Intervista

Vespa orientalis, pericolosa per chi?

Si vede sempre più anche nei centri urbani del centro nord Italia: è Vespa orientalis, una specie autoctona dell'area del Mediterraneo che, meno diffusa fino a qualche tempo fa, oggi è giudicata da più parti pericolosa. Ma pericolosa per chi? Risponde l'ecologo e naturalista Andrea Bonifazi.

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Il vespaio è stato sollevato. Tutta “colpa” di Vespa orientalis, un vespide ai più noto come calabrone, il più precisamente calabrone orientale.

 

Non si placa l’ondata di preoccupazione collettiva generata dalle prime segnalazioni di nidi di Vespa orientalis a Roma e poi in altre città del centro nord come Trieste, Genova, Firenze. Da luglio 2022, gli avvistamenti riferiti alle autorità locali sono effettivamente aumentati, tanto che il comune di Roma ha istituito in estate un numero verde, l'800 854 854, gestito dalla Protezione civile capitolina in collaborazione
con l’assessorato all’Ambiente dedicato alla registrazione di avvistamenti di sciami e nidi e all’organizzazione di sopralluoghi nelle aree pubbliche di competenza comunale, ossia strade, parchi urbani, edifici pubblici.

 

Cosa ha reso nelle ultime settimane Vespa orientalis tanto “celeberrima” e pericolosa (pericolosa per chi?) al punto da giudicare la sua presenza in Italia come una “spaventosa invasione”? 

 

Si tratta realmente di una presenza aggressiva per la salute umana e per la biodiversità locale? Ne parliamo con Andrea Bonifazi, ecologo e naturalista, fondatore della pagina Facebook di divulgazione Scienze Naturali e dell’omonimo profilo Instagram.

 

Vespa orientalis, innanzintutto, è una specie aliena?

“Risposta breve: no, non è una specie aliena. La premessa doverosa da fare è proprio sul concetto di specie aliena (o alloctona) – chiarisce Bonifazi -, cioè una specie importata attivamente o passivamente in un ambiente in cui non si sarebbe potuta affermare naturalmente. Siamo circondati da specie aliene ma questo non significa necessariamente trovarci di fronte a esseri viventi pericolosi per l’uomo, sebbene siano solitamente impattanti per la biodiversità.

 

A Roma, ad esempio, possiamo osservare che gran parte delle piante che ci circondano sono aliene, non autoctone, dunque.

 

Intorno a Vespa orientalis, specie autoctona e non aliena, si è creato molto interesse ma anche molta disinformazione. Innanzitutto, a partire dal nome: la differenza tra nome scientifico e nome comune di una specie animale e vegetale può indurre in inganno i non esperti. Vespa orientalis, infatti, è un vespide appartenente al genere Vespa che, nel linguaggio comune, identifica il calabrone.

 

Siamo noi che chiamiamo vespa tutto ciò che rientra nella famiglia Vespidae – si pensi alle specie del genere Vespula o Polistes – rischiando di far confusione. Non sbagliamo mai, invece, se diciamo che
il calabrone è una vespa. Anzi, si potrebbe affermare che il calabrone sia la “vera vespa”.

 

Anche l’attributo orientalis, di fatto l’epiteto che definisce la specie, è fonte di grande confusione. Linneo ha infatti classificato come orientalis una specie che considerava inizialmente osservata in un Paese a est del Mediterraneo, quindi proveniente non da quello che oggi associamo all’Oriente inteso come Cina o Giappone. Questo avvicina di molto a noi l’area geografica spontanea nativa di questa specie. Un’ipotesi circa
il suo arrivo in Italia vuole ancora che Vespa orientalis possa essere giunta a noi seguendo le rotte commerciali dei Fenici, quindi circa 3000 anni fa, sebbene l’ipotesi più verosimile e attendibile stabilisce che sia arrivata secondo attraverso spostamenti del tutto naturali attraverso l’attuale Mar Adriatico. Questo è almeno ciò riporta la letteratura scientifica a riguardo”.

 

Vespa orientalis in ambienti antropizzati

“Vero è che questo insetto è termofilo, ricerca quindi le temperature più alte – aggiunge il naturalista –. Naturalmente presente nel sud Italia, Vespa orientalis sta probabilmente ampliando il suo areale verso nord, colonizzando nuovi ambienti a lei graditi: le città, va ricordato, sono poi
isole di calore in grado raggiungere temperature in cui alcune specie possono proliferare. In particolare, i grandi centri urbani possono offrire inconsapevolmente nutrimento per insetti come Vespa orientalis, attratti anche dai rifiuti che a livello urbano in diverse grandi città facciamo ancora fatica a gestire; infatti, trattandosi di una specie perlopiù carnivora, sfrutta anche gli scarti di cibo dell'essere umano. In generale, la sua distribuzione è naturalmente piuttosto ampia e tocca l’Asia sud occidentale, il Mediterraneo e le regioni dell’Africa settentrionale. Come già detto, in Italia è una presenza comune in diverse regioni del sud”.

 

Vespa orientalis può essere pericolosa?

“Altri esperti hanno già definito  tutto questo polverone che si è alzato come un allarme prevalentemente mediatico – aggiunge l’esperto –. Il numero verde istituito dal Comune di Roma può tuttavia essere utile per aiutare chi studia queste specie a conoscere l’ampliamento della sua distribuzione sul territorio nazionale. Viceversa, per quanto riguarda l’effettivo impatto sull’essere umano, a oggi non ci sono evidenze di un aumento di punture nell’uomo a seguito dell’incremento della a rilevata presenza di Vespa orientalis.

 

Bisogna aggiungere che a differenza di altre specie, Vespa orientalis nidifica tra le fessure dei muri degli edifici urbani oltre che in cavità
naturali presenti negli alberi, per questo può velocemente proliferare anche in città.

 

Il pericolo, in questo senso, può stare essere proprio nel fatto che potremmo imbatterci in nidi di Vespa orientalis in prossimità delle nostre abitazioni. In questo caso è fondamentale evitare il fai da te ed è necessario contattare il personale competente per la loro rimozione.

 

La puntura da Vespa orientalis, inoltre, non è maggiormente pericolosa di quella causata da un comune calabrone europeo (Vespa crabro). Il pericolo può ovviamente sopraggiungere qualora la puntura dovesse colpire riguardare se la puntura avviene su soggetti a rischio di , coloro che possono subire uno shock anafilattico a seguito di puntura. In questo caso occorre intervenire secondo le la prassi di chi è soggetto allergico a veleno degli imenotteri: come già detto, anche in questo caso non esistono evidenze che il veleno di Vespa orientalis sia più pericoloso di quello di altri imenotteri, ma è bene fare attenzione. È ovvio che le punture di api e vespe siano un evento non comune e solitamente scaturito da reazioni di difesa di questi insetti a una potenziale minaccia: può essere scatenato, ad esempio, dal nostro maldestro tentativo di rimuovere il loro nido senza avere le giuste competenze per farlo. Insomma, solitamente se ci pungono è perché le abbiamo infastidite”.

 

Vespa orientalis e ciclo di vita

“Il ciclo vitale di Vespa orientalis è analogo a quello di altri vespidi e
verso ottobre la regina va in una condizione di “quiescenza”, mentre una gran parte degli individui della colonia invece muore. Come già affermato da altri zoologi, l’allarme, vero o presunto che sia, dovrebbe dunque rientrare nel breve periodo” assicura l’ecologo.

 

Vespa orientalis e biodiversità

“In quanto specie autoctona, Vespa orientalis non dovrebbe destare preoccupazione a livello ecologico, non essendoci evidenze di marcati impatti sulla biodiversità – commenta Andrea Bonifazi –. La sua presenza potrebbe rivelarsi un problema, invece, per l’apicoltura in quanto questo insetto si nutre anche di api. A onor del vero, è bene specificare che in
alcuni Paesi anche Apis mellifera, la comune ape da miele, quando allevata, entra in competizione con altri impollinatori autoctoni, avendo quindi un impatto più o meno marcato sulla biodiversità.

 

Per quanto riguarda Vespa orientalis, è corretto ritenere che, nutrendosi di api, possa creare un danno più economico che non all’habitat. Bisogna inoltre specificare che, nonostante siano vittima di pregiudizi, anche gli stessi vespidi in generale volgono spesso l’importante ruolo di impollinatori. Infine, inIn Italia, tuttavia, c’è un calabrone che effettivamente potrebbe destare una moderata preoccupazione, sebbene sia ancora diffuso solo in alcune regioni: ancora non preoccupa perché la sua presenza è ancora poco diffusa, ma la Vespa velutina, il vero calabrone asiatico, è una specie aliena nonché una potenziale rischio per la nostra biodiversità”.

 

Specie aliene, pericolose per chi?

“Come anticipato, non tutte le specie aliene hanno lo stesso impatto e non tutte sono necessariamente invasive, sebbene sia sempre bene tenerle sotto controllo per limitare la competizione con le specie nostrane.

 

A Roma, ad esempio, vediamo tantissimi pappagalli – sono diffuse le due
specie Psittacula krameri e Myiopsitta monachus – che se per l’uomo non sono pericolosi, anzi, vengono percepiti come una presenza colorata e gradevole, lo sono perpossono costituire una minaccia per la biodiversità locale. Lo stesso vale per la nutria (Myocastor coypus) o per i celebri scoiattoli, con il nostrano rosso europeo (Sciurus vulgaris) e il fortemente minacciato dal grigio americano (Sciurus carolinensis).

 

La competizione, spesso vincente, nasce nel momento in cui la specie aliena non trova qui nel suo “nuovo habitat” il suo naturale predatore e può dunque proliferare alterando gli equilibri di un ecosistema.

 

Dovremmo tuttavia riflettere sul fatto che quando parliamo della pericolosità di una specie, abbiamo una visione antropocentrica: se un insetto danneggia l’agricoltura o le nostre economie diventa pericoloso,
ma se altera la biodiversità senza avere effettive implicazioni economiche, la sua presenza risulta essere molto meno “mainstream”.

 

Alcuni esempi sono interessanti:

  • La robinia (Robinia pseudoacacia), impropriamente nota come acacia, è una specie aliena invasiva molto diffusa, ma il suo utilizzo come pianta grazie alla quale viene prodotto l’omonimo miele non ce la fa percepire come una specie impattante sulla biodiversità autoctona.
  • Il punteruolo rosso (Rhynchophorus ferrugineus), viceversa, è demonizzato perché attacca e uccide le palme. Tuttavia, a parte isolati casi, gran parte delle specie di palme che attacca sono anch’esse specie aliene – con una netta predilezione per Phoenix canariensis, la palma delle Canarie –, per cui la nostra percezione del danno è perlopiù economica ed urbanistica, essendo limitato l’impatto sulla biodiversità. Nel caso specifico di questo coleottero, è tuttavia bene specificare che risultano recenti segnalazioni anche di attacchi, finora fortunatamente isolati, alle autoctone palme nane.

 

In generale, tuttavia, la nostra percezione del danno causato dalle specie aliene è soprattutto economico più che ambientale".

 

L’intervistato è Andrea Bonifazi, ecologo e naturalista, fondatore della pagina Facebook Scienze Naturali e dell’omonimo profilo Instagram.