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Green deal europeo: carbon neutrality entro il 2050

Il piano per un green deal europeo è finalizzato a rendere l’Europa il primo continente climaticamente neutrale entro il 2050. Ecco com’è articolato.

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©jvdwolf - 123RF

Green deal europeo, la sfida della Commissione

Entro il 2050 l’Unione europea sarà neutra dal punto di vista climatico. Ciò significa che avrà ridotto a tal punto le sue emissioni di gas serra in atmosfera da riuscire a compensarle interamente con quelle che vengono assorbite da oceani, foreste e suolo. 

 

Il green deal europeo è il piano con cui l’Unione vuole raggiungere questo ambizioso traguardo, che non ha eguali a livello internazionale. È uno dei pilastri sui quali si regge il programma politico della Commissione guidata da Ursula von der Leyen, che si è insediata il 1° dicembre 2019 e resterà in carica fino al 2024. Insieme a lei, l’altro volto di questo programma è Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo per il green deal europeo.

 

Per realizzarlo la Commissione ha promesso di mobilitare mille miliardi di euro nell’arco dei prossimi dieci anni. Circa la metà dovrebbe provenire dal bilancio Ue, mentre 114 miliardi arriveranno da un cofinanziamento degli Stati membri e 300 miliardi dagli investimenti privati e pubblici. Altri 100 dovrebbero essere attratti dal meccanismo per una transizione giusta, indirizzato alle regioni che rischiano di trovarsi più in difficoltà.

 

Cifre ingenti, che non sono state messe in discussione nemmeno dopo la crisi economica innescata dalla pandemia. Anzi, Ursula von der Leyen ha promesso di spendere direttamente per gli obiettivi del green deal europeo il 37% di Next Generation Eu. Noto anche come recovery fund, è il principale strumento messo in campo per la ripresa, con una capacità complessiva di 750 miliardi di euro.

 

Le aree d’azione del green deal europeo

Si tratta di un processo di transizione colossale, che coinvolge tutti i settori dell’economia.

 

Impossibile non partire dall’energia, che oggi (tra produzione e uso) rappresenta oltre il 75% delle emissioni europee di gas a effetto serra. Entro il 2021 l’Unione aggiornerà la sua normativa sul settore energetico e gli Stati dovranno fare altrettanto entro il 2023.

 

Bisognerà ammodernare gli edifici, da cui oggi dipende il 40% dei nostri consumi energetici. Il settore dell’edilizia e delle costruzioni, agli architetti, gli ingegneri e le autorità locali avranno l’opportunità di confrontarsi in una piattaforma aperta. Oltre a favorire lo scambio di nuove soluzioni e creare opportunità di investimento, unire le forze è vantaggioso anche a livello di costi perché genera economie di scala.

 

L’industria dovrà impiegare in modo più oculato le risorse: oggi, per esempio, genera il 20% delle emissioni e impiega appena un 12% di materiale proveniente dal riciclo.

 

Servirà un sistema di trasporti ben più leggero e smart di quello odierno, che ha un impatto crescente in termini di emissioni di gas serra e di polveri sottili; in città entreranno quindi in gioco nuovi servizi di mobility-as-a-service e sistemi intelligenti di gestione del traffico. Un volume maggiore di merci dovrebbe essere trasportato su rotaia o per vie navigabili.

 

Per salvaguardare la biodiversità l’Europa si impegna a trasformare in area protetta almeno il 30% delle terre emerse e dei mari, piantare 3 miliardi di alberi entro il 2030, dimezzare l’uso e la nocività dei pesticidi nell’arco di dieci anni, ampliare le aree agricole coltivate a biologico, fermare il declino degli insetti impollinatori.

 

Strettamente legato all’agricoltura è il tema dell’alimentazione. La strategia From farm to fork (dal campo alla tavola), annunciata nella primavera 2020, vuole ridurre la dipendenza del nostro sistema alimentare da pesticidi chimici, concimi e antibiotici, sviluppando metodi innovativi e sostenibili per proteggere i raccolti dai patogeni. In parallelo, vuole aiutare i consumatori a diventare più consapevoli sul valore di una sana alimentazione.

 

Il meccanismo per una transizione giusta

Ancora oggi, però, diverse regioni europee sono ancora legate a doppio filo a un’economia fossile. Pensiamo per esempio a quante persone ancora lavorano all’interno di distretti carbonieri, bacini minerari, vecchie industrie siderurgiche. Limitarsi a imporre dall’alto la riconversione significherebbe far sprofondare in una profonda crisi l’intero tessuto sociale di questi territori.

 

Proprio dalla determinazione a “non lasciare indietro nessuno” nasce il meccanismo per una transizione giusta, che mobiliterà almeno 150 miliardi di euro tra il 2021 e il 2027; in parte fondi del bilancio Ue, in parte investimenti privati.

 

Questo denaro servirà per favorire la transizione verso tecnologie e attività a più basse emissioni di CO2, approfittandone per far evolvere il territorio nel suo insieme, innovando le infrastrutture, i sistemi di approvvigionamento di energia, la connettività digitale.

 

Tutto questo senza sacrificare posti di lavoro ma, anzi, offrendo opportunità di formazione e riqualificazione. L’Europa promette di proteggere non solo i lavoratori ma anche le aziende, offrendo loro opportunità di finanziamento, ricerca e innovazione, oltre a un più facile accesso ai prestiti.

 

I prodotti sostenibili devono diventare la norma

Nel territorio dell’Unione europea, i prodotti sostenibili devono diventare la norma. È questo il filo rosso che collega tra di loro una serie di proposte presentate dalla Commissione europea il 30 marzo 2022, sempre nell’ambito del Green Deal. Iniziative che possono essere suddivise in alcuni macro-capitoli.

 

Una direttiva sulla progettazione ecocompatibile esiste già da un decennio e, solo nel 2021, ha comportato una sforbiciata di 120 miliardi di euro sulle bollette dell’energia. Partendo da qui, l’Unione europea vuole stabilire nuove disposizioni, specifiche per ciascuna linea di prodotto, volte a migliorare l’efficienza energetica, ridurre l’impatto climatico e ambientale e promuovere la circolarità, il che significa allungare la vita media e facilitare la riparazione, la manutenzione e il ricondizionamento.

Una rivoluzione che interesserà qualsiasi bene fisico immesso sul mercato, con la sola esclusione di alcune specifiche categorie come l’alimentare, i mangimi e i medicinali. Per consentire ai consumatori di fare scelte d’acquisto consapevoli, ogni prodotto avrà il suo passaporto digitale; si parla anche di introdurre un’etichetta, simile a quella energetica.

 

Il secondo capitolo è quello del tessile, responsabile di 1,2 miliardi di tonnellate di CO2 riversate in atmosfera ogni anno, più dei voli aerei e dei trasporti marittimi messi insieme. Per non parlare dell’uso di pesticidi (i campi di cotone, da soli, consumano l’11% del totale globale), acqua (il dispendio è pari a 93 miliardi di metri cubi l’anno) e sostanze chimiche.

La strategia dell’Unione per i prodotti tessili e circolari mette nero su bianco una serie di azioni concrete volte a far sì che, entro il 2030, tutti i prodotti tessili immessi nel mercato siano riciclabili, di lunga durata, privi di sostanze chimiche tossiche e nocive e realizzati – per quanto possibile – con fibre riciclate. La direttiva europea sulla due diligence introdurrà il principio della responsabilità estesa del produttore; ciò significa che il brand dovrà rendere conto non solo delle attività che gestisce direttamente ma anche di tutto ciò che accade lungo la sua filiera, sia in termini ambientali sia per quanto concerne il rispetto dei diritti dei lavoratori.

 

L’Unione introdurrà inoltre misure specifiche per limitare il rilascio di microplastiche, incentivare il riutilizzo e la riparazione dei capi e assicurare che i consumatori siano correttamente informati. Questo cambiamento arriva in un momento storico in cui il mondo della moda sta cercando di risollevarsi dallo shock legato alla pandemia; è per questo che la Commissione ha dato il via a un percorso di transizione per l’ecosistema tessile.

 

L’altra filiera sulla quale l’Unione è intervenuta in modo rilevante è quella dei prodotti da costruzione. Anche in questo caso, i numeri in gioco sono rilevanti: nell’edilizia lavorano oltre 5 milioni di imprese, per un totale di 25 milioni di addetti e un contributo pari al 10% del Pil dell’Unione. Spesso si sente dire che gli edifici consumano il 40% dell’energia nell’Unione ed emettono il 36% dei gas serra a essa associati, ma più di rado si riflette sul fatto che siano anche responsabili del 50% dell’estrazione e del consumo di risorse e del 30% della produzione di rifiuti.

 

Per questo, il regolamento sui prodotti da costruzione sarà rivisto in modo tale da renderli più durevoli, riparabili, riciclabili e facili da rifabbricare. Prestazioni ambientali e climatiche che verranno misurate e divulgate, all’insegna della trasparenza.