Intervista

Packaging per frutta e verdura, la plastica è davvero indispensabile?

Perché il packaging di frutta e verdura è proprio di plastica? Esistono alternative più sostenibili? L’abbiamo chiesto a Serena Pironi, tecnologa alimentare che si è specializzata nei MOCA (materiali a contatto con gli alimenti).

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Si è fatto un gran parlare della plastica negli oceani, si sono tessute le lodi della direttiva europea che mette al bando posate e piatti usa e getta, eppure alcuni reparti dei supermercati italiani sono ancora enormi distese di plastica. Per ogni frutto o ortaggio sfuso c’è anche il suo corrispettivo confezionato, indipendentemente dal fatto che sia un fragilissimo fiore di zucca o un’arancia dalla scorza coriacea. E gli italiani si ostinano a comprarli, questi prodotti confezionati, nonostante il costo medio superi addirittura del 43% quello degli sfusi (è quanto emerge dalle elaborazioni Ismea per Il Fatto Quotidiano).

 

Ma è proprio obbligatorio che pellicole e vaschette siano di plastica? Esistono alternative più sostenibili? Che dire, poi, delle bioplastiche? L’abbiamo chiesto a Serena Pironi, tecnologa alimentare che si è specializzata nei MOCA (materiali a contatto con gli alimenti).

 

Ci sono delle tipologie di frutta e verdura per cui la plastica porta effettivamente dei vantaggi, per esempio in termini di sicurezza e allungamento della shelf life?

Partiamo da un presupposto: l’imballaggio serve a proteggere i prodotti alimentari. Anche frutta e verdura sfuse non si devono contaminare dal punto di vista fisico-chimico e biologico, ed è il motivo per cui ci viene imposto di indossare i guanti (anch’essi in plastica) prima di pesarle. Poi ci sono casi particolari come l’insalata già pronta e tagliata, che viene confezionata in atmosfera protettiva per rallentare la crescita dei microrganismi. Per mantenere questa particolare miscela di aria, il materiale della confezione deve possedere determinate caratteristiche, come la bassa permeabilità all’ossigeno e all’umidità. Attualmente però non siamo in grado di ottenere le confezioni in atmosfera protettiva con un monostrato, abbiamo bisogno di un multistrato che non è riciclabile.

 

Le altre tipologie di packaging di frutta e verdura invece sono riciclabili?

Esistono varie tipologie di plastica. Il sacco a rete per le patate ad esempio è costituito in monomateriale riciclabile. Può anche essere realizzato in cotone, senza quindi l’utilizzo di petrolio, ma in tal caso lo dobbiamo buttare nell’indifferenziato. Cosa ci dimostra quest’esempio? Che in teoria la plastica potrebbe non costituire un grosso problema, quando è monomateriale e quindi riciclabile; peccato, però, che una buona parte dei consumatori la disperda nell’ambiente. I packaging multistrato invece sono più critici perché non siamo sempre in grado di riciclarli, dipende dalla loro composizione.

 

I packaging di frutta e verdura possono essere realizzati con le bioplastiche?

Si può provare a realizzare un packaging equivalente con le bioplastiche come il PLA (acido polilattico), ma ogni singolo materiale non sempre va d’accordo con tutti i tipi di alimenti in ogni occasione. Ci sono dei materiali che vanno in frigo e non in forno, altri che vanno in forno e non in freezer; ci sono materiali che vanno d’accordo con la mela ma non il pomodoro che è acido. Bisogna poi verificare che non ci siano cessioni sull’alimento. Insomma, sostituire la plastica con le bioplastiche non è così facile. Un’altra opzione potrebbe essere il packaging riciclato, ma bisogna testarlo con il prodotto alimentare perché potrebbe contenere dei residui. In sintesi, il mercato esprime una forte richiesta di materiali alternativi alla plastica, ma bisogna far sì che siano realizzabili a livello tecnologico. 

 

E i costi?

I costi sono un grosso problema, perché attualmente i prezzi delle materie prime sono molto alti. Oltretutto, se per esempio l’azienda sostituisce un film plastico con uno equivalente in bioplastica, magari la macchina per il confezionamento non funziona più e va sostituita. Bisognerà fare degli investimenti per adeguare le tecnologie. Siamo sicuri che il consumatore sia disposto a pagare di più per un alimento confezionato in un packaging riciclabile? 

 

Cosa cambia con la direttiva europea sulla plastica monouso?

Siamo in un momento di grossi cambiamenti a livello legislativo. L’Unione europea imporrà, dal 1° gennaio 2022, l’obbligo di etichettatura ambientale per qualsiasi merce, alimentare e non. Considerato che l’Italia non produce i materiali (polimeri, carta, latta…) ma li importa dall’estero, dovrà andare a reperire i loro codici. Soltanto quest’inverno l’Italia ha emanato i decreti attuativi per la direttiva europea sulla plastica monouso, entrata in vigore a luglio 2021, e ha permesso anche le bioplastiche che invece l’Europa inizialmente aveva escluso.

 

Se è così, come possiamo ridurre il nostro impatto ambientale?

Siamo noi consumatori a cambiare le cose, perché i buyer della grande distribuzione sono costretti ad accontentare le nostre richieste. Se smettiamo di comprare frutta e verdura confezionata e scegliamo quella sfusa, determiniamo un cambiamento. E i prodotti sfusi non hanno gli imballaggi. Dopodiché, mettere in pratica la sostenibilità ambientale significa prediligere filiere corte e comprare soltanto prodotti di stagione; e abbiamo tutti gli elementi per farlo, perché è obbligatorio indicare la provenienza di frutta e verdura. Se proprio non possiamo fare a meno di acquistare un prodotto confezionato e porzionato, come la macedonia, andiamo alla ricerca dell’azienda che propone un packaging 100% riciclabile, e premiamola anche se il prezzo è leggermente più alto.