Intervista

Vivere lontano dalla città, nella "Fottuta campagna" di Arianna Porcelli Safonov

Quando rincorri il sogno di mollare tutto e ristrutturare un rustico in collina e ti senti pronto per il salto nel verde che meriti di vivere, fermati prima dello stacco da terra e leggiti "Fottuta campagna" di Arianna Porcelli Safonov. Uomo avvisato, mezzo salvato.

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©Arianna Porcelli Safonov

Può accadere che tutto abbia inizio con un attacco di "Sindrome di Stendhal verde": cime e crinali illuminati al crepuscolo come panorama conquistato lì per assestare il colpo di grazia alla nostra già cagionevole salute di “individuo metropolitano”. Oppure vertigini e confusione si protendono fino all’affanno e la città, pian piano, diventa l’ambiente più inospitale. In “Fottuta campagna” (Fazi editore, 2016) Arianna Porcelli Safonov condivide con i lettori le motivazioni e le conseguenze della sua scelta irrinunciabile, trasferirsi a svariate centinaia di metri sul livelli del mare per trovare un equilibrio tutto nuovo, naturale, eppur non così bucolico come potremmo immaginare (noi che in campagna non viviamo). 

Arianna Porcelli Safonov sarà presente a Macrolibrarsi Fest, il primo Festival del benessere di corpo, mente e spirito, con uno spettacolo gratuito sabato 23 settembre dal tiolo "Rìding tragicomico" e noi, nel frattempo, le abbiamo chiesto di aiutarci a riconoscere le insidie che si incontrano se si intende dare volontà al desiderio di abbracciare la vita agreste.

 

Innanzitutto, Arianna, dove abiti ora?

La casa è il luogo perfetto per restar segreto, intimo. Continuo a scegliere l’Appennino però. Dal 2014 sono rientrata in Italia da Madrid e non sono più scesa dall’Appennino. 

 

Cure Naturali (te lo presento) si rivolge a chi desidera trovare risposte al proprio bisogno di benessere secondo Natura. Ci leggono soprattutto da Milano, Roma, Torino… Pensi che tra i nostri lettori ci sia chi soffra di "Depressione urbana", di cui parli diffusamente nel tuo libro? 

Tutti coloro che vivono in un luogo dove coesistono più di mille persone e i servizi base vengono garantiti, sono a rischio Depressione urbana

 

Senza dubbio la Depressione urbana, e cioè di quella particolare sindrome che - a un certo punto di incompatibilità con una grande città - fa maturare diversi fastidi e insofferenze nei confronti del fare urbano nella testa di uno che in città c’ha sempre vissuto. Quindi ci si chiude in casa, si snobbano gli apericena e si preferiscono gatti e piante alla persone.

 

A me, la Depressione urbana è venuta a trent’anni, quindi, la giovane età non è un agente demotivante per questa sindrome ma anzi, un incentivo! Pensi di avere le forze e gli strumenti per affrontare un trasferimento in campagna, senti la cosa come una vocazione, una voce che ti dice, “Apri un agriturismo e torna alla terra! Compra dieci caprette e fai i formaggi!”. Ma la Depressione urbana annebbia la tua ragionevolezza e non ti fa intuire che questo progetto potrebbe costarti schiena e psiche, in un colpo solo. 

 

Via dalla città e “Ritorno alla campagna”: mi dici perché per te è una contraddizione in termini?

Perché le nostre ultime generazioni, dalla campagna non sono mai andate via o non ci sono proprio mai state, se non nel weekend, a trovare i nonni che, furboni, son rimasti lì o ci sono tornati in pensione. I nostri vecchi sono scappati urlando dalla campagna o magari sono andati via controvoglia, per inseguire un sogno di comfort di cui non conoscevano gli effetti collaterali. Noi semmai andiamo in campagna per provare a ricalcolarne i connotati: non è affatto una brutta cosa, semplicemente non è la stessa. 

 

Se volessi invece dare un consiglio sincero a chi sta desiderando proprio ora di mollare tutto e aprire un agriturismo fuori città, cosa diresti? Si può vivere d’altro in campagna che non sia il turismo enogastronomico? 

Prima di tutto, consiglierei spudoratamente di leggere "Fottuta Campagna" perché, dietro a un mucchio di racconti che dimostrano quanto sia profondamente cretina [ndr, la redattrice si dissocia dal commento], c’è un’esperienza vera, di una tizia che lo ha fatto per davvero e lo ha fatto senza averne gli strumenti.

 

Prima di trasferirmi al fienile, non avevo mai tagliato legna, lavato panni a mano, temuto i lupi ma anche le vacche, mangiato erbe raccolte, convissuto col profondo silenzio, sfidato il buio e i suoi rumori. 

 

Fottuta campagna è un diario di bordo che può essere molto utile a chi sta per fare il salto nel verde. Ci sono altri libri molto, più ingombranti, ma necessari: c’è, ad esempio, Vita nei Boschi di Thoureau, ma quello è per romantici.

 

Riguardo il turismo enogastronomico, non posso non augurare a chi aprirà una struttura che dia cibo e vino, di acquisire preparazione, ma soprattutto onestà: spesso infatti, ho visto gestori di agriturismi, sorridere dicendo “Tanto ai milanesi, possiamo dare anche i tortelli in busta del supermercato, mica se ne accorgono di cosa mangiano!”. Spero si estingua la stirpe di chi va in campagna per disprezzare chi non ha gli strumenti per riconoscerne i valori. 

 

Quali conoscenze ritieni siano necessarie per vivere a diversi chilometri di curve da un centro urbano se non si ha un vissuto di vita "agricola", "agreste", "campestre”? 

La conoscenza di se stessi perché in campagna, prima o poi, va a finire che ti ci incontri. 

 

Quali cambiamenti nei tuoi valori o nella tua persona hai riscontrato facendo la scelta di vita che descrivi in questo libro? 

Senza dubbio, uno solo ma fondamentale: ho rivalutato l’essenziale, la privazione come trattamento benessere, il guadagno dalla mancata spesa. Un amore sincero e un febbrile desiderio per tutto ciò che fosse essenziale, sincero, integro e anche spietato: un cambiamento che è divenuto anche strumento di lavoro. 

 

In una intervista hai dichiarato che un luogo ideale dove crescere dei figli sia News York, dove tu, tra l’altro, hai vissuto per un certo periodo. Quali caratteristiche di questa metropoli (e tu vieni da Roma, hai vissuto a Madrid…) e non di altre ti portano a questa considerazione? 

New York City è una città messa assieme da tantissime culture e razze col fine ultimo di considerarla la casa di tutti: già soltanto per questo fatto, vorrei che ci crescessero i miei figli. Vi si trovano grandi contraddizioni ma anche tanta inaspettata solidarietà. È una città, a mio avviso confortevole ma selvaggia, con tantissime offerte legate all’incentivo della propria creatività, un altro elemento fondamentale per la crescita di un essere umano utile. 

 

So che sei in grado di fare una dichiarazione d’amore alla montagna appenninica. Potresti condividerne una coi lettori di Cure Naturali? 

Da sempre ci siamo rifugiati in Appennino, lì abbiamo combattuto per i nostri diritti e forse è stata l’ultima volta che lo abbiamo fatto per davvero. L’Appennino è lo scrigno di tutte le nostre più virtuose tradizioni, della nostra storia botanica, gastronomica, poetica; è la spina dorsale del nostro paese, il suo intestino, la sua fortezza. 

 

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L'intervistata

Arianna Porcelli Safonov è romana con padre italo-russo. Laureata in Lettere e Filosofia, con indirizzo storia del costume, ha vissuto a New York e a Madrid e ha lavorato per dieci anni nell’organizzazione di eventi internazionali fino al 2010, quando ha deciso di lasciare la sua professione di Project Manager per dedicarsi full-time alla scrittura satirica, a partire da un blog di racconti umoristici, Madame Pipì.

Per Fazi Editore ha pubblicato Fottuta Campagna e Storie di Matti.
Dal 2014 è in tour con diversi progetti di satira e critica umoristica al costume sociale nazionale. Piaghe, Il Rìding Tristocomico, Diritto civile ed altre parolacce, Tumorismo, Omeophonie e Cibo, vino ed altri castighi sociali sono alcuni dei suoi monologhi coi quali viaggia l’Italia. Dal 2018, collabora con l’Università di Pavia, con una docenza legata alle tecniche di improvvisazione applicate agli ambiti manageriali. Nel 2020 ha scritto e condotto il format TV per LaEffe, Scappo dalla città. I suoi monologhi sono diventati virali sul web, suo malgrado.