Intervista

Clima e punto di non ritorno: intervista a Katherine Richardson

Abbiamo intervistato Katherine Richardson Christensen, professoressa di "oceanografia biologica", leader del Sustainability Science Center e ricercatrice principale per il Center for Macroecology, Evolution and Climate dell'Università di Copenhagen.

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©Katherine Richardson

Ci stiamo muovendo verso un "punto di non ritorno": una volta superata questa soglia, il clima potrà sfuggire completamente al nostro "controllo".

Non c'è tecnologia che ci possa aiutare: ciò di cui abbiamo bisogno è una radicale trasformazione sociale. Dobbiamo cambiare il nostro rapporto con le risorse dell'ambiente.

Abbiamo intervistato Katherine Richardson Christensenprofessoressa di "oceanografia biologica", leader del Sustainability Science Center e ricercatrice principale per il Center for Macroecology, Evolution and Climate dell'Università di Copenhagen.
 

Nel dibattito sul cambiamento climatico, Lei ha spesso sottolineato l’esistenza di “punti di rottura” o, addirittura, di non ritorno. Può spiegarci in che cosa consistono?

Esistono alcune componenti nel sistema Terra che sono “bi-modali”: in altre parole, esistono o non esistono.

Nel corso del tempo, ci sono stati periodi in cui in Groenlandia c'era il ghiaccio e altri in cui non c’era. Gli elementi che, in determinate condizioni climatiche, concorrono al passaggio da un periodo all'altro, da uno stadio all'altro, vengono chiamati “di rottura”. Sono punti di non ritorno.

Sono stati identificati diversi elementi di rottura ed è stato notato che il superamento di alcuni di questi punti critici può portare a un'esarcebazione del processo di riscaldamento globale.
 

Ci fornisce un esempio di elemento di rottura che state osservando?

Un esempio è la Calotta Artica. Il suo ghiaccio fa sì che la maggior parte dell'energia termica del Sole che raggiunge la Terra venga riflessa e, quindi, non possa portare ad un aumento della temperatura terrestre.

Quando, al contrario, il ghiaccio sparisce, il calore del Sole penetra nelle acque dell'oceano, dove rimane e così può riscaldare la Terra.

Questo fenomeno, che già osserviamo nelle aree polari, potrebbe almeno in parte spiegare perché la Calotta Artica sia diminuita più rapidamente di quanto previsto inizialmente dall'IPCC (Intergovernmental Panel On Climate Change, ndr).
 

Quanto è vicino il prossimo punto di rottura?

Non sappiamo a quali temperature i singoli elementi di rottura diverranno tali. Tuttavia, l'IPCC avverte che alcuni punti di non ritorno potrebbero venire superati con un aumento delle temperature compreso tra 1 e 3 gradi centigradi e che il rischio di superare questi punti aumenterà notevolmente al superamento di questi 3 gradi.

Come indicato da alcuni studiosi (Steffen e altri, 2018), inoltre, alcuni meccanismi in grado di innescarsi con un aumento delle temperature compreso tra 1 e 3 gradi innescherebbero un effetto domino che renderebbe l’emergenza climatica “fuori controllo” per l'essere umano.
 

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©Steffen et al. 2018

Lei fa un parallelismo tra punti di rottura/svolta sociali e ambientali. Cosa intende?

Esistono dei "punti di rottura/svolta" anche all'interno delle società: li possiamo osservare quando degli avvenimenti si verificano molto rapidamente portando a un sostanziale cambiamento. Ne è un esempio il passaggio dalla carrozza trainata dai cavalli all' auto, o dal fumo di sigaretta passato dall'essere considerato "normale" ad essere ritenuto socialmente inaccettabile.

Trasferire questo approccio alla battaglia al cambiamento climatico può voler dire innescare una rapida transizione alle energie rinnovabili e a un progressivo abbandono di una dieta prevalentemente carnivora, ad esempio.
 

Cosa dobbiamo aspettarci dai prossimi anni in termini di cambiamenti climatici possibili e tangibili?

Ondate di calore, correnti d'aria, tempeste più violente e frequenti, inverni miti, ridistribuzione della pioggia, condizioni meteorologiche instabili e più incendi.
 

Un quadro decisamente allarmante. Le tecnologie o un mutato “atteggiamento” su scala globale possono salvarci? E se sì, siamo ancora in tempo?

La tecnologia, da sola, non può risolvere il problema del cambiamento climatico nell'Artico, o altrove.

Abbiamo bisogno di una trasformazione sociale in cui gestire il nostro rapporto con le risorse ambientali globali nello stesso modo in cui gestiamo le nostre risorse ambientali locali.

Abbiamo 4 strumenti per farlo:

  1. Tecnologia.
  2. Sistema economico.
  3. Sistema di governance.
  4. Il nostro comportamento.


Tutti questi quattro strumenti devono essere utilizzati contemporaneamente per realizzare una trasformazione.

A proposito di tecnologia, abbiamo visto negli ultimi anni come si riescano a produrre motori per automobili in grado di percorrere più chilometri e consumando meno benzina.

Ciò è avvenuto perché il sistema di governance (in questo caso la Politica) ha fissato standard più elevati per i motori delle automobili.

In Danimarca abbiamo abbassato le tasse sulle auto, rendendole più economiche, il che ha portato a un aumento degli acquisti.

Ecco il risultato finale: più auto in circolazione hanno prodotto più emissioni di CO2, nonostante avessimo una tecnologia teoricamente più “rispettosa del clima”.

Ecco perché la tecnologia, da sola, non può portare ai cambiamenti sociali necessari per affrontare il cambiamento climatico.
 

Katherine Richardson, oltre a insegnare Oceanografia biologica presso il Centro di Macroecologia, Evoluzione e Clima dell'Università di Copenhagen, è membro del panel (composto da 15 persone) che ha redatto gli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite per il 2030.
 

Il suo profilo Twitter è @KRichardsonC