Intervista

Monica Pais: Effetto Palla Onlus e la vita dedicata all'amore per gli animali

L'associazione no profit Effetto Palla Onlus accoglie gli animali randagi e feriti, li cura e cerca per loro una nuova famiglia. In Sardegna e non solo. A raccontarci i progetti e lo spirito della onlus è la fondatrice Monica Pais.

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©Monica Pais

Quando nel 2016 recuperano una cagnetta di razza pitbull alla periferia di Terralba, in provincia di Oristano, gli operatori dell’Asl non possono credere ai loro occhi. È scheletrica ma ha una testa rigonfia e deforme. Questo perché, quando era ancora una cucciola, le è stato stretto al collo un laccio di nylon che è rimasto lì, infossato, a segarle la pelle e i muscoli.

 

Dopo averla soccorsa, gli operatori portano la cagnetta alla clinica veterinaria Duemari di Oristano, nota per la sua dedizione verso i “rottami”, randagi malridotti che vengono curati e dati in adozione. Lì la sua strada si incontra con quella di Monica Pais, una caparbia veterinaria che si prende cura di lei, la aiuta a rimettersi in forze e la accoglie nella sua famiglia, con il nome di Palla.

 

Le immagini di Palla non possono lasciare indifferenti e rimbalzano da una bacheca Facebook all’altra. Ben presto, la cagnolina diventa un simbolo. Un simbolo del dramma dell’abbandono, della cieca crudeltà umana, ma anche di una seconda opportunità che spetta a qualsiasi creatura.

 

Ispirata da questa storia, Monica Pais riunisce una squadra di veterinari e volontari e dà vita all’associazione no profit Effetto Palla Onlus, una rete di strutture e operatori che aiutano gli animali randagi, feriti, abbandonati. Li accolgono, li curano e cercano per loro una nuova famiglia. A raccontarci i progetti e lo spirito della onlus è proprio Monica Pais.

 

In parallelo alla sua missione principale, cioè soccorrere gli animali in difficoltà e trovare loro una nuova casa, Effetto Palla Onlus gestisce tanti progetti, in Sardegna e non solo. Ci può citare i più importanti che sono attualmente in corso?

Stiamo seguendo svariati progetti, alcuni dei quali internazionali, molto belli e originali. In Brasile collaboriamo da anni con un’associazione locale che eroga corsi di formazione rivolti ai ragazzi delle favelas. Gli assistenti veterinari che si sono formati grazie a questi corsi ben presto avranno l’opportunità di lavorare in una nuova clinica per animali che stiamo realizzando nelle favelas San Paolo. Ormai operiamo in tutto il mondo, da Capo Verde al Kenya

 

I nostri progetti sono tutti di tipo circolare. La nostra mission è quella di prenderci cura degli animali di nessuno, ma così facendo sosteniamo anche gli umani che si occupano di loro, perché ciascuno di noi fa volontariato anche per migliorare sé stesso.

 

Lavoriamo tanto anche qui in Sardegna, per esempio con la nostra campagna di sterilizzazione di cagne e gatte che ormai ha raggiunto numeri importanti: si parla di 600 gatte, mentre il numero di cagne è inferiore per le maggiori difficoltà logistiche. In accordo con i veterinari del territorio, la onlus sterilizza gatte insistenti in colonie non riconosciute e, quindi, completamente a carico dei volontari che se ne occupano. In più, abbiamo già distribuito cibo per un valore di oltre 200mila euro agli animali che erano rimasti senza nulla da mangiare dopo gli incendi sul Montiferru.

 

Alcuni dati parlano di 66mila cani randagi in Sardegna, 8.900 nei canili. La situazione è davvero così grave e perché?

La situazione è critica perché la nostra è una regione con poco più di un milione e mezzo di abitanti e tantissime aree rurali. Spesso i cani degli allevatori e dei pastori non vengono microchippati, sfuggono a qualsiasi statistica e sono l’incunabolo del vagantismo. Già, perché qui non ci sono cani randagi come in Sicilia o in Calabria, bensì cani vaganti. “Vaganti” significa che possono essere ricondotti a una vita con l’uomo, da cui si sono allontanati volontariamente o perché non sono stati seguiti a dovere. La mancanza di microchip fa di essi dei randagi nel momento in cui magari vengono investiti da un’auto o si trovano in difficoltà per altre ragioni. 

 

La Asl di Napoli da qualche anno mette a disposizione un camper per microchippare gratuitamente cani, gatti e furetti. Può essere una misura utile?

Potrebbe essere utile, ma dubito che qui possa attecchire al punto tale da incidere sul fenomeno degli animali vaganti. Per l’allevatore, il cane è un animale da lavoro. In teoria dovrebbe essere obbligatorio censire tutti gli animali che vivono in ambienti dove si producono alimenti per uso umano, ma ciò non avviene, anche perché c’è un turnover continuo. E non è solo un problema degli allevatori, perché spesso non vengono microchippati nemmeno i cani di proprietà nei piccoli paesi. È proprio una questione di forma mentis. Noi cerchiamo proprio di sensibilizzare le persone. Spieghiamo che la convivenza con il cane non può prescindere dal suo riconoscimento nella famiglia, un riconoscimento che passa anche per l’identificazione.

 

Da poco ha pubblicato un libro intitolato “Con i loro occhi: Cani, gatti (e non solo): piccolo manuale per un'adozione consapevole”. Quali sono gli errori più comuni che si commettono, magari in buona fede, quando si adotta un animale?

Sono quasi certa del fatto che molti errori si commettano in buona fede o, per lo meno, voglio crederci. Ci sono delle tematiche che tante persone non conoscono e, quindi, non possono valutare: così magari scelgono gli animali per moda o per gusto estetico, per poi trovarsi alle prese con grandissimi problemi. Così ho scritto una sorta di compendio delle cose a cui bisogna pensare seriamente prima di prendere un animale. Soprattutto quando si ha a che fare con un cane, è indispensabile essere consapevoli di quello che si è, di quello che si fa e di quello che si può offrire. In caso contrario, si rischiano enormi problemi.

 

Quindi tutto nasce anche da una scarsa conoscenza dell’animale che si sta per introdurre in famiglia?

Le esigenze di tutti i cani sono sempre le stesse, con alcune differenze legate alla razza e alla dimensione, ma non sempre le persone indagano a fondo sulle proprie possibilità. È un po’ come comprarsi la bicicletta anche se si odia pedalare: la bicicletta sarà pure bellissima ma resterà in garage. A differenza di un oggetto, però, il cane soffre. Se il suo padrone odia camminare e preferisce passare il weekend sul divano davanti alla tv, il cane sarà un infelice. Non voglio stigmatizzare lo stile di vita di nessuno, vorrei soltanto che le persone si analizzassero in modo più serio, un po’ come fanno quando decidono di avere un figlio.

 

C’è anche l’abitudine di comprare animali di razza, magari affidandosi a venditori poco raccomandabili che offrono il prezzo più basso. Quali sono i rischi?

Alcune razze sarebbero proprio da vietare. Bisognerebbe vietare di possedere, riprodurre e vendere tutti i brachicefali, soprattutto quelli di piccola taglia come carlini, bulldog francesi e bulldog inglesi. Questo perché la selezione verso l’ipertipo ha determinato la creazione di cani cardiopatici, che faticano a respirare, cani che in natura non sarebbero mai sopravvissuti. Dal punto di vista etico è un disastro.

 

Detto questo, si possono comprare cuccioli da allevatori sicuri? Certamente gli allevatori affidabili esistono, non si può fare di tutta l’erba un fascio, e rivolgersi a loro dà buone probabilità che il cane non sia affetto da tare riconosciute, salvo quelle legate alla razza. Di sicuro non bisogna mai comprare cani di cui non si conosce la provenienza o che arrivano da paesi extra-europei. Detto questo, la mia posizione è netta: se vuoi un cane, fai un giro al canile