yoga dinamico

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L'ashtanga yoga e yoga dinamico

L’ashtanga yoga, pilastro dello yoga dinamico, è ad un tempo recente ed antico: si basa sugli antichi testi di Patanjali ma al contempo si può affermare che la sua codificazione risale agli anni 40-50 del ventesimo secolo.

Come dice il nome, si basa su otto pilastri (letteralmente significa “otto rami” o “otto membra”) tipici dello yoga di Patanjali: purezza, condotta etica, isolamento, concentrazione, meditazione, samadhi e, quelle più praticate nelle versioni moderne, asana e pranayama.

 

Lo yoga del fluire

Nella versione vinyasa, la pratica acquista una caratteristica fondamentale, la fluidità, che viene applicata sia nella respirazione che nel passaggio da posizione a posizione.

Abbiamo quindi una sequenza di fasi del respiro (inspirazione, apnea a pieno, espirazione, apnea a vuoto) non rigida e schematizzata, ma dolce nella sua regolarità, così come il passaggio tra un tipo di respirazione pranayama ad un altro.

Stessa cosa vale per la transazione da una asana all’altra, dando alla pratica un senso dinamico assente negli hatha yoga più classici. Paradossalmente sembra che la mente e il senso di sé riesca a scomparire nel movimento tanto bene quanto nella stasi della singola asana, spesso capace di generare per le menti impreparate una sorta di “silenzio assordante” nel quale anche i piccoli pensieri acquistano ridondanza.

Si sperimenta quindi ciò che in psicologia viene chiamato flusso, ovvero uno stato di coscienza di completa immersione nell’attimo. Visto dal di fuori il tutto può somigliare molto ad una sorta di coreografia o di gimnopedia.

 

Il ruolo del corpo nello yoga dinamico

Mentre nello hatha yoga classico, nel raja yoga e in alcune forme di ashtanga yoga si decide quindi di rilassare e ridurre al minimo le funzioni del corpo per concentrare tutta la coscienza sul prana e sulla mente ritirandola dai sensi, nello yoga dinamico e in molte sue derive moderne la filosofia è invece quella di stimolare il corpo per far entrare la consapevolezza dell’io nei movimenti fluidi dei muscoli e nel ritmo della respirazione.

Si ha qui quindi una differenza non solo metodologica ma anche di scopo, non si tratta più di uno yoga che cerca una forma di liberazione della coscienza dal corpo, ma un perfezionamento del corpo e delle sue funzioni vitali, con una sorta di identificazione piuttosto che una disidentificazione.

 

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Foto: fizkes / 123RF Archivio Fotografico