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Pomodoro: un’eccellenza italiana in declino

Prezzi di vendita troppo bassi, caporalato, importazioni e frodi. Ecco come l'Italia ha perso la leadership nel settore del pomodoro.

L'Italia perde posizioni come leader mondiale di produzione e trasformazione del pomodoro

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© Ignard Ten Have / 123rf.com

Fino a poco tempo fa l’Italia si trovava al secondo posto nel mondo come per la produzione e lavorazione del pomodoro. Meglio di noi si comportavano solo gli Stati Uniti.

Ora non è più così: davanti all’Italia si è piazzata la Cina. Come è possibile che un paese leader come il nostro nella produzione di conserve e passate abbia perso posizioni?
 

Guadagni difficili per i produttori locali

Nel 2019, quando ancora eravamo secondi in classifica, producevamo 4,8 milioni di tonnellate di pomodoro trasformato secondo le stime dell'Associazione Nazionale Industriali Conserve Alimentari Vegetali. Nel 2020, nonostante le tonnellate italiane siano diventate 5,1 milioni, la Cina ha saputo fare meglio con 5,8 milioni di tonnellate.

Secondo il portale Dataroom, a cura della giornalista Milena Gabanelli, dietro a numeri pur sempre positivi, si nasconde una filiera in difficoltà. In Italia abbiamo più di 8 mila produttori per quali, però, i guadagni sono diminuiti, mentre in cinque anni le superfici coltivate si sono ridotte di quasi 8.000 ettari.

Secondo i dati riportati, il prezzo del pomodoro nel 2021 è nel Nord Italia a 92 euro a tonnellata (più caro dell’1,25% rispetto all’anno precedente), mentre al Sud i prezzi di riferimento sono più cari: 105 euro a tonnellata per il pomodoro tondo, e 115 per quello lungo. Nonostante l’aumento dei prezzi, non si riescono a pareggiare i conti tra guadagni e costi, anche a causa della pandemia.

 

A guadagnarci, la grande distribuzione e caporali

A guadagnarci c’è sempre la grande distribuzione: attraverso gare al ribasso, la Gdo stabilisce il valore dei pomodori già prima della stagione di produzione, quindi senza conoscere quantità e qualità del raccolto.

Come spiega il report “Filiera Sporca”, gran parte delle conserve è venduta in Italia sotto forma di private label, cioè con marchi direttamente collegati ai giganti della distribuzione. Solo grandi aziende come Mutti e Cirio riescono a imporre il proprio brand.

“Avendo pre-venduto a prezzi bassissimi — denuncia il dossier — l’imprenditore dovrà rifarsi sul produttore, imponendogli prezzi d’acquisto sempre più bassi e cercando appena possibile di svincolarsi dagli obblighi contrattuali che già prevedono condizioni al limite della sussistenza per gli agricoltori”.

Ciò non fa altro che alimentare il problema del caporalato: nonostante la manodopera nei campi sia sempre più meccanica (l’85% del totale), al sud vengono impiegati gli immigrati. Come spiega di nuovo Dataroom, chi ha un regolare contratto guadagna circa 45 euro al giorno, però in molti lavorano a cottimo e in nero: 4 euro per ogni cassone da 3 quintali. Si arriva a guadagnare 80 euro al giorno ma da questi va tolta la percentuale pagata ai caporali.
 

Tracciabilità a rischio nella filiera produttiva

In questo quadro il rischio di frodi è sempre in agguato. E' ancora una volta l'inchiesta giornalistica DataRoom a fornire informazioni a riguardo nell'intervento video di Milena Gabanelli: "Negli ultimi mesi  - contestualizza la giornalista - una lunga scia di sequestri in grandi imprese come il gruppo toscano Petti: 4 mila tonnellate di conserve e semilavorato con pomodori extracomunitari pronto ad essere venduto come 100% italiano. Al gruppo campano Attianese confiscate 821 tonnellate di concentrato contaminato da alti livelli di pesticidi provenienti dall'Egitto. Ma cosa dice la legge? Che sull'etichetta va indicata l'origine della materia prima quando il prodotto è destinato al mercato italiano. Ma se va fuori dai confini, vale a dire che è esportato ed è circa il 60% del totale, non è richiesto, basta che la lavorazione finale sia avvenuta in Italia. I derivati del pomodoro che importiamo dall'estero ogni anno, dice Coldiretti, crescono sempre di più, la metà arriva alla Cina..."

Il gruppo toscano ha presentato alle autorità competenti documentazione a difesa del proprio prodotto.


Anche il San Marzano, tra i più rinomati prodotti italiani, è in difficoltà: da pomodoro unico al mondo, San Marzano - il cui seme è stato riportato in auge grazie al Centro Cirio Ricerche - rischia di trasformarsi in prodotto standardizzato. Di recente, sono state sequestrate 270 milioni di tonnellate di dubbia provenienza.

Nel 2020, le importazioni dalla Cina sono aumentate del 17%, che con la spedizione di 69 milioni di chili è il principale fornitore dell’Italia nell’anno del Covid. “Nell’ultimo anno si è verificato un aumento degli sbarchi dall’estero di derivati di pomodoro che arrivano per quasi la metà dalla Cina in fusti industriali da 200 chili di peso di concentrato da rilavorare e confezionare” è stato il commento della Coldiretti.