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Dibattito sul nucleare in Italia, una storia infinita

Le parole del ministro Cingolani riaprono il dibattito sul nucleare, un dibattito che desta parecchi spunti di riflessione ora che siamo coinvolti nella sfida della carbon neutrality.

Nucleare

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©atomdruid / 123rf.com

Il ministro Cingolani apre al nucleare

Sul nucleare “si stanno affacciando tecnologie di quarta generazione, senza uranio arricchito e acqua pesante. Se a un certo momento si verifica che i chili di rifiuto radioattivo sono pochissimi, la sicurezza elevata e il costo basso è da folli non considerare questa tecnologia". Parola di Roberto Cingolani, fisico e accademico, in passato direttore dell'Istituto italiano di tecnologia di Genova e manager di Leonardo, ora ministro della Transizione ecologica del governo guidato da Mario Draghi.

 

Non si tratta di dichiarazioni programmatiche ufficiali bensì delle parole pronunciate durante un’occasione informale, la scuola di formazione di Italia Viva a Ponte di Legno. I toni e gli argomenti, dichiaratamente propositivi nei confronti del nucleare, hanno comunque destato scalpore tra i mass media e l’opinione pubblica. “Nell'interesse dei nostri figli è vietato ideologizzare qualsiasi tipo di tecnologia. Stiamo ai numeri, quando saranno disponibili prenderemo le decisioni”, ha concluso.

 

I due referendum contro il nucleare

Si riapre così un dibattito che, come un fiume carsico, sembra sopito ma poi riaffiora inaspettatamente in superficie. All’indomani del disastro di Černobyl', nel 1987, gli italiani sono stati chiamati alle urne per una serie di referendum abrogativi conclusi con un netto dissenso nei confronti della produzione di energia dall’atomo. Le uniche centrali ancora attive, a Latina, Caorso e Trino Vercellese, vennero tutte dismesse nell’arco di un paio d’anni. 

 

Circa vent’anni dopo, nel 2008, l’impennata dei prezzi dei combustibili fossili convinse il governo (guidato all’epoca da Silvio Berlusconi) ad avviare un piano per ripristinare la produzione di energia nucleare. Un progetto rapidamente abortito dopo un nuovo referendum indetto nel 2011. A contribuire all’esito, ancora una volta nettissimo, su una nuova catastrofe nucleare accaduta stavolta dalla parte opposta del Pianeta, a Fukushima

 

In realtà non è corretto dire che l’Italia non si sia mai occupata di nucleare dagli anni Ottanta in avanti. Perché è sempre stata alle prese con un tema dirimente, lo smaltimento delle scorie delle centrali dismesse (in gergo, decommissioning). Dal 7 settembre al 24 novembre 2021 è in corso il seminario a tappe che contribuirà alla scelta della zona per il deposito nazionale; finora sono state individuate diverse aree potenzialmente idonee, tra Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia, Sicilia e Sardegna.

 

L’obiettivo è la transizione ecologica

Ma perché il nucleare infiamma gli animi a questo punto? Sicuramente perché si porta dietro una storia che non può lasciare indifferenti, una storia che ci coinvolge tutti – volenti o nolenti – e che ci impone di fare delle scelte. Se però ci fermiamo alle dicotomie, alla contrapposizione tra ambientalisti e fautori delle nuove tecnologie, rischiamo di farci portare fuori strada.

 

Innanzitutto perché il nucleare, tecnicamente, è una fonte di energia a zero emissioni. E l’Unione europea di Ursula von der Leyen, rispondendo alla sfida del riscaldamento globale, ha chiesto a tutti gli Stati di impegnarsi per raggiungere la carbon neutrality entro il 2050

 

L’Italia finora ha fatto grandi cose sul fronte delle rinnovabili, ma non si avvicina nemmeno lontanamente a questo obiettivo. Servono investimenti (e qui i fondi europei del Next Generation Eu sicuramente saranno d’aiuto), ma servono anche tecnologie che coprano alcuni macroscopici buchi del sistema attuale, per esempio nello stoccaggio delle energie verdi.

 

Il nucleare può essere la soluzione? Alcuni ne sono fermamente convinti, altri invece ritengono che i rischi siano inaccettabili. Di sicuro serve un dibattito serio, aperto e partecipato sulle strade da intraprendere verso la transizione ecologica. Un dibattito, appunto, e non solo l’imposizione dall’alto di facili soluzioni a una sfida che di facile non ha nulla.