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Pasta italiana e grano straniero

Le etichette della pasta devono indicare l’origine della materia prima, come prevede un decreto legge varato il 26 luglio 2017. In questo modo i consumatori possono individuare quali sono le marche che utilizzano grano duro coltivato nel nostro Paese. Ma perché è così importante valorizzare e scegliere grano made in Italy?

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Ma è tutto davvero Made in Italy?

Secondo quanto sostenuto da Cosimo De Sortis, presidente di Italmopa,  l’Associazione industriali mugnai d’Italia, non dovremmo lasciarci ingannare: “Per avere pasta a scaffale nei supermercati tutto l’anno, dobbiamo necessariamente importare. Se utilizzassimo solo la produzione italiana, troveremmo la pasta in vendita solo quattro mesi all’anno”. 

 

La dicitura made in è il pomo della discordia che ha animato lo scontro a colpi di comunicati stampa tra Italmopa, l’Associazione industriali mugnai d’Italia e Coldiretti, che rappresenta gli agricoltori.

 

Il problema nasce dal fatto che in Italia le aziende e i mulini che propongono farina confezionata sugli scaffali dei supermercati non sono obbligati a indicare sulle confezioni l’origine della materia prima, ma devono riportare il nome dello stabilimento che ha effettuato l’ultima trasformazione significativa. 

 

In questo modo una farina prodotta da grano importato ma trasformata in Italia è quindi per legge “italiana al 100%”. Lo stesso vale per la semola di grano duro destinata all’industria della pasta, quando sull’etichetta c’è scritto made in Italy ci sono buone probabilità che la materia prima sia in parte importata (prevalentemente da Francia, Germania, Austria e In alcuni casi dal Canada e dagli Stati Uniti). 

 

Grano straniero nella pasta? Sì, ma di buona qualità

Secondo quanto affermato da Emilio Ferrari, Presidente dell’Unione delle Associazioni dei Semolieri dell’Ue. “Non esiste una sola varietà di grano: ce ne sono tante, con caratteristiche diverse e in grado di adattarsi a luoghi diversi e solo alcune sono adatte alla pasta: In Australia, dove il clima è desertico, le rese sono molto basse, ma la qualità del grano è alta per contenuto proteico, qualità del glutine, colore e peso. La qualità del grano francese, che ha un ciclo autunnale-vernino come quello italiano, è invece favorita da una filiera estremamente organizzata”. 

 

Allora, come oggi, il secondo motivo per cui importiamo grano dall’estero è perché non sempre e non tutti gli anni il grano italiano raggiunge gli standard qualitativi previsti dalla legge di purezza

 

Lo stesso Ministero dell’Agricoltura informa (analisi del Crea riferiti al periodo 2011-2016) che solo il 35% del grano italiano ha contenuto proteico superiore al 13% e circa il 30% del grano duro prodotto in Italia è di qualità medio bassa, con un contenuto proteico inferiore al 12%, che lo rende non adatto alla pastificazione.

 

Si aggiunge a questo anche il parere di Maurizio Monti, mugnaio e per 8 anni e presidente di Antim, l’Associazione Nazionale Tecnici dell’industria Molitoria: “l’industria molitoria italiana, che esporta pasta e farina in tutto il mondo, ha bisogno del frumento importato sia per ragioni quantitative, quello che produciamo è insufficiente, che per ragioni qualitative, per rispondere alle richieste e agli standard dell’industria”. 

 

Ogni lavorazione della farina e della pasta che compriamo deve essere tracciata. La normativa europea dispone, infatti, la rintracciabilità del prodotto per ogni fase di produzione ma non l’identificazione dell’origine della materia prima. 

 

L’industria molitoria è obbligata a risalire al fornitore del grano ma non a conoscere l’agricoltore. Ogni tappa della filiera identifica in modo preciso quella precedente. Questo però non vuol dire che non si possa conoscere l’origine del grano, dato che i contratti di fornitura del frumento duro e tenero spesso prevedono l’indicazione dell’origine del grano anche se, al momento dell’acquisto, a prevalere sono le caratteristiche qualitative della materia prima. 

 

La pasta italiana: unica al mondo

Oggi 1 piatto di spaghetti su 4 al mondo, 3 su 4 in Europa, è prodotto in un pastificio italiano. Il segreto del successo mondiale della pasta made in Italy non è un segreto, ma è scritto nero su bianco nella Legge di purezza della pasta. 

 

Si tratta della Legge 580/67, l’unica normativa al mondo che garantisce i consumatori (e vincola i produttori) stabilendo i parametri di qualità e le caratteristiche del prodotto e della sua materia prima. 

 

Purtroppo, data l’ingente richiesta di pasta, per riuscire a coprire il grande fabbisogno, la produzione media di 4 milioni di tonnellate annue è sufficiente a coprire solo il 70% del necessario

 

Questo è il primo, ovvio, motivo per cui siamo obbligati a importare grano dall’estero (il 30% o il 40% del totale a seconda dell’annata).