Intervista

L’Orto conviviale nella Terra dei fuochi

Nella Terra dei fuochi c'è l'Orto conviviale. Quattro ettari, coltivati a orto e frutteto, che sono diventati il punto d'incontro di una piccola comunità determinata a vivere con maggiore consapevolezza. Ce lo racconta la fondatrice, Miriam Corongiu.

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©Miriam Corongiu

Nella narrazione mediatica, la Terra dei fuochi è sinonimo di discariche abusive e roghi clandestini di rifiuti che, giorno dopo giorno, avvelenano la popolazione. Una realtà che esiste, indubbiamente. Ma esiste anche chi, giorno dopo giorno, si rimbocca le maniche e prova a dimostrare che un futuro diverso è possibile. È il caso di Miriam Corongiu, attivista di lunga data che, insieme al marito Vincenzo Marciano, ha dato vita all’Orto conviviale. Quattro ettari, coltivati seguendo i princìpi dell’agroecologia, che ben presto sono divenuti il punto d’incontro di una piccola comunità determinata a vivere in modo più consapevole. 

 

Come descriveresti in poche parole l’Orto conviviale?

L’Orto conviviale innanzitutto è una piccola azienda agricola. Già questa definizione è importante perché la riduzione della scala è un antidoto all’economia della distruzione. La dimensione piccola è indispensabile per la cura della terra e delle persone che vengono qui: le conosciamo una a una, conosciamo le loro abitudini alimentari e le loro storie personali.

 

Puntiamo tutto sulla familiarità e sulla convivialità in quanto risposta alla “mega macchina infernale dell’industrializzazione”, per riprendere le parole di Ivan Illich. Stare insieme, condividendo il cibo, lo spazio, l’aria e la terra di cui siamo solo custodi, significa cercare una risposta alle difficoltà che viviamo. Una risposta che spesso non troviamo nelle città, abbandonate all’individualismo, al solipsismo e alla solitudine.

 

Coltiviamo la biodiversità nei nostri quattro ettari di terreno ai piedi del monte Somma, misti a frutteto (certificato biologico) e orto. Siamo in Terra dei fuochi e lo rivendichiamo con orgoglio. È una delle tante terre con criticità ambientali in Italia e ha un grande risalto pubblico anche perché, come attivisti, siamo stati pronti a denunciare lo sfacelo che vivevamo. Lo facciamo tuttora, nonostante le difficoltà.

 

Fare agroecologia in Terra dei fuochi è un atto di coraggio perché le piccole produzioni di qualità non sono garantite dalle istituzioni a livello normativo, né hanno respiro da un punto di vista culturale. Però è necessario, perché l’agroecologia è un insieme di tecniche che servono proprio per la rigenerazione delle acque, della terra e dell’aria. È anche un approccio rigenerativo della società: vogliamo che le persone stiano insieme intorno alla terra.

 

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©Miriam Corongiu

Puoi citare alcuni dei vostri progetti che coinvolgono la comunità?

Noi lavoriamo molto sul senso di comunità. Nella primavera del 2020, quando c’è stato il fulcro del Covid-19, abbiamo donato 320 mascherine all’ospedale San Giovanni Bosco di Napoli. L’abbiamo fatto creando un gruppo e prendendo tutte le decisioni insieme. 

 

Un altro tema a cui teniamo molto è quello dei migranti, avvalendoci di lavoratori e lavoratrici della terra che vengono dall’estero. Anche se siamo una piccola aziende agricola e non abbiamo grossi volumi, cerchiamo di affrontare il tema del caporalato con progetti etici che coinvolgono le persone. A Napoli c’è la tradizione del caffè sospeso, noi abbiamo lanciato la “passata sospesa”: questa passata d’eccellenza, fatta con il pomodorino del Piennolo vesuviano, è stata donata all’associazione Ya Basta.

 

Facciamo parte del progetto “La buona terra – dalle passate al futuro”, che riunisce gli agricoltori campani e li mette in contatto con gli acquirenti dei Gas (Gruppi di acquisto solidale), in collaborazione con il Distretto di economia solidale della Brianza e con l’organizzazione nazionale Co-Energia. Attraverso il prezzo trasparente, agricoltori e acquirenti discutono insieme fino a stabilire un prezzo coerente con le esigenze reciproche. Visto che noi piccoli agricoltori non potremo mai essere competitivi con le grandi realtà e nemmeno la Pac (Politica agricola comune) ci supporta, queste iniziative ci permettono di fare fronte alle difficoltà.

 

Io coordino un progetto di economia del bene comune che si chiama Terra e a capo e riunisce agricoltori, attivisti in Terra dei fuochi ed ecologisti. Tra le donne che comprano qui le verdure è nato un nucleo associativo che si occupa di riconnessione intima con la natura, sovranità alimentare ed ecofemminismo. 

 

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©Miriam Corongiu

L’Orto conviviale è un progetto abbastanza giovane. Quando ti sei avvicinata all’agricoltura?

L’Orto conviviale compie cinque anni a maggio 2022. In realtà questa è la scelta della mia famiglia, composta da me, mio marito e mia figlia che ha 13 anni. Circa cinque anni fa io sono stata licenziata e poi mio marito ha lasciato il lavoro perché le condizioni erano diventate disumane, quindi abbiamo tentato di essere felici. Mio marito è geologo, il che significa che abbiamo anche competenze scientifiche. Prima ancora di partire con l’Orto conviviale, abbiamo fatto analizzare le acque e abbiamo riscontrato che erano ottime. 

 

Il modello dell’Orto conviviale è sostenibile anche a livello economico?

L’Orto conviviale in cinque anni ha dato una dimostrazione di grandissima sostenibilità anche dal punto di vista economico. Abbiamo tagliato con la grande distribuzione organizzata e questo ci ha salvato, perché non potevamo sopportare quei prezzi da fame. Ci sono rimaste le famiglie. Abbiamo scelto un’agricoltura etica e per questo faticosa: il nostro trattore ha quarant’anni, lavoriamo di zappa. 

 

Seguiamo l’approccio dell’agricoltura multifunzionale, per cui un’azienda agricola deve offrire una serie di servizi alla sua comunità di riferimento. Proprio in virtù di questi servizi, degli eventi e dei progetti, e grazie all’apertura bisettimanale che ci consente di abbattere gli sprechi, l’Orto conviviale è più che sostenibile anche economicamente. 

 

Tra il 2000 e il 2010 nella regione Campania è fallito il 32,4% delle piccole e medie aziende agricole. Noi invece ci rafforziamo sempre di più e ne siamo orgogliosi, anche perché nella nostra vita potevamo fare tutt’altro. Abbiamo lasciato il certo per l’incerto; e l’agricoltura è fortemente incerta, soprattutto in tempi di cambiamenti climatici. Nella terra abbiamo ritrovato la nostra dimensione naturale. Seguire i ritmi della natura e delle stagioni non ha prezzo, è qualcosa che si ripercuote positivamente sulla nostra serenità e ci colloca in modo diverso nel mondo. In più c’è l’impegno sociale, perché ho capito subito di non potermi fermare al mio orticello.

 

La sostenibilità economica è al centro dei nostri progetti. Per diffondere un’agricoltura etica e su piccola scala, è necessario che i giovani capiscano di poterci vivere. So che l’Orto conviviale è una piccola realtà ma funziona molto bene, tant’è che molti ragazzi ne sono incuriositi e ci chiedono come abbiamo fatto. Noi possiamo dare un’ispirazione, dopodiché ciascuno deve trovare la sua modalità: la terrà ti dà la libertà di fare impresa seguendo la tua identità. L’economia del bene comune dice che le nostre scelte hanno ricadute sul territorio, il profitto è soltanto un mezzo. 

 

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©Miriam Corongiu

Come attivista, ti sei dedicata per anni alla Terra dei fuochi. La grande visibilità mediatica ottenuta da questa emergenza ambientale ha cambiato qualcosa?

Non solo in Campania, ma anche in altre regioni, le istituzioni hanno la tendenza a negare l’esistenza di un problema, anche per la loro incapacità di risolverlo. La Terra dei fuochi conta due milioni di abitanti in una piana che supera i mille chilometri quadrati: i problemi sono tantissimi ed estremamente ramificati.

 

Magari fosse solo colpa della gente che abbandona i rifiuti per strada! Certo, c’è anche una quota di inciviltà, ma il più è rappresentato dai rifiuti industriali abbandonati. Stamattina c’è stato un altro incendio, il terzo in tre settimane, con colonne di fumo che si vedevano a chilometri di distanza. Questo succede perché a monte c’è un problema di gestione degli impianti, di sicurezza e di mancanza di controlli. 

 

Come affrontare l’interramento dei rifiuti tossici, l’inciviltà, lo smaltimento illegale, gli incendi, l’inquinamento delle acque? Le istituzioni non mettono mano a questo mostro, spesso perché non vogliono farlo. L’ecomafia esiste con la complicità delle istituzioni, come dimostrano tantissime inchieste. Non c’è la volontà politica di risolvere i problemi della Terra dei fuochi, che è un’ordinaria emergenza da vent’anni.