Intervista

Prospettive Vegetali: intervista a Giacomo Castana

Indagare il rapporto tra l'uomo e le piante, per avvicinare all'etnobotanica il pubblico più vasto possibile: è il concept Prospettive Vegetali, il progetto di Giacomo Castana.

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©Giacomo Castana / Prospettive Vegetali

Si chiama Giacomo Castana, ha ventotto anni e fa il giardiniere. Due anni fa, disilluso da certe logiche di mercato che poco hanno a che fare con gli equilibri della natura, ha dato il via a Prospettive Vegetali: un progetto che indaga il rapporto tra l'uomo e le piante con l'obiettivo di avvicinare all'etnobotanica il pubblico più vasto possibile.

 

Ne è nato un viaggio di quasi due anni in giro per l'Italia, in cui Giacomo ha avuto l'occasione di intervistare centinaia di persone, dall'agricoltore allo scienziato, dall'alchimista all'educatore. Le loro voci sono raccolte nel documentario "Botanica per tutti - Viaggio tra uomini, donne e piante", che si può guardare gratuitamente su YouTube

 

Giorno dopo giorno, intervista dopo intervista, attorno alla ricerca di Giacomo si è creata una community attivissima, accomunata dall'interesse sincero verso il mondo vegetale e dalla volontà di ritrovare un'armonia con il Pianeta. 

 

Nelle settimane in cui tutt'Italia è in lockdown, Giacomo continua la sua opera di divulgazione e dialogo tramite i social network. Gli abbiamo chiesto di ripercorrere il cammino che ha fatto fin qui e darci qualche anticipazione sul suo futuro.

 

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©Giacomo Castana / Prospettive Vegetali

Facevi il giardiniere e a un certo punto sei partito per un viaggio in Italia durato due anni. Come hai maturato questa decisione drastica? È stata frutto di un episodio specifico o di una riflessione più lunga?

Non è stato il classico “lascio tutto e inseguo un sogno”. Il sogno era molto lucido. Ciò che mi suggeriva la natura in cui ero immerso, in qualche modo, già dialogava con me in maniera inconscia. Volevo che tutta la sollecitazione trasmessa dalla natura trovasse una traduzione umana, perché io in primis avevo bisogno di spiegarmi perché il mio occhio cadesse su un fiore o su una pianta. 

 

In un certo senso, fare il giardiniere mi aveva salvato. Stare tutto il giorno sotto il sole in mezzo alle piante mi faceva stare bene, anche se arrivavo alla sera distrutto. A un certo punto però mi sono detto: “Non posso fare il giardiniere in questo modo perché il mio guadagno è legato a logiche di mercato che non tengono conto della natura e dei suoi diritti”. 

 

Ero convinto del fatto che, se fossi riuscito a raggiungere un certo stadio di raccolta di dati e informazioni, avrei trovato tutti i “traduttori” che mi servivano. Infatti ero il primo ad aver bisogno di qualcuno che mi spiegasse in modo semplice fenomeni complessi. Le piante non hanno una voce ma comunque ti parlano, ti emozionano, ti fermano, ti consigliano."

 

Tu quindi sentivi che le piante in qualche modo comunicano e ti sei detto “c’è un perché”.

Il “perché” esiste per tutti, la capacità di inseguirlo passa molto dalla sensibilità. Una sensibilità più profonda sta alla base della comunicazione con la natura

 

Questo progetto parlava al Giacomo che ero diventato, al Giacomo che non si stupiva più delle cose come un bambino. Piano piano sono riuscito a lasciarmi andare, recuperando quella sensibilità e parlando anche a chi era più lontano da questi ragionamenti.

 

La persona-tipo si ferma a guardare il fiore senza riflettere sul fatto che è il risultato di un comportamento radicale che avviene lontano dalla sua vista. Il lavoro di cui mi sono fatto carico è quello di tradurre questi concetti in termini semplici, per arrivare a tutti

 

Il tuo viaggio è stato sostenuto dal contributo spontaneo di centinaia di persone. Te l’aspettavi?

Partendo da zero o quasi, con il tempo si è creata una piccola economia attorno a questa mia ricerca. Pur essendo ancora insufficiente per coprire il mio investimento, si parla comunque di numeri interessanti non solo in termini di donazioni ma anche in termini di scambio e baratto.

 

Più di duecento persone mi hanno ospitato a casa loro, mi hanno fatto esporre alle mostre, mi hanno offerto da mangiare; io in cambio ho promesso loro il documentario, ho girato video della loro attività, ho dato consigli sull’uso corretto dei social media. 

 

Quindi tutti questi episodi sono nati spontaneamente ma, mettendo insieme i numeri, non si può parlare di coincidenze o di fortuna?

La fortuna in questa storia c’entra ben poco. Certo, ci sono stati parecchi episodi fortunati, ma sono stati chiamati da una forte dedizione. Dal momento in cui ho deciso di avviare il progetto Prospettive Vegetali, non c’è stato un momento in cui non sia stato una priorità per me. 

 

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©Giacomo Castana / Prospettive Vegetali

Di recente hai lanciato un contest su Instagram, invitando i follower a disegnare una locandina per il tuo documentario. Che riscontro hai ottenuto?

Il riscontro è stato enorme, oggi siamo a 45 candidature. Stiamo pur sempre parlando di un contest in cui la prima regola è quella di vedere il documentario e l’unico premio è la condivisione delle opere! Alcune locandine che mi sono arrivate sono di spessore, hanno un valore artistico. 

 

Sostieni che l’etnobotanica sia “la madre di tutte le scienze”. Come la spiegheresti a un bambino? Cosa possiamo imparare dall’etnobotanica per vivere in modo più sostenibile?

Per rispondere a questa domanda devo parlare di Luther Burbank, un botanico vissuto a fine Ottocento che ha scritto Crescere come cresce una pianta, un libro che mette a confronto il comportamento vegetale e quello umano.

 

Con un approccio tanto letterario e coinvolgente quanto rigoroso e scientifico, Burbank spiega le dinamiche naturali, istintive e primordiali con cui i bambini apprendono e ricevono informazioni dall’ambiente durante i loro primi dieci mesi di vita.

 

Per parecchi anni rimaniamo fertili a questo tipo di emozione e relazione con l’ambiente, per poi perderlo quando entrano in gioco le sovrastrutture umane che portano alla cosiddetta plant blindness. Si tratta di un fenomeno (scientificamente provato) che deriva dal nostro passato primitivo e che potrei riassumere così: la bestia feroce mi può ammazzare, la pianta no, quindi io focalizzo la mia attenzione sulla bestia e non sulla pianta. 

 

Mi sono speso affinché l’etnobotanica non fosse intesa solo come la materia accademica che spiega le relazioni tra uomini e piante incasellandola in usi medici, alimentari, artigianali, rituali ecc. In realtà in Italia l’etnobotanica non viene studiata nemmeno in questa forma un po’ schematica, ma questa per certi versi è una fortuna: significa che sono io a presentarla per la prima volta, ricollegandola alla letteratura e a tante altre materie.  

 

Burbank parlava anche di educazione, del dovere primario di accorgerci di quanto possiamo condizionare la crescita dei nostri germogli. Se andiamo a fondo nel sentire umano, possiamo avvicinarci al comportamento vegetale che è lento ma molto simile. 

 

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©Giacomo Castana / Prospettive Vegetali

Puoi descrivere il tuo documentario “Botanica per tutti”?

Per questa sfida di comunicazione ho puntato tantissimo sull’uomo, perché se avessi parlato di piante non mi avrebbe ascoltato nessuno. È per questo che il documentario è costituito da centinaia di interviste in cui in primo piano c’è una persona che parla e le piante sono sullo sfondo. 

 

Tutti gli intervistati hanno accettato di farsi riprendere in volto, senza conoscere in anticipo le mie domande. Avevo quindi la garanzia del fatto che avrebbero risposto onestamente.

 

Sono andato per step, cominciando dai piccoli produttori che hanno introdotto i vari argomenti con parole semplici. Man mano sono sorte nuove domande e sono andato alla ricerca di qualcuno che fosse in grado di rispondere, trovandomi anche a intervistare personaggi con una cultura enorme. 

 

Hai pubblicato il documentario su Youtube. Sei soddisfatto di questa scelta?

Ritengo il documentario come un primo capitolo di una ricerca che è andata ben oltre, ma dopo due anni di lavoro mi sono imposto di chiuderlo.

 

La scelta di pubblicarlo gratuitamente su Youtube non è stata per nulla facile a livello economico. Però vedi a cosa ti porta la vita? Mi sono trovato nell’impossibilità di portare avanti la strategia che avevo in mente per recuperare il mio investimento, così mi sono detto: “Questo documentario lo deve vedere il maggior numero possibile di persone, a prescindere dal fatto che io ci guadagni qualcosa. Poi, magari, in futuro avrà un ritorno”. 

 

Durante questo periodo di isolamento hai lanciato la #seedchallenge su Instagram, invitando i tuoi follower a piantare un seme e condividere i progressi. Come sta andando?

Ci sono persone che ogni giorno mi mandano le foto delle loro piante, il mio profilo Instagram è cresciuto del 500% in un mese, sto trovando nuove collaborazioni… Grazie a questa quarantena ho capito che non sarebbero stati i soldi a darmi benessere. Mi dà benessere sapere che le persone mi seguono dalle loro case, guardano il mio documentario e magari ne approfittano per scoprire altri articoli e video in Rete.

 

Piantare un seme è un modo per mettersi alla prova durante questo periodo di stop forzato. Ma un domani, quando si tornerà alla vita “normale”, cosa rimarrà di questo esperimento?

La mia vita è cambiata con la #seedchallenge perché ogni giorno devo dedicare almeno un paio d’ore a leggere i messaggi in arrivo, rispondere, condividere le stories. Se mancasse il coordinamento da parte mia, quest’iniziativa non avrebbe così tanto successo. 

 

Sono già sintonizzato su momento in cui verremo “liberati” e non potrò più dedicare tutto questo tempo alla challenge. A quel punto ci dovrà essere inevitabilmente una presa di coscienza su come possiamo svincolarci (almeno in parte) dal modello in cui siamo immersi e al quale fino a ieri non vedevamo alternative.

 

Faccio l’esempio del limone, una pianta che hanno scelto in tanti. Se per gioco pianti un seme di limone, piano piano magari arriverà il giorno in cui non sarai più obbligato a comprare i limoni al supermercato. Ecco, spero che questo sia il messaggio che può rimanere per il futuro. 

 

Negli ultimi giorni la #seedchallenge si è collegata al tema della cannabis, la pianta che più rappresenta l’autoproduzione perché ha innumerevoli impieghi. Non mi interessa spendermi per una causa politica: quello che mi preme, più della legalizzazione, è la normalizzazione della cannabis. Il fatto che una pianta sia illegale elimina una serie di possibilità anche in termini di ricerca scientifica.

 

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©Giacomo Castana / Prospettive Vegetali

Tu nasci come giardiniere, adesso sei un divulgatore, come vedi il tuo futuro?

Non riesco a fare previsioni perché sono sovrastato da quello che mi sta succedendo, per me è sconvolgente rendermi conto di saper comunicare. Quello che posso augurarmi è più legato a questa grande partecipazione dal basso. 

 

Sono partito da una considerazione: in questo momento, fare qualcosa di positivo per la natura significa rimetterci dal punto di vista economico. Avevo un impiego dignitoso da giardiniere, ma un giorno su tre indossavo la mascherina perché dovevo spruzzare sostanze chimiche, il giorno successivo dovevo tagliare il prato che era cresciuto di un centimetro… Volevo ribaltare questa concezione per cui il guadagno fosse per forza legato al fare qualcosa di “sbagliato”. 

 

Mi auguro di continuare a portare l’ispirazione vegetale in tanti ambiti diversi, creando questo coinvolgimento che riporti le piante al centro della cultura. Potenzialmente so dove voglio arrivare, ma per riuscirci devo scovare degli “alleati”, costruire un rapporto di fiducia e iniziare a remare insieme a loro per cambiare le cose.

 

Visto che resto comunque un giardiniere e progettista di spazi verdi, non escludo di dedicarmi a interventi di questo tipo. Due anni fa, quando ho dato il via a questo progetto, sapevo bene come avrei voluto progettare e realizzare giardini, ma non c’era nessuno disposto a sposare il mio approccio. Grazie al documentario mi sono creato questo pubblico: se qualcuno un domani vedrà il documentario e vorrà affidarmi lavori coerenti con la mia filosofia, ben venga.