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Italia e Germania: le uniche sfavorevoli all'auto elettrica

L'Unione europea vuole fermare la compravendita di auto a benzina e diesel entro il 2035. Il governo italiano, però, reagisce con scetticismo.

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Cosa prevede il pacchetto “fit for 55”

“Questo è il momento: ora o mai più. Di anno in anno, la terribile realtà dei cambiamenti climatici diventa più evidente. Oggi confermiamo la nostra determinazione ad agire prima che sia troppo tardi”. Con queste parole il Commissario europeo per l’economia, Paolo Gentiloni, ha commentato la pubblicazione del pacchetto “fit for 55”, il maxi-piano per il clima con cui l’Unione europea intende raggiungere il suo primo, ambizioso obiettivo: tagliare le emissioni di gas serra almeno del 55% entro il 2030, rispetto al 1990. 

 

Le proposte sono tante, articolate ed eterogenee. E, prima di poterle vedere esposte nella loro forma definitiva, bisognerà attendere l’esito dei negoziati tra il Parlamento europeo e il Consiglio. Una delle più radicali prevede di azzerare le emissioni di auto e furgoni entro il 2035. Tradotto: di non consentire più la vendita di modelli alimentati a benzina e diesel entro tale data. Una rivoluzione che, in quanto tale, può entusiasmare o spaventare.

 

Auto elettrica, il governo italiano frena

Sembra far parte di questo secondo gruppo il ministro italiano dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti. Intervenuto alla Camera di commercio italo-germanica, esorta a leggere gli obiettivi green “con pragmatismo: standard ambientali elevati devono andare di pari passo con la sostenibilità economica, così da evitare effetti distorsivi e minimizzare l’introduzione di vantaggi competitivi nel mercato interno a beneficio di Paesi terzi e a scapito dei Paesi europei”.

 

Nella sua visione, la transizione ecologica deve essere concordata con l’industria perché “in caso contrario si rischiano “conseguenze sociali e occupazionali indesiderate e potenzialmente gravi, in particolare per il settore automotive e per i piccoli produttori”. Ecco perché l’Italia, così come la Germania, non compare nella lista dei firmatari della lettera d’impegno per porre fine alla vendita di auto a combustione interna. Il documento, presentato alla Cop26 di Glasgow, è stato invece firmato da altri 24 Stati tra cui i Paesi scandinavi, il Regno Unito e la Nuova Zelanda.

 

L’Italia di fronte alla sfida della mobilità elettrica

È vero che, con lo stop ai motori alimentati a benzina e diesel, si perderanno oltre 70mila posti di lavoro nel nostro Paese. Al loro posto potranno, anzi dovranno esserne creati di nuovi. Ma a che punto siamo in questa colossale riconversione? L’analisi di Milena Gabanelli, nella puntata di Dataroom dedicata a questo tema, è impietosa: “Tante chiacchiere e pochi fatti”.

 

Qualche esempio? Oggi sul territorio sono disseminati 26mila punti di ricarica. Altri 21mila dovranno essere finanziati grazie al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), tassativamente entro il 2025. I bandi tuttavia procedono a rilento per un mix di pastoie burocratiche, mancanza di accordi tra gli operatori (oggi ci sono colonnine che ricaricano solo alcuni modelli di auto) e mancanza di una mappatura nazionale delle colonnine esistenti.

 

Oggi l’Italia è all’avanguardia per quanto riguarda le fonti rinnovabili, che rappresentano il 38% del mix energetico, ma quest’elettricità dovrà essere anche stoccata e redistribuita nei momenti di picco della domanda. E questa è un’altra sfida tecnologica per la quale il nostro Paese appare ancora impreparato