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Il cashmere riciclato del pratese

Il cashmere rigenerato si sta imponendo sul mercato dell'abbigliamento. A partire dal distretto toscano di Prato, dove decine di aziende stanno puntando sull'economia circolare di questa materia prima.

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Da diversi anni, il distretto di Prato si sta popolando di decine di industrie tessili che stanno optando per il cashmere riciclato.

Quella del riuso delle fibre di lana, in realtà, è una tradizione antica: come scriveva Curzio Malaparte in Maledetti Toscani: “Tutto il mondo finisce a Prato in stracci e da Prato riprende vita”.

È infatti dalla metà dell’Ottocento che l’area è specializzata nel riciclo di fibre tessili e alimenta una filiera di lavorazioni e figure introvabili altrove.

Il cashmere rigenerato, o riciclato, si ottiene rigenerando la fibra secondo una lavorazione che segue i principi dell’economia circolare. Ora l’applicazione al cashmere, anziché alla lana, è una scelta sospinta dalle richieste di un mercato sempre più sensibile alla sostenibilità.
 

Dalle aziende alle startup

L’ultima azienda a investire sul cashmere riciclato è Lineapiù di Alessandro Bastagli che ha lanciato la collezione “Endless”, certificata Global Recycle Standard (GRS), una delle certificazioni più importanti a livello internazionale nel settore.

Lineapiù non è l’unica: secondo un approfondimento de ilSole24ore, tra i precursori c’è Filpucci, storica azienda pratese, che produce 90mila chili all’anno di questo tipo di cashmere rigenerato, il 15% della propria produzione. Da loro si rifornisce, tra gli altri, H&M per il proprio marchio Arket.

Tra i produttori pratesi c’è anche lo storico Gruppo Pecci, attraverso l’azienda Filati Naturali, che ne produce circa 40mila chili all’anno riutilizzando maglie usate o sottoprodotti di filatura trattati dagli specialisti della filiera. Una scelta che ha contribuito a far crescere il fatturato dell’azienda del 7%.

Non mancano poi le startup: a Prato, nel 2017, è nato Rifolab che recupera i tessuti scartati, dandogli una seconda vita. "Rifò" significa proprio "rifare" e si tratta di un progetto di circular fashion completamente made in italy. 

 

Un risparmio di materie prime, di acqua e di prezzo

Insomma, oggi la moda si è accorta delle fibre rigenerate le quali, grazie all’esperienza del distretto di Prato, in termini di qualità non ha nulla a che invidiare ai filati vergini.

Il cashmere rigenerato permette non solo di evitare un rifiuto (e il consumo di energia utilizzata per il suo smaltimento) ma anche un risparmio a monte di materie prime, di acqua (90% in meno), energia (80% in meno), di anidride carbonica generata (95% in meno) e tinture.

Va precisato che un capo d’abbigliamento non può essere riciclato al 100% (la percentuale di cashmere rigenerato va di solito dal 70 al 95) ma questo ocntribuisce al contenimento dei prezzi al consumatore, ridotti mediamente del 30-50%.

Stella McCartney, Patagonia, Zegna, Pangaia sono solo alcuni dei clienti che si stanno orientando sempre di più all’uso di questo materiale.