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Brasile, la vittoria di Bolsonaro e la deforestazione in Amazzonia

Per la deforestazione, contro gli Accordi di Parigi sul clima, ma anche xenofobo e dal pugno duro: il programma del nuovo presidente del Brasile, Jair Bolsonaro potrebbe mettere a serio repentaglio la sopravvivenza dell'Amazzonia, polmone verde del pianeta.

Brasile, la vittoria di Bolsonaro e la deforestazione in Amazzonia

In Brasile la vittoria del candidato di estrema destra Jair Bolsonaro ha sorpreso per l'ampio margine di successo che ha, di fatto, superato anche la più generosa delle previsioni.

L'ex comandante militare è il nuovo Presidente con oltre 10 milioni di voti in più rispetto all'avversario Fernando Haddad del Partito dei lavoratori, "erede" dell'ex presidente Lula, oggi in carcere per corruzione.

Abbiamo ragioni per riflettere con una certa preoccupazione sulle mosse che il "Trump dei Tropici" - come già Bolsonaro è stato rinominato - ha prospettato sui temi ambientali per il suo Paese e rispetto alle relazioni internazionali.

La ricetta del leader populista, in Parlamento dal '91, è in linea, a dire il vero, con le altre promesse elettorali dall'impronta nazionalista sul versante economico e fortemente xenofoba e autoritaria sul fronte sociale.

 

La linea dura contro l'ambiente del Presidente Bolsonaro

 

1. Fuori (ma forse ci ripensa) dall'accordo di Parigi sul Clima

Come è già avvenuto per gli Stati Uniti con Donald Trump nel 2017, anche il Brasile potrebbe chiamarsi fuori dall'accordo sulla riduzione delle emissioni stabilite durante la Cop 21. Questo è quanto aveva dichiarato nella sua campagna "social" il candidato della destra estrema.

Con che conseguenze? L'effetto domino che sembra prospettarsi darebbe un duro colpo alla cooperazione internazionale sul clima.

Il Brasile è una delle economie su cui è maggiormente concentrata l'attenzione internazionale in quanto Paese Brics (L'associazione delle 5 economie emergenti Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), il cui diritto allo sviluppo economico deve coincidere con gli obiettivi fissati dalla Conferenza di Parigi.

Jair Bolonaro, richiamando posizioni negazioniste sugli effetti devastanti dei cambiamenti climatici condivise ancora una volta col Presidente degli Stati Uniti, ne attribuisce le responsabilità all'aumento "esplosivo" della popolazione, dichiarando di fatto di non aver intenzione di rispettare il limite di emissioni imposto dall'accordo internazionale per ciascun Paese per contenere il riscaldamento globale.

 

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2. Tra deforestazione e apertura di miniere

Per sostenere l'economia interna, Bolsonaro intende dare l'ok all'apertura di miniere e di altre attività commerciali nelle zone indigene, privando le comunità locali della possibilità di occupare queste terre, diritto sancito anche dalla Costituzione del Paese.

Già oggi esiste un problema concreto di diritto alla terra: l'1% della popolazione in Brasile detiene il 60% delle terre.

Questa proposta ha trovato da subito l'appoggio (e dunque il voto) degli imprenditori e fa seguito a una delle ultime decisioni prese dal Presidente Temer nel 2017 di autorizzare la ricerca e l'estrazione di minerali e metalli preziosi in alcune aree boschivetutelate dove vivono popolazioni indigine amazzoniche.

La deforestazione è un'emergenza a livello globale: nel 2017 è andata persa una superficie di foresta pari a quella del nostro Paese, oltre 27 mila ettari.

 

3.  Abolizione del Ministero dell'Ambiente

Il programma di Bolsonaro prevede, inoltre, la sopressione del ministero dell’Ambiente inglobandolo a quello dell’Agricoltura: la motivazione non sta in una riduzione della spesa pubblica, tutt'altro.

Da un lato è un chiaro cambio di rotta che andrà a favorire i grandi proprietari terrieri che potranno con più facilità avere le autorizzazioni ambientali per coltivare anche in aree boschive considerate protette. Dall'altro, è un ulteriore modo per tutelare la proprietà privata dei più ricchi di quelle superfici interessanti per la tutela della biodiversità.

Anche le associazioni ambientaliste e le Ong sono minacciate, per ora solo a parole, di essere presto bandite dal Paese. 

 

4. Un Partito che ha vinto sulla paura delle persone

Quali sono i punti del programma che hanno convinto i brasiliani a votare per un ex comandante proveniente dal Ventennio di dittatura militare del Paese? 

Il Brasile si trova ancora immerso in una crisi economica fortissima, con oltre 16 milioni di disoccupati. E' proprio dalle favelas che il leader populista ha riscosso molto successo, parlando alla pancia delle persone e promettendo tagli ai privilegi e lotta alla corruzione (cavalcando lo scandalo che ha portato alla caduta del premier Lula). 

Il narcotraffico resta uno dei principali fronti caldi sul dibattito politico: il Paese, infatti, pur non essendo produttore di cocaina, è l'hub principale per il suo traffico in Europa (organizzato dall'ndrangheta calabrese).

Il Paese Sudamericano, conta un primato mondiale per criminalità: nel 2017 ci sono stati oltre 63mila omicidi, anche in questo caso prevalentemente legati ai regolamenti di conti dei cartelli della droga e alla gestione delle piazze del narcotraffico: la proposta di Bolsonaro è la liberarizzazione delle armi, considerata da molti critici uno scellerato passo che non porterà sicurezza al Paese, ma renderà le strade un Far West.

Le classi meno favorite avranno ancora meno accesso a salute, educazione, le basi sociali del welfare. Conquiste lente e mai ultimate di questa zona del mondo che come "polmone del pianeta", adesso è seriamente in affanno.

 

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Foto: Filipe Frazao / 123rf.com