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Una petizione per mettere al bando le pellicce in UK

Da più di vent’anni il Regno Unito ha vietato gli allevamenti di volpi e visoni; ora è arrivato il momento di togliere le pellicce dalle vetrine. Lo chiede una petizione che sta riscuotendo adesioni eccellenti.

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©federicofoto / 123rf.com

Grande successo per la campagna #FurFreeBritain

Sono passati più di vent’anni da quando il governo britannico ha imposto la chiusura degli allevamenti di animali da pelliccia, bollandoli come “non etici”. Se è così, perché le pellicce restano in bella vista nelle vetrine dei negozi? 

 

A sollevare questo interrogativo è la petizione #FurFreeBritain che domanda con forza al premier Boris Johnson di vietare in tutto e per tutto non solo la produzione, ma anche la vendita di pellicce.

 

Mentre scriviamo, la campagna avanza spedita verso il milione di firme. Hanno prestato il loro volto alla causa anche celebrità come il comico Ricky Gervais, il chitarrista dei Queen Brian May, il tennista Andy Murray, la conduttrice televisiva Kirsty Gallacher e molte altre. A sostenerla anche diverse organizzazioni, da Peta al Jane Goodall Institute, da Open Cages a Viva!.

 

Il testo della petizione contro le pellicce

Sono più di cento milioni gli animali che ogni anno vengono sottoposti ad atroci sofferenze per alimentare il mercato internazionale delle pellicce, sostiene la lettera aperta alle istituzioni. 

 

“Infliggere crudeltà agli animali per una frivola moda è deplorevole. Dovremmo chiudere i nostri confini a questo disumano commercio, riflettendo le opinioni di oltre l’80% dei cittadini britannici che ritengono inaccettabile comprare e vendere pellicce animali in questo Paese”, si legge nell’appello. 

 

“Sono sempre di più gli Stati che seguono l’esempio del Regno Unito e vietano gli allevamenti: vietare le vendite di pellicce di importazione affermerebbe ancora una volta il Regno Unito come leader globale nella tutela degli animali”. 

 

A sposare indirettamente la causa ambientalista è nientemeno che la regina Elisabetta che, all’età di 93 anni, ha deciso di mettere definitivamente in naftalina la sua collezione di pellicce (per le quali, a dirla tutta, non aveva mai nutrito una passione particolare).

 

Chi ha detto “basta” agli allevamenti di animali da pelliccia

Imponendo la chiusura degli allevamenti già nel 2000, il Regno Unito è stato a tutti gli effetti un apripista. Il suo esempio è stato seguito per esempio da Austria (2005), Croazia (2018), Slovenia (2013). 

 

Come sottolinea la Fur Free Alliance nel riportare i dati, tra la decisione formale e la sua applicazione spesso intercorre un periodo cuscinetto (più o meno lungo) che dà agli operatori il tempo di adeguarsi. È il caso per esempio di Slovacchia e Norvegia: le leggi sono state approvate rispettivamente a ottobre 2019 e gennaio 2018, ma entreranno in vigore nel 2025.

 

Tra il 2017 e il 2018 si sono mossi in questa direzione anche Repubblica Ceca, Belgio e Lussemburgo

 

Anche la pandemia ha dato una scossa al settore. Il virus infatti è stato introdotto dall’uomo negli allevamenti intensivi, con un sorta di spillover al contrario che ha dato vita a una variante rapidissima nel diffondersi (anche per via delle condizioni di vita degli animali stipati nelle gabbie) e apparentemente resistente ai vari vaccini.

 

Da qui la drammatica decisione, presa da diversi governi europei, di abbattere i capi infetti e tutti quelli nelle vicinanze. È successo in Spagna, in Francia e nei Paesi Bassi. Qui la chiusura degli allevamenti era già fissata per il 2024, ma la problematica è stata l'occasione per accelerare i tempi.  

 

In Danimarca l’emergenza sanitaria si è tradotta in una vera e propria strage: è stato soppresso ogni singolo visone allevato nel Paese, per un totale di 17 milioni di capi. Le immagini degli animaletti inermi, uccisi nelle camere a gas, hanno fatto il giro del mondo. Spingendo molti a riflettere sul pesantissimo carico di sofferenze che caratterizza questo settore.