Intervista

Se la sostenibilità passa dalla giustizia sociale: cos'è l'Oses

Per affrontare davvero la sfida dei cambiamenti climatici e della transizione ecologica, bisogna bilanciare obiettivi, costi e benefici in termini economici, sociali e ambientali. Di questi temi si occupa l'Oses, un centro di ricerca nato dall'università di Padova.

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©Francesco Dondi / Unsplash

Se c’è un messaggio forte che ci hanno trasmesso le Nazioni Unite con il varo dell’Agenda 2030, è che un futuro sostenibile è fatto di tanti tasselli diversi ma interrelati. C’è la sfida ambientale e climatica, certo, ma c’è anche l’imperativo di appianare le disuguaglianze che spaccano a due la società. C’è anche un sistema economico chiamato a crescere, sì, ma usando in modo oculato le risorse della natura. Princìpi altissimi che vanno declinati nella nostra quotidianità e nelle decisioni politiche a tutti i livelli, dagli organismi sovranazionali alle amministrazioni locali. Tanti gli interrogativi che si aprono, e a cui si può trovare risposta soltanto attraverso un’analisi scientifica rigorosa. A questi temi è dedicato l’Oses, l’Osservatorio su sostenibilità, eguaglianza e giustizia sociale istituito dal centro Levi Cases dell’università di Padova. 

 

Dopo la presentazione pubblica del 3 dicembre 2021 abbiamo contattato Ekaterina Domorenok, professoressa associata presso il dipartimento di Scienze politiche, giuridiche e studi internazionali dell’università di Padova e promotrice dell’iniziativa.

 

Quali sono gli obiettivi dell’Oses?

Siamo un piccolo gruppo di studiosi che conduce studi sulla sostenibilità in prospettiva globale ed europea, con un approccio critico e comparato. Oltre alla realizzazione di ricerche scientifiche, l’obiettivo del nostro Osservatorio è quello di creare un luogo di confronto e dibattito tra il mondo accademico, pubbliche amministrazioni e soggetti non istituzionali. Al convegno di avvio, tenutosi il 3 dicembre scorso, abbiamo infatti organizzato i lavori in due dialoghi tematici, coinvolgendo ricercatori universitari, esperti, amministratori e rappresentanti della società civile. Ci piacerebbe mantenere vivo questo spirito di collaborazione e reciproca contaminazione per gli eventi e i progetti che realizzeremo nei prossimi anni.

 

Ci sono già partnership o progetti in fase di avvio?

Siamo davvero all’inizio. Non abbiamo ancora avviato collaborazioni strutturate, ma stiamo lavorando a diverse idee che sono emerse durante il convegno di dicembre, in particolare per quanto concerne la territorializzazione delle strategie per lo sviluppo sostenibile. Inoltre, stiamo sviluppando alcuni progetti di ricerca sul tema delle politiche eco-sociali in collaborazione con il Comitato Scientifico Internazionale, che stiamo istituendo in seno all’Osservatorio, coinvolgendo studiosi e studiose stranieri provenienti da alcuni noti centri specializzati in politiche ambientali e sociali.   

 

Ci può fare alcuni esempi di situazioni in cui la crisi climatica e ambientale pesa di più sulle fasce deboli della popolazione?

L’esempio più immediato è il recente aumento delle bollette elettriche e del gas, che pesa soprattutto sui ceti meno abbienti. Tra le cause di questa crisi si annovera l’aumento dei prezzi dei permessi di emissioni di CO2 nell’ambito del Sistema di scambio di quote dell’Ue, avente l’obiettivo di limitare le emissioni dai settori industriali fortemente inquinanti. 

 

Più in generale, la transizione ecologica comporta dei costi economici perché richiede cospicui investimenti pubblici e privati nelle energie verdi o nell’innovazione tecnologica legata allo sviluppo dei settori green. Da un punto di vista sociale questi cambiamenti possono rappresentare un’opportunità perché fanno nascere settori dinamici generando nuovi posti di lavoro, ma possono comportare anche dei rischi, soprattutto per i settori tradizionali dipendenti dai combustibili fossili, che, per converso, potrebbero registrare un aumento della disoccupazione. Quindi, oltre agli investimenti nei settori industriali strategici occorrono misure di adeguamento nel mercato del lavoro, dove saranno sempre più richieste le competenze legate ai settori green. Gli ambiti dell’educazione e della formazione professionale saranno dunque sempre più cruciali. Questa è una chiara dimostrazione di quanto la dimensione sociale sia contigua a quella ambientale ed economica

 

Il bilanciamento degli obiettivi, dei costi e dei benefici economici, sociali e ambientali dovrebbe essere al centro delle politiche pubbliche per riuscire ad affrontare in modo efficace le sfide dei cambiamenti climatici e della transizione ecologica. Questi temi sono oggetto di studi e ricerche dell’Oses, con particolare riferimento alle politiche pubbliche e agli aspetti politico-amministrativi.

 

Da più fronti si chiede che la ripresa post-Covid sia verde e sostenibile. Il Pnrr va nella giusta direzione?

Inizialmente si temeva che gli interventi di carattere emergenziale resi necessari dalla pandemia potessero compromettere l’agenda per la neutralità climatica racchiusa nel Green Deal europeo.  Questo non è accaduto e la transizione ecologica rimane in cima all’agenda politica dell’Unione europea. Infatti, secondo le indicazioni dello Strumento per la ripresa e resilienza, che è uno dei principali pilastri per l’attuazione del piano NextGenerationEu, l’Italia ha predisposto il proprio Pnrr, destinando più del 30% delle risorse alle misure per la transizione ecologica. 

 

È un’occasione da non perdere, tanto più perché l’Italia è rimasta un po’ indietro rispetto a molti paesi dell’Ue nel raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Unione nell’ambito delle politiche climatico-ambientali. La sfida si fa ancora più complessa perché, oltre a svilupparle e consolidarle, esse vanno anche bilanciate con interventi di sviluppo economico e inclusione sociale. Serve un approccio integrato, basato sul coordinamento inter-istituzionale, che aiuti ad incrementare le sinergie e superare le divisioni tra i diversi settori.