Intervista

Pianura Padana e inquinamento atmosferico

Sappiamo che l'aria della pianura Padana è spesso irrespirabile, ma quali sono le fonti di inquinamento che pesano di più? E il lockdown ha inciso? Facciamo il punto insieme a Guido Lanzani, dirigente dell’unità organizzativa Qualità dell’aria presso Arpa Lombardia.

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Nella pianura Padana si respira l'aria più inquinata d’Europa. A Torino nel 2020 sono stati registrati 98 giorni di sforamento dei limiti di PM10 imposti dalla legge, a Venezia 88, a Padova 84. Brescia e Bergamo sono in testa alla classifica europea per i decessi dovuti al particolato fine. A metà gennaio 2021 ci sono stati giorni in cui Milano si spartiva il podio delle città più inquinate al mondo con Dacca, in Bangladesh, e Delhi, in India. Soprattutto per chi abita in quelle zone, questo refrain suona tristemente familiare. 

 

Può stupire, dunque, scoprire che rispetto agli scorsi anni la qualità dell’aria in Lombardia è addirittura migliorata. A renderlo noto è Arpa Lombardia, sulla base dei valori rilevati giorno dopo giorno dalle 85 stazioni fisse, a cui bisogna aggiungere quelle temporanee. Come possiamo spiegarci questa apparente contraddizione? 

 

Sappiamo anche che “inquinamento atmosferico” è un’espressione-ombrello che racchiude in sé diversi fenomeni, dagli ossidi di azoto (NOx) generati dai motori diesel al particolato atmosferico (PM10) che deriva dagli impianti di riscaldamento delle nostre case. Quali fonti si mantengono su livelli preoccupanti e quali, invece, stanno piano piano migliorando? 

 

Abbiamo chiesto delucidazioni a Guido Lanzani, dirigente dell’unità organizzativa Qualità dell’aria presso Arpa Lombardia.

 

La pianura Padana è nota come una delle aree più inquinate d'Europa, ma dalle rilevazioni di Arpa si scopre la qualità dell'aria è migliorata negli ultimi anni. Può spiegarci questi dati?

Sono vere entrambe le affermazioni. Per la presenza delle Alpi e degli Appennini, nella pianura Padana la meteorologia è particolarmente sfavorevole alla dispersione degli inquinanti. Quelli che vengono emessi tendono quindi ad accumularsi raggiungendo valori che spesso, per diversi parametri, sono superiori a quelli riscontrati in una parte rilevante dell’Europa occidentale.

 

Se però andiamo a confrontarla con gli altri Paesi avanzati, la pianura Padana non è peggiore in termini di emissioni pro capite o per unità di Pil. Ma, per via appunto di queste condizioni sfavorevoli, risulta sempre tra le aree più critiche per diversi parametri: 

  • Gli NO2 sono molto alti in pianura Padana, ma anche in Germania per esempio.
  • Il PM10 e il PM2,5 tendono a essere più alti nel bacino padano perché la conformazione geografica dà tempo alle sostanze di reagire tra loro, formando il particolato secondario.
  • L’ozono non viene emesso direttamente da auto o fabbriche ma si forma in atmosfera a partire da altre sostanze, con il contributo della luce solare. Nel bacino padano abbiamo entrambe le cose: estati molto soleggiate e i precursori che ristagnano.

 

È vero, siamo tra le aree più inquinate d’Europa, ma dieci o vent’anni fa tutti questi valori erano più alti (con la parziale eccezione dell’ozono che è un inquinante più complesso). Abbiamo dimezzato le giornate annue di sforamento delle soglie di sicurezza.

 

C’è anche da dire che i fattori che hanno portato a questo miglioramento sono uniformi in tutt’Europa: un’auto con il filtro anti-particolato emette meno polveri sottili a Milano come a Parigi. I progressi quindi sono stati significativi, ma noi partivamo da valori più alti e quindi restiamo in una situazione peggiore rispetto ad altri territori.

 

Tra le varie fonti di inquinamento (es. traffico, riscaldamento ecc.), quali sono state affrontate in modo più efficace? Quali, invece, necessitano di un intervento più incisivo?

Possiamo individuare quattro fonti che sono importanti per parametri diversi.

 

Per quanto riguarda il traffico, gli autoveicoli di oggi emettono molto meno rispetto a quelli di vent’anni fa; le auto a benzina grazie alla marmitta catalitica, quelle a diesel grazie al filtro anti-particolato. Dopo lo scandalo dieselgate, è stato introdotto lo standard euro 6D che è un grande passo avanti. Peccato, però, che gran parte del parco circolante non sia euro 6D.

 

Sul riscaldamento domestico è stato fatto molto in termini di risparmio energetico. Rimane però il problema della combustione della legna di caminetti e stufe. Sul mercato ci sono apparecchi molto migliori rispetto a quelli anni fa, ma nelle case ne restano tanti che andrebbero sostituiti. Poi c’è la questione dell’uso corretto. Un cittadino può avere l’apparecchio più efficiente del mondo, ma se ci butta la legna bagnata, il giornale o la buccia di banana, inquina lo stesso. 

 

Nel mondo industriale sono stati fatti grandi passi avanti per diversi motivi: alcune fabbriche se ne sono andate altrove, le autorizzazioni vengono rilasciate a fronte delle migliori tecnologie, le certificazioni volontarie hanno aiutato. Man mano che la coscienza civica si è rafforzata, la politica è stata in grado di imporre norme che magari non annullano completamente l’impatto, ma sicuramente lo riducono moltissimo.

 

Infine ci sono l’agricoltura e l’allevamento. La fertilizzazione e gli spandimenti dei reflui infatti emettono ammoniaca che, una volta in atmosfera, porta alla formazione di PM10. 

 

Di recente Legambiente Lombardia ha richiamato l'attenzione proprio sul fatto che anche gli allevamenti intensivi contribuiscono ai livelli di particolato atmosferico. Come si può limitare questo fenomeno?

Qualcosa è stato fatto ma bisogna proseguire negli interventi. A livello culturale, innanzitutto, bisogna prendere coscienza del problema e provare ad affrontarlo, anche sostenendo dei costi. Questo è noto al mondo agricolo, forse non è sempre altrettanto chiaro per la popolazione. 

 

A livello tecnologico esistono delle soluzioni, come l’iniezione del concime nel terreno o la copertura delle vasche, anche se vanno calibrate sulle caratteristiche della coltivazione. L’applicazione di queste metodologie deve passare attraverso un percorso normativo che in parte è stato avviato con il piano di risanamento di Regione Lombardia. 

 

Le forti limitazioni agli spostamenti hanno contribuito a migliorare la qualità dell'aria?

A livello di inquinamento atmosferico nella pianura Padana, su alcuni parametri si è visto bene l’effetto delle restrizioni, su altri meno.

 

Gli NO2 per esempio sono emessi direttamente dai veicoli: se diminuisce il traffico (che durante il lockdown è sceso dell’80-90% in città e del 60-70% in autostrada), diminuiscono gli NO2

 

Il PM10 invece in parte viene emesso come tale, in parte si forma in atmosfera. Le fonti dirette sono il traffico, che è sceso, e il riscaldamento a legna che, viceversa, è aumentato quando le persone erano chiuse in casa. La parte secondaria che si forma in atmosfera, invece, è legata all’agricoltura e all’allevamento che non hanno visto grosse variazioni durante il lockdown. 

 

Viene spontaneo collegare il tema dello smog a metropoli come Milano, ma nelle varie classifiche delle città più inquinate compaiono anche centri più piccoli come Saronno e Busto Arsizio. Come possiamo spiegare questo fenomeno?

Alcuni inquinanti sono più presenti in città ma il bacino padano, per la sua conformazione, distribuisce in modo uniforme inquinanti come il PM10 e l’ozono. Nella stazione di Schivenoglia, nella campagna in provincia di Mantova, misuriamo più o meno gli stessi valori di Milano. Una molecola di ammoniaca emessa da un maiale a Cremona si sposta in aria, incontra una molecola di NOx emessa da un’auto al casello di Melegnano e genera il PM10, che troviamo a Milano come a Schivenoglia.