Intervista

"Carne genuina", il progetto di Mattia Assanelli

Si può anche consumare carne con un occhio di riguardo per la qualità e la sostenibilità. Parola di Mattia Assanelli, fondatore dell'e-commerce Carne genuina che mette in rete piccoli allevatori del territorio.

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©Carne genuina

L’8,2% della popolazione italiana, sostiene l’Eurispes, è vegetariano o vegano. Il 6,6% lo è stato in passato. Poi ci sono tutti gli altri. Quelli che carne e pesce li mangiano ma, magari, non si vogliono più accontentare di tagli di scarsa qualità, impossibili da distinguere l’uno dall’altro. E pretendono di sapere qualcosa di più su come è stato allevato l’animale, perché hanno timore degli antibiotici negli allevamenti, sono spinti da considerazioni etiche oppure hanno letto i dati sconcertanti sull’impatto ambientale degli allevamenti intensivi.

 

A loro si rivolge Carne genuina, un e-commerce fondato dall’azienda agricola Assanelli di Treviglio che, dopo una storia più che secolare, si è buttata a capofitto nel web con il marchio Bovì. Il servizio recapita in poche ore in tutt’Italia carne, salumi, formaggi e birre di piccoli produttori a conduzione familiare, selezionati perché hanno un occhio di riguardo verso la sostenibilità e la qualità. Abbiamo intervistato Mattia Assanelli, il più giovane dei fratelli Assanelli, ideatore della piattaforma e Ceo della startup.

 

Quando e come hai deciso di imprimere una nuova rotta all’azienda di famiglia, puntando sul digitale?

Per anni non mi sono molto interessato all’azienda agricola di famiglia, ci lavoravano i miei fratelli, io ho sempre prediletto una formazione tecnica. Mi sono laureato in Ingegneria elettronica, ho conseguito il dottorato e mi sarebbe piaciuto anche diventare professore, ma le dinamiche accademiche erano molto lente. 

 

Nel frattempo mi sono appassionato alle rinnovabili e ho iniziato a seguire un progetto di rinnovamento dell’azienda di famiglia che, anche grazie a finanziamenti europei, prevedeva l’installazione di un impianto fotovoltaico, il rinnovo dei sistemi di mungitura e così via. Mi sono reso conto del fatto che mi piaceva molto fare il project manager.

 

Per unire le mie attitudini alla mia esperienza, ho lavorato per un produttore di alimentari conto terzi e mi sono reso conto di alcune diseconomie legate alla grande distribuzione organizzata (GDO): ho capito che ci sono insegne che si comportano in modo umano e altre che si focalizzano solo sul prezzo basso, ho capito che ci sono verdure coltivate al sud Italia, poi lavorate in Lombardia e spedite a Berlino. In termini di sostenibilità, non mi piaceva.

 

Così ho deciso di fare qualcosa per disintermediare la filiera della mia azienda di famiglia, innanzitutto creando il marchio Bovì. All’inizio vendevamo solo alcune box di carne con un contenuto standard, poi abbiamo lanciato l’e-commerce e abbiamo deciso che era arrivato il momento di portare la nostra realtà a un altro livello. Il 30 aprile 2020, in piena pandemia, abbiamo istituito la nostra startup innovativa. Eravamo già pronti e operativi e abbiamo beneficiato dell’attenzione che si creata verso l’online durante un anno così particolare.

 

Siete partiti con la vostra azienda, ma ne avete aggiunte altre. Come le selezionate?

Sì, abbiamo aggiunto alla nostra offerta anche carne di pollame, suino, latticini e così via. Selezioniamo solo aziende a conduzione familiare che hanno terreni di proprietà e ci garantiscono la filiera corta. Così sappiamo che non scendono a compromessi sulla qualità dell’alimentazione per l’animale, gli riservano gli spazi giusti, non spingono troppo sulle performance e, in sintesi, ottengono un prodotto di qualità superiore e più rispettoso dell’ambiente. La carne che vendono è la stessa che mettono in tavola per le loro famiglie.

 

La grande distribuzione è un canale di vendita praticabile per i piccoli allevatori del territorio?

Secondo la nostra filosofia, per chi lavora su piccole tirature è molto meglio lasciar perdere questo canale e rivolgersi piuttosto alla distribuzione locale attraverso i piccoli negozi. L’online dà anche l’opportunità di controllare la filiera e rivolgersi direttamente all’utente finale.

 

Quali sono i prossimi step in programma?

Vogliamo creare delle filiere e registrarle al ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, per poter aggiungere informazioni addizionali in etichetta. Le leggi in merito sono molto stringenti.  Faccio un esempio: l’azienda agricola della mia famiglia non usa antibiotici, ma non è autorizzata a scriverlo in etichetta perché ciò imporrebbe di possedere una certificazione ad hoc. Spingere su queste certificazioni ci permetterà di dare maggiore rilievo alle nostre best practices.

 

Avete avviato un progetto di compensazione della CO2 generata dagli allevamenti. Come funziona?

Innanzitutto abbiamo già gli impianti fotovoltaici sui nostri tetti. Dopodiché abbiamo deciso anche di compensare le emissioni residue, piantando alberi prima con Treedom in Kenya e ora con Forever Bambù in Italia. Stiamo anche studiando altri aspetti legati alla sostenibilità, focalizzandoci per esempio sul consumo idrico, un tema su cui circolano molte informazioni che talvolta però si rivelano imprecise.

 

Tutti cercano la sostenibilità della carne mangiando qualcosa che non è carne, il che talvolta significa ricorrere a prodotti industriali iper-processati che simulano il suo sapore. La nostra proposta è diversa: proponiamo di mangiarne meno ma di qualità, consapevoli del fatto che il suo impatto ambientale e climatico è stato compensato e che l’animale ha vissuto al meglio delle proprie possibilità. Questa è la risposta che proponiamo al consumatore che si chiede se sia giusto mangiare carne.

 

Sarò sincero: quando abbiamo iniziato, pensavamo soprattutto a vendere i nostri prodotti direttamente al consumatore. Poi ci siamo resi conto del fatto che la sfida che si pone è più alta, e saperla cogliere significa essere innovativi e visionari.

 

Come si sono evoluti i gusti e le esigenze dei clienti nel corso degli anni?

Il mercato della carne online vale più di 300 milioni di euro, inclusa quella venduta dalle insegne della GDO. Il mercato del food online cresce del 30-40% all’anno e punta sulla qualità: difficilmente si cerca online la bassa qualità, piuttosto si vuole scovare la nicchia. Il nostro cliente-tipo vive in città, è attento alla sostenibilità ma fa fatica a recarsi di persona dall’allevatore in campagna. Poi ci sono le famiglie con figli piccoli e anche le persone di 50-60 anni che hanno visto chiudere il macellaio di quartiere e vanno alla ricerca di un prodotto di qualità. Tanti si interessano al benessere animale, la sostenibilità invece è un bisogno un po’ latente.

 

Avete avviato una campagna di equity crowdfunding. Come sta andando?

La campagna è stata avviata all’inizio di quest’anno. Dopo una partenza un po’ in sordina, ha avuto una grande accelerazione; per questo abbiamo deciso di estenderla. Ci avviciniamo all’obiettivo dei 200mila euro e, anzi, puntiamo a superarlo. Insomma, siamo assolutamente soddisfatti.