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Se anche la fauna si ammala

Mentre siamo alle prese con la pandemia da coronavirus, si moltiplicano le patologie che colpiscono gli animali selvatici. Dimostrandoci che esiste un fortissimo legame tra la salute delle persone, del Pianeta e degli animali.

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©Vladimir Krupenkin / 123rf.com

Gli animali selvatici colpiti da insolite patologie

Milioni di pipistrelli morti negli Stati Uniti a causa della sindrome del naso bianco innescata dal fungo Pseudogymnoascus destructans. O, meglio, innescata dall’uomo che lo trasporta inconsapevolmente insieme alle scarpe, ai vestiti o ad altri oggetti contaminati. 

 

Un’anomala forma di scabbia che negli ultimi 15 anni ha colpito volpi, lama e altri mammiferi selvatici in Cile, manifestandosi con la perdita del loro caratteristico pelo. 

 

Le tigri dell’Amur, splendidi mammiferi siberiani già da tempo a rischio estinzione per la spietata caccia dei bracconieri, ora minacciate anche dal cimurro canino. 

 

Una grave e dolorosa dermatite, identificata per la prima volta dopo l’uragano Katrina del 2015, rivelatasi letale per numerosi delfini lungo le coste dell’Australia, del Sudamerica e degli Stati Uniti. 

 

A livello internazionale si assiste a un incremento delle patologie che colpiscono la fauna selvatica, conferma l’epidemiologo Diego Montecino della Wildlife Conservation Society, intervistato da El País

 

Ora che l’attenzione mediatica è monopolizzata dalla pandemia da coronavirus con il suo bilancio che si aggrava di ora in ora, notizie del genere rischiano di passare in secondo piano. Eppure, sono diverse facce della stessa medaglia.

 

Abbiamo infranto l’equilibrio con la natura

Ormai ci è familiare il concetto di spillover, il “salto di specie” con cui il coronavirus è passato dall’animale all’uomo, com’era già successo con la Sars, l’ebola e anche l’Hiv. Con un processo molto simile, gli animali selvatici vengono contagiati da quelli domestici, oppure dall’uomo che porta con sé i patogeni.  

 

Questi contatti inediti – e pericolosi – si verificano quando gli animali selvatici si trovano costretti a spostarsi a causa della distruzione dei loro habitat ad opera dell’uomo. Oppure a causa dei cambiamenti climatici che si manifestano sotto forma di alluvioni, cicloni, siccità, incendi. 

 

Altre volte, i patogeni congelati da secoli vengono liberati nell’ambiente con la fusione dei ghiacci. Se a questi elementi si aggiungono anche le aree urbane sovrappopolate in cui uomo e animale convivono in condizioni malsane, come i tristemente celebri mercati di Wuhan, si ottiene un cocktail potenzialmente rovinoso.

 

One health, la salute è una sola

Da tutte queste considerazioni appare evidente che la salute del Pianeta, la salute dell’uomo e la salute degli animali sono indissolubilmente legate tra loro. E vanno quindi prese in carico con un approccio unitario. È quello che va ripetendo da tempo l’Organizzazione mondiale della sanità, suffragata da innumerevoli ricerche scientifiche.

 

La fauna selvatica, però, è ancora la grande assente dalle politiche sanitarie espresse dagli Stati e dalle organizzazioni internazionali. La denuncia arriva dalle pagine di un recente report della Iucn, Unione Internazionale per la Conservazione della Natura

 

Di fronte a un’epidemia che colpisce la fauna selvatica – sostiene la Iucn – innanzitutto serve una capillare azione di monitoraggio che ne ricostruisca cause, dinamiche e conseguenze.

 

Dopodiché, bisogna smettere di considerare gli animali selvatici come un fattore di rischio (approccio che, in molti casi, ha giustificato la loro soppressione): come già spiegato, infatti, il rischio semmai arriva dall’intrusione dell’uomo.

 

Infine bisogna spostare il focus dalla cura alla prevenzione, consapevoli del fatto che in gioco non ci sia “solo” la salute di una singola specie, bensì l’equilibrio di un sistema a cui tutti noi apparteniamo.  

 

Problematiche di questo calibro non possono essere demandate solo a organizzazioni ambientaliste autofinanziate, ricorda Cristóbal Briceño, professore presso l’Università del Cile. I governi devono assumersi le proprie responsabilità, raccogliere e mettere a disposizione tutti i dati sanitari (relativi a persone, animali ed ecosistemi) e intervenire con un approccio integrato