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Forni collettivi: l'autoproduzione del pane in Italia

I forni collettivi permettono di produrre buon pane (ma non solo) e di far parte di un'esperienza collettiva arricchente.

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©Angel Luis Simon Martin / 123rf.com

Forni collettivi per ridurre i consumi

Auroproduzione e sforzo collettivo sono due parole d’ordine in questa epoca di downshifting, ovvero di tendenza al taglio dei consumi e quindi del risparmio non solo in termini di risorse ma anche economico. 

 

Ecco allora un’esperienza interessante che sta diventando di moda in varie regioni d’Italia, ovvero l’uso dei forni collettivi per produrre il proprio pane

 

Produrre il proprio pane vuole dire tornare all’artigianato, alle vecchie ricette coi vecchi ingredienti, quindi ai vecchi sapori unici, irripetibili, perché non standardizzati a favore delle vendite di mercato.
 

Forni collettivi: una moda "antica"

In realtà, i forni collettivi erano già di moda negli anni Cinquanta del secolo scorso, quindi possiamo a ragione parlare di un “ritorno” ai forni collettivi. 

 

Si tratta di locali aperti a tutti, dove chiunque può cuocere non solo il proprio pane ma altri prodotti simili che hanno bisogno del forno, come focacce, biscotti, schiacciate, dolci o pizze. Non si tratta solo di risparmiare e di tornare a vecchi sapori, si tratta inoltre di dare un taglio alla filiera, riducendo il bisogno di imballaggi inultili, contenitori di plastica e consumo di carburante per il trasporto.
 

Forni collettivi e sagre

I forni collettivi di nuova generazione sono presenti su tutto il territorio italiano, non solo nelle grandi città soprattutto nei piccoli Comuni adove è ancora più importante unire le forze e condivindere spese e prodotti. 

 

In molti luoghi l’utilizzo dei forni collettivi è collegato alle sagre, dove grandi quantità di pane, pizze, focacce o similli vengono prodotte e consumate, e in tutte le fasi di preparazione, dall’impasto alla infornatura passando per la lievitazione, spicca il lavoro collettivo.
 

Forni collettivi in tutta Italia!

gli aspetti positivi sono tanti: il risparmio, l’alta qualità del prodotto finito, il coinvolgimento collettivo e l’aspetto educativo, quest’ultimo mai dasottovalutare in funzione del vecchio adagio “impara un’arte e mettila da parte”. 

 

Dal nord al sud possiamo menzionare la cultura ben radicata dei forni collettivi in una piccola regione come la Valle d’Aosta, mentre in Trentino Alto Adige e in Piemonte li possiamo trovare nei borghi delle  valli.  

 

Ne troviamo qualcuno di più in Lombardia, anche non troppo lontani dal suo capoluogo Milano. Emilia Romagna e Toscana hanno una profonda cultura dei forni collettivi dovuta alla grande presenza di sagre e feste locali e per via di una certa cultura dell’autogestione. 

 

Troviamo non pochi forni collettivi nella Capitale, mentre sul versante orientale, ce ne sono alcuni storici in Abruzzo. Scendendo al sud, possiamo utilizzare vari forni collettivi nella regione Puglia, non di rado gestiti da associazioni religiose, mentre in Calabria ce ne sono alcuni storici legati alla produzione locale di buona segale.  

 

Anche in Sicilia esistono esperienze sociali che hanno preso la forma di forni collettivi, è facile trovarli on-line. Non rimane scoperta la Sardegna, con alcuni ex stabilimenti industriali convertiti in forni collettivi.