Intervista

Animali da tutelare, il punto in Italia

Gli italiani sono più sensibili alle sorti degli animali, ma c'è ancora tanto lavoro da fare. In termini di legislazione, interventi, comunicazione. Parola di Carla Rocchi, presidente di Enpa (Ente nazionale protezione animali).

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Sono 10.300 gli animali selvatici soccorsi nell’arco del 2020 dall’Ente Nazionale Protezione Animali (Enpa), di cui 1.024 appartenenti a specie particolarmente protette e 2.169 a specie di interesse comunitario.

 

Animali che erano rimasti vittime di incidenti stradali (14,2%), impatti traumatici con vetrate, cavi elettrici o altri impedimenti costruiti dall’uomo (11,6%), colpi di arma da fuoco (5,6%), bracconaggio (4,3%). Più di uno su cinque era un pullo o un giovane esemplare in difficoltà.

 

Come possiamo interpretare questi dati? Noi italiani siamo sufficientemente sensibili e attenti alla tutela degli animali? Possiamo contare su un apparato normativo all’altezza della situazione? L’abbiamo chiesto direttamente alla presidente di Enpa, Carla Rocchi.

 

Qual è la vostra chiave di lettura dei dati sulle vostre attività nel 2020?

La situazione è comprensibile in questa chiave: da un punto di vista normativo, la fauna è patrimonio indisponibile dello Stato. Lo Stato, attraverso le amministrazioni, dovrebbe poter soccorrere gli animali in stato di necessità. Questa è teoria. Qualche volta avviene, qualche volta non avviene. 

 

In passato c’erano le province che avevano questa competenza scientifica. Adesso, con questo limbo in cui le province ci sono e non ci sono, molto del lavoro è venuto sulle nostre spalle. Noi abbiamo dei Cras (Centro di recupero per animali selvatici) a Trieste, in Liguria, in Umbria ecc. Attraverso questi presidi sul territorio, quando c’è un animale che necessita di soccorsi e di cure, noi lo facciamo. Facciamo quello che la legge prescrive, con molta cura.

 

Andando quindi a colmare questo vuoto…

È un vero vuoto, perché in certi posti esistono delle convenzioni, e noi non siamo gli unici con cui gli enti locali fanno convenzioni. A volte c’è questo servizio, a volte non c’è proprio. Il Sud sotto questo profilo è problematico. O lo facciamo noi, o non lo fa nessuno.

 

Avete di recente chiesto un incontro al premier Draghi e al ministro per la Transizione ecologica Cingolani. Quali sono i temi più importanti e urgenti che volete sottoporre alle istituzioni?

Sostanzialmente uno. Quando si parla di ministero dell’Ambiente o di cura dell’ambiente, si parla sempre del contenitore ma non del contenuto. Mi spiego meglio. Noi chiediamo un correttivo in Costituzione perché la Costituzione oggi dice che lo Stato tutela il paesaggio. A parte il fatto che il paesaggio è un termine antico, che ci rimanda a un quadro del Quattrocento, si tratta di una scena dentro la quale ci sono degli attori viventi: noi, gli animali, le piante. Finora è stata scarsa l’attenzione alla parte animale nel contenitore “ambiente”. 

 

Inoltre c’è una necessità di attenzione ai rischi che comportano gli allevamenti intensivi che sono al tempo stesso focolai potenziali di infezione e anche il maggiore fattore di inquinamento.

 

Il fatto che la pandemia sia esplosa e continui ad avere i suoi punti di massima criticità in pianura Padana la dice lunga. È il combinato disposto delle cattive condizioni dell’aria che derivano anche dalla più grande concentrazione italiana degli allevamenti. L’Emilia-Romagna è una Regione ben amministrata, quindi non possiamo dire che non ci sia attenzione. Ma perché c’è questo continuo tandem Lombardia-Emilia Romagna? Il fattore unificante sono gli allevamenti.

 

È per questo che noi chiediamo attenzione. Dire “abbiamo attenzione all’ambiente” non significa soltanto andare in bicicletta, significa anche un controllo serrato sulla produzione animale, un cambio culturale dei consumi a tavola… Chiediamo un cambio di passo.

 

Negli ultimi anni il tema della salute e della tutela degli animali ha guadagnato sempre più spazio sui media. A vostro parere ci sono stati dei passi avanti in termini culturali?

Assolutamente sì, secondo me addirittura in termini culturali sono avvenuti ancora prima che in termini di comunicazione. Le persone hanno iniziato a rendersi conto, chi per motivi di salute e chi per motivi di salute abbinati a una compassione per gli animali, che questo non è il modo giusto di stare al mondo, di nutrirsi eccetera. Poi sono venute fuori le indagini mirate, come le incursioni che abbiamo visto in televisione nei luoghi dove sono gli animali. L’insieme di tutto questo ha fatto la notizia, ha preso nota del cambiamento e ha promosso il cambiamento al tempo stesso.

 

Nel vostro comunicato affermate che serve una grande campagna di comunicazione sui selvatici. Per quale motivo?

Perché bisogna intanto far sapere che questa realtà esiste, che non c’è alcuna necessità di avere un atteggiamento aggressivo da parte della popolazione. A Roma l’anno scorso l’amministrazione ha fatto sì che si arrivasse all’uccisione di una mamma cinghiale con i cinghialini, cosa assolutamente vergognosa e non necessaria. Noi subito dopo abbiamo accolto un altro cinghiale e l’abbiamo portato nel nostro Cras.Il tema non è il caso specifico, ma che ci si può rapportare con i selvatici in maniera rispettosa e protettiva. L’unica reazione non è pigliare lo schioppo e sparare.

 

Faccio un esempio. Quando si dice “i lupi assaltano le greggi”… i lupi fanno il loro lavoro! Ma i lupi sono una parte importante anche nella catena alimentare. Chi vuole il contenimento dei cinghiali non fa una grande operazione togliendo i lupi dal territorio. Gli allevatori devono essere informati di come si tiene un lupo lontano dal gregge.

 

Venendo alle cose più urbane, cosa fare se si trova un uccellino per terra? Sembra una cosa di dettaglio, ma è la quotidianità. Che facciamo: lo raccogliamo? Non lo raccogliamo? Ci saranno i genitori che lo vengono a prendere? Ci sono tutta una serie di informazioni che vanno conosciute e dovrebbero essere conosciute anche da chi ci amministra. Noi lo facciamo, ma manca la parte istituzionale.