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Yanomami: il popolo custode dei segreti della foresta amazzonica

Tra le tribù indigene più numerose della foresta amazzonica ci sono gli Yanomami, un popolo che è sfuggito allo sterminio da parte dei cercatori d’oro illegali e ora vive in armonia con la natura.

yanomami

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©Ambar~commonswiki / Wikimedia Commons

I popoli indigeni della foresta amazzonica

Quando si parla dei popoli che abitano la foresta amazzonica, di norma ci si riferisce a loro genericamente come “nativi”, ma è una definizione che comprende al suo interno realtà molto diverse tra loro. D’altra parte, il bioma dell’Amazzonia si estende su 6,7 milioni di chilometri quadrati, il doppio della superficie dell’India, suddivisi tra nove diversi Stati.

 

Il WWF fa sapere che il 9,2% della popolazione dell’Amazzonia fa parte di un popolo indigeno: stiamo parlando di circa 2,7 milioni di persone che rappresentano oltre 350 gruppi etnici. Di questi, una sessantina vivono in isolamento volontario: ciò significa che in passato non sono stati colonizzati e tuttora rifiutano di entrare in relazione con il resto della società.

 

Ciò non significa che lo Stato debba disinteressarsi di loro, anzi. Il loro storico isolamento fa sì che questi popoli siano molto vulnerabili innanzitutto alle patologie, anche quelle che nel mondo esterno sono comuni e innocue. Per evitare contatti indesiderati, le autorità possono identificare delle zone di esclusione in cui è interdetto l’accesso agli estranei. Alcune organizzazioni, inoltre, monitorano il territorio a distanza per intercettare eventuali accessi illegali.

 

La storia del popolo Yanomami

Fra le tribù che vivono in relativo isolamento, gli Yanomami sono una delle più numerose. Di antichissima origine asiatica, oggi vivono in un vasto territorio suddiviso tra il Brasile settentrionale (9,6 milioni di ettari) e il Venezuela meridionale (nella riserva di Biosfera Casiquiare-Alto Orinoco, che si estende su altri 8,2 milioni di ettari). Nel complesso, la popolazione conta circa 45mila individui.

 

Si parla di isolamento “relativo” perché in passato ci sono stati alcuni contatti con l’esterno, dall’esito drammatico. A partire dal primo, quello con le autorità brasiliane e i missionari negli anni Quaranta, che provocò varie epidemie di influenza e morbillo. Negli anni Ottanta, 40mila cercatori d’oro invasero le terre Yanomami, uccidendoli, distruggendo i loro villaggi e portando malattie: il 20% di questo popolo morì nell’arco di appena sette anni.

 

Grazie a una campagna internazionale a cui ha partecipato anche Survival international, nel 1992 il loro territorio in Brasile fu demarcato come “parco Yanomami”. Nonostante ciò, già l’anno successivo un gruppo di garimpeiros (cercatori d’oro illegali) assalì illegalmente un loro villaggio assassinando 16 persone, tra cui un neonato. Un atto di violenza spregiudicata che in seguito venne condannato come genocidio da un tribunale brasiliano.

 

Come sottolinea Survival international, il riconoscimento dei diritti territoriali di questo popolo è ancora parziale. Cosa che espone le terre Yanomami alle mire di chi vuole sfruttarne le risorse minerarie o accaparrarsele per gli allevamenti intensivi di bestiame.

 

Come vivono gli indigeni Yanomami

Il nome Yanomami derive da yano, una grande casa comune fatta ad anello: al centro c’è l’ampio spazio aperto destinato a danze, giochi e cerimonie, la circonferenza invece è costituita dagli spazi al coperto in cui ogni famiglia ha il suo focolare. In uno yano possono vivere fino a quattrocento persone. 

 

La loro è un’economia di sussistenza, legata a doppio filo alle risorse della natura. Le principali attività sono l’agricoltura e la raccolta, di cui si occupano le donne, e la caccia, di pertinenza esclusiva degli uomini. La caccia ha un forte valore simbolico, tant’è che la preda non viene consumata immediatamente ma spartita con gli altri membri della comunità. Molto praticata anche la pesca fluviale. Le piante fungono da nutrimento, ma anche da medicinali e materie prime con cui costruire edifici e utensili di ogni tipo. 

 

Il lavoro occupa solo poche ore al giorno: tutto il resto è dedicato alla socialità, allo svago, ai rituali religiosi e sciamanici