Intervista

Fabiano Ventura: un fotografo sulle tracce dei ghiacciai

Il fotografo paesaggista Fabiano Ventura si è dato una missione: permetterci di vedere con i nostri occhi gli effetti dei cambiamenti climatici. Il risultato è Sulle tracce dei ghiacciai, un progetto fotografico e scientifico che l’ha portato su 87 diversi ghiacciai nell’arco di 12 anni.

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©2016 Federico Santini - © Associazione Macromicro

Sappiamo che la fusione dei ghiacciai è un fenomeno globale che procede a ritmi allarmanti. Lo sappiamo perché ce lo dimostrano gli studi scientifici, perché lo leggiamo sui giornali. Però si tratta pur sempre di qualcosa di distante dalla nostra percezione e dalla nostra quotidianità; per questo, possiamo fare fatica a renderci conto di cosa significhi realmente. 

 

Il fotografo paesaggista Fabiano Ventura si è dato una missione: permetterci di vedere con i nostri occhi gli effetti dei cambiamenti climatici. Il risultato è Sulle tracce dei ghiacciai, un progetto fotografico e scientifico che l’ha portato su 87 diversi ghiacciai nell’arco di 12 anni: ha cominciato con il Karakorum nel 2009, per poi continuare con il Caucaso nel 2011, l’Alaska nel 2013, le Ande nel 2016, l’Himalaya nel 2018 e concludere con le Alpi tra il 2019 e il 2021.

 

Accompagnato da un team di videomaker, fotografi e scienziati e dalla sua inseparabile macchina fotografica, Fabiano Ventura ha realizzato 314 scatti che replicavano con assoluta precisione le foto d’archivio realizzate tra la metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Nella stessa location, nello stesso momento dell’anno e dalla stessa angolazione, per mostrare in modo inequivocabile le conseguenze dell’azione dell’uomo. L’abbiamo intervistato al termine delle spedizioni sul campo, mentre prepara le prossime mostre con cui presenterà i risultati del progetto al grande pubblico.

 

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©2020 Fabiano Ventura - © Associazione Macromicro

Com’è nato il progetto “Sulle tracce dei ghiacciai”?

Tutto è nato negli anni Duemila, quando il tema dei cambiamenti climatici era affrontato soltanto dalla ricerca scientifica ma non era per nulla percepito dalle persone. Da fotografo paesaggista, avendo visitato molte zone remote del pianeta più volte a distanza di anni, ho notato l’impatto tangibile delle azioni dell’uomo sull’ecosistema. Così, ho cercato una metodologia originale – e soprattutto efficace – per parlare a un pubblico più vasto possibile. 

 

Utilizzando la tecnica della repeat photography, ho pianificato sei spedizioni per vedere con i miei occhi i ghiacciai e fotografarli, replicando le fotografie scattate dalla metà dell’Ottocento alla metà del Novecento. In questo modo potevo far vedere come fossero cambiati da allora. Ho coinvolto anche ricercatori, glaciologi e climatologi, che hanno estrapolato i dati sul campo, e registi e filmmaker che hanno documentato il tutto. Questo mi ha permesso di comunicare con il grande pubblico in modo originale ed emozionale attraverso mostre itineranti, documentari, e conferenze. 

 

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©2021 Matteo Trevisan © Associazione Macromicro

Il progetto parla anche ai non addetti ai lavori che, magari, hanno una conoscenza solo superficiale dei cambiamenti climatici?

Queste fotografie possono essere comprese a più livelli, sia dal professore universitario sia da chi non ha conoscenze scientifiche. Organizzare mostre, videoinstallazioni ed eventi mi ha permesso di presentare i risultati a un vasto pubblico, aumentando la consapevolezza su quanto sia urgente agire per ritrovare un equilibrio tra uomo e natura. Quest’equilibrio c’era, ma noi lo abbiamo perso. Ed è un problema, perché l’uomo dipende dal clima. Sono andato alla ricerca di fotografie di grande impatto estetico, perché volevo far capire quanto erano belli quei ghiacciai che ora sono ridotti a vallate brulle e detritiche. Abbiamo anche raccolto testimonianze su quanto l’arretramento dei ghiacciai abbia cambiato la vita e le abitudini delle persone, magari costrette a lasciare i villaggi rurali per trasferirsi in città. Abbiamo ritratto ambienti che un tempo erano urbanizzati e ora sono abbandonati.

 

Oltre a lei, quante persone hanno lavorato al progetto?

Il progetto è promosso dall’associazione no profit Macromicro, di cui sono presidente, fondata nel 2009 per sviluppare iniziative di carattere ambientale. Nell’arco di 12 anni, tra lo staff e i collaboratori esterni, ci hanno lavorato oltre cinquanta professionisti

 

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©2020 Dario Orlandi - © Associazione Macromicro

Negli ultimi 12 anni ha portato avanti otto spedizioni sul campo, per un totale di 314 confronti fotografici. Può raccontarci un momento che le è rimasto impresso in modo particolare?

L’incontro con un signore 94enne a Mestia, una cittadina nella Georgia del nord. Ci ha raccontato di quando era giovane e abitava ad Adishi, dove allevava il bestiame e coltivava l’erba da fieno per nutrire gli animali durante l’inverno. Si è reso conto del fatto che, per l’aumento delle temperature, ogni anno il fieno cresceva più in alto e, nel frattempo, il ghiacciaio arretrava. Alla fine si è dovuto arrendere e si è trasferito a Mestia per lavorare come meccanico. Per lui è stato un trauma, un completo cambiamento di vita.

 

Un profugo climatico, insomma.

Esatto, c’è chi si lamenta dei migranti ma la verità è che nei prossimi anni milioni di persone saranno costrette a spostarsi, compresi – molto probabilmente – noi italiani. Noi stessi abbiamo grossi problemi di siccità, alcune zone stanno diventando inospitali. I mutamenti climatici sono sempre esistiti ma ora avvengono con dei tempi a cui l’umanità non riesce ad adattarsi. 

 

Da fotografo, mi sono chiesto come avrei potuto comunicare tutto questo e ho utilizzato la tecnica della repeat photography per realizzare un archivio unico ed esteso a livello mondiale. L’organizzazione logistica delle spedizioni è stata molto complicata. Prima di ogni missione ho impiegato anche anni per recuperare le fotografie storiche. Dopodiché ho dovuto organizzarle, spesso in luoghi remoti, chiedendo il supporto delle ambasciate per raggiungere le zone interdette ai turisti. Infine c’è stato tutto il lavoro di digitalizzazione e restauro delle fotografie storiche e la post-produzione insieme alle moderne tecnologie e il montaggio dei documentari trasmessi da diverse reti internazionali, compresa la Rai. La presenza sui media ci ha aiutato molto a divulgare i risultati.

 

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©2020 Dario Orlandi © Associazione Macromicro

Quali sono le prossime occasioni in cui sarà possibile vedere questo lavoro?

Ora le spedizioni sono finite ma il progetto continua, con la fase di divulgazione dei risultati. Fino a maggio 2022 la mostra fotografica è alla Klima Arena di Sinsheim, in Germania, con i primi risultati delle spedizioni sulle Alpi italiane. Ma stiamo lavorando alla mostra finale: sarà un grande progetto espositivo multimediale e interattivo, che sfrutta le più moderne tecnologie per creare video-installazioni e proiezioni immersive. La “prima” mondiale sarà al Forte di Bard, in Valle d’Aosta, dal 17 giugno al 13 novembre 2022. Ci saranno poi altre tappe, visto che abbiamo ricevuto richieste da diversi musei in tutto il mondo.