Intervista

Zoonosi, qual è lo scenario

La domanda non è “se” avremo una prossima pandemia ma “quando”. Con queste parole Danilo Russo, professore di Ecologia presso l’università Federico II di Napoli, ci invita a riflettere sulle cause ambientali profonde che hanno scatenato la pandemia da coronavirus.

Zoonosi

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Nell’arco degli ultimi due anni, parole come zoonosi (una malattia che si trasmette dall’animale all’uomo) e spillover (il “salto di specie”) sono entrate nel nostro vocabolario quotidiano. Tra vent’anni sarà ancora così? La pandemia che stiamo vivendo è destinata a restare una parentesi isolata nella nostra storia, oppure è l’inizio di un ciclo?

 

In un momento in cui l’attenzione mediatica è monopolizzata dai vaccini, abbiamo preferito andare controcorrente e farci qualche domanda più profonda sul perché del Covid-19. Ad accompagnarci è Danilo Russo, professore di Ecologia presso il dipartimento di Agraria dell’università Federico II di Napoli.

 

Quali sono le analogie tra il coronavirus e le altre zoonosi?

Questa zoonosi, come tante altre, è figlia di un cattivo rapporto tra uomo e natura. Purtroppo non conosciamo le cause precise di quest’ennesimo evento zoonotico ma sappiamo che, molto probabilmente, è legato al consumo di fauna selvatica (bushmeat) in molte regioni del mondo. In questo caso è avvenuta in Cina, ma ci sono tanti altri posti del mondo in cui si catturano animali per consumarli a scopo alimentare, terapeutico e così via. 

 

È un fenomeno di grandi dimensioni che un tempo era limitato al sostentamento di piccoli gruppi ma poi, con l’avanzare dell’urbanizzazione e l’aumento della popolazione, ha raggiunto dimensioni insostenibili. Insostenibili non solo in termini di conservazione delle specie – che vengono prelevate dalla natura e spesso ridotte al lumicino – ma anche, come abbiamo visto, in termini di rischio zoonotico.

 

Quali certezze abbiamo sull’origine del coronavirus?

Non sappiamo da quale specie animale provenga questo virus. Abbiamo sbattuto i pipistrelli in prima pagina perché alcuni coronavirus, geneticamente simili a questo, sono presenti in alcune specie di pipistrelli che vivono nel sud della Cina. Tuttavia, non conosciamo assolutamente quale sia stato l’ospite da cui – direttamente o indirettamente – questo virus sia arrivato. Si è anche ipotizzato che sia passato attraverso specie intermedie per arrivare all’uomo. Francamente credo che quest’argomento distragga l’attenzione dal motivo fondamentale, cioè il contatto innaturale con la fauna selvatica. 

 

Quali sono le condizioni che facilitano il "salto di specie" del virus dall'animale all'uomo?

La verità è che abbiamo un problema di consumo di fauna selvatica in molte zone del mondo, inclusa la Cina. Questo implica una serie di cose. Gli animali vengono catturati nel loro ambiente naturale e trasportati in condizioni allucinanti. Quando arrivano ai mercati sono già immunodepressi e vengono tenuti tutti insieme, creando un cocktail di specie che in natura non entrerebbero in contatto tra loro. Spesso vengono macellati in situ e quindi i rivenditori e gli acquirenti sono a contatto non solo con gli animali vivi ma anche con il loro sangue. Si crea così una tempesta perfetta”, la condizione ambientale ideale per uno spillover, cioè il passaggio di un patogeno da una specie all’altra.

 

Quando lo spillover riguarda l’uomo, il virus ha vinto la lotteria. Siamo la specie ideale per un evento zoonotico perché siamo tantissimi, viviamo in grande prossimità, siamo altamente sociali e ci spostiamo molto rapidamente da una parte all’altra del globo. Prendiamo gli aerei, cosa che le altre specie non fanno; anche il più bravo dei migratori impiegherebbe mesi per percorrere le rotte che noi copriamo nell’arco di qualche ora. Quella è la condizione ideale perché un virus possa prosperare.

 

C’è una cosa che bisogna mettere bene in evidenza. Un conto è l’origine evolutiva del virus, cioè la specie da cui proviene. Un altro è l’origine epidemiologica, legata al contesto ambientale e alle azioni umane. Ho parlato di bushmeat e di consumo di fauna selvatica, ma questo è soltanto uno di tanti aspetti difficili da separare tra loro: la deforestazione, la frammentazione degli ambienti forestali, l’espansione dell’agricoltura e delle aree urbane all’interno di regioni un tempo incontaminate… Tutti questi fenomeni creano nuove frontiere di contatto tra uomo e fauna selvatica, determinando condizioni innaturali di prossimità che possono originare eventi zoonotici. I cambiamenti climatici incrementano questo rischio. 

 

Questa pandemia quindi non resterà un caso isolato?

Il quadro ambientale complessivo rende le zoonosi più frequenti. C’è già stato un aumento esponenziale negli ultimi cinquant’anni e ora dovremo aspettare le prossime. La domanda non è “se” avremo una prossima pandemia ma “quando”, perché tutti i fattori che ho appena descritto sono assolutamente fuori controllo e sono sempre più impattanti.

 

Quindi lei sta dicendo che abbiamo trovato un vaccino, ma non abbiamo trovato – o non abbiamo voluto trovare – un metodo per intervenire in modo strutturale sulle cause…

Assolutamente. Il vaccino è una strategia correttiva, non è una strategia preventiva. O meglio, previene il rischio di contagiarsi, non il rischio che una nuova pandemia abbia luogo. Solo intervenendo sulle cause ambientali è possibile prevenire ulteriori eventi pandemici, ma non lo stiamo facendo. Finché continueremo ad andare avanti con il business as usual, finché non prenderemo coscienza di quali sono i fattori alla base degli eventi zoonotici, il rischio sarà sempre più forte. Anche perché la popolazione globale continua a crescere, siamo quasi otto miliardi.

 

Finora abbiamo parlato di animali selvatici, ma che ruolo hanno gli allevamenti intensivi?

Spesso gli allevamenti occupano gli ambienti naturali e, di conseguenza, creano un contatto tra selvatici e domestici. Nel momento in cui il patogeno passa negli animali domestici e questi ultimi sono ospitati con densità innaturali, c’è un grande rischio di trasmissione. Gli animali domestici sono amplificatori potentissimi. Se il virus entra nei maiali, per esempio, la carica virale aumenta. Noi siamo sempre in prossimità degli animali domestici; se questi entrano in contatto con un virus proveniente dagli animali selvatici, lo possono veicolare all’uomo in maniera estremamente efficiente.

 

Quindi si tratterebbe di ripensare il sistema alimentare nel suo insieme…

Certo. I visoni per esempio sono stati colpiti dal Covid-19, in Danimarca e anche in Italia. Con ogni probabilità il virus è arrivato dalle persone che gestivano questi allevamenti e ha avuto via libera, considerato che gli animali erano stipati all’inverosimile e quindi immunodepressi. È stato necessario abbattere milioni di capi per contenere il contagio; pare che ce l’abbiano fatta, ma è un buon esempio di quanto gli allevamenti intensivi siano parte di questo problema. La cosa difficile da far capire alle persone è che noi siamo di fronte a una crisi ambientale, prima ancora che a una crisi sanitaria. È una delle spie che si sono accese sul cruscotto del Pianeta per indicarci che qualcosa ormai sta andando davvero male.