News

Come cambierà il nostro modo di lavorare entro il 2025

La pandemia da coronavirus ha costretto migliaia di persone al lavoro da casa. Un'eredità destinata a cambiare il nostro modo di lavorare. Non necessariamente in peggio, ma per questo vanno applicate più tutele a favore del lavoratore.

futuro-del-lavoro

Credit foto
©Volodymyr Melnyk -123rf

Prima dell’arrivo della pandemia, il cosiddetto “smart working” era poco utilizzato in Italia e valeva per poche categorie professionali.

Questo non significa che non esistesse il lavoro agile: secondo i dati dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano, dal 2013 al 2019 la quota di lavoratori in smart working è quasi quadruplicata, passando da 150 mila persone a 570 mila.

Ma è con il 2020, a causa della pandemia, che abbiamo assistito a uno stravolgimento. Secondo una ricerca pubblicata da Microsoft, in seguito all’emergenza sanitaria, la quota di imprese italiane che ha adottato il lavoro flessibile è passata dal 15 per cento del 2019 al 77 per cento.

Per dare un’idea, a gennaio e febbraio 2019 il personale a distanza era l’1,2 per cento del totale, a marzo-aprile era diventato l’8,8 per cento. Non solo, ma l’87 per cento degli italiani ha riscontrato una produttività pari o superiore rispetto a quando lavorava in ufficio.

Per il centro studi Pwc Italia, se tutti i lavoratori le cui mansioni lo permettono ricorressero allo smart working, il Pil italiano potrebbe addirittura crescere dell’1,2%.
 

Non solo aspetti positivi

Tutto bene, dunque? Più o meno. La prima cosa da ricordare è che in questi mesi non c’è stato un vero smart working, ma una sua versione forzata dalle circostanze.

Il contratto italiano prevede che siano indicati i tempi di lavoro e di riposo, il diritto alla disconnessione e che sia il datore di lavoro a garantire la salute e la sicurezza del dipendente.

Tuttavia, la forma che si è vista durante il lockdown è un adattamento emergenziale del lavoro in ufficio dentro casa: prevede gli stessi orari e si svolge sempre nello stesso luogo, solo che il luogo non è più l’ufficio.

Il rischio di alienazione e isolamento è infatti uno dei rischi maggiori e pesa soprattutto la mescolanza continua tra vita lavorativa e privata, con la frantumazione della routine quotidiana.

Poi c’è il discorso legato alla concessione di bonus e benefit per chi lavora da casa: è vero che il dipendente risparmia in trasporti, ma è anche vero che consuma la propria elettricità di casa e la propria connessione e, talvolta, dotarsi dell’attrezzatura necessaria.

Nei Paesi Bassi, per esempio, i dipendenti pubblici che hanno lavorato da casa riceveranno quest’anno un bonus di 363 euro.
 

Primi segnali di un possibile cambiamento

A distanza di un secolo dall’introduzione della catena di montaggio (fu proprio Henry Ford a ridurre la settimana lavorativa a cinque giorni), potremmo essere di fronte a una nuova rivoluzione del lavoro.

Lo smart working potrebbe accorciare, ulteriormente, la settimana lavorativa, come dimostra la Microsoft, la quale ha ridotto la settimana lavorativa a 4 giornate, mantenendo gli stessi salari, aumentando la produttività, riducendo i costi fissi e contando su dipendenti più soddisfatti.
 

Che futuro per il lavoro?

Insomma, mentre in generale, il 66 per cento dei dipendenti vorrebbe lavorare da remoto almeno un giorno alla settimana anche dopo la pandemia e l’88 per cento dei manager prevede introduzioni di lavoro ibride nel futuro, per favorire uno smart working sostenibile diventa necessario favorire la parità di retribuzione e le pari opportunità, sviluppare interventi strutturali e infrastrutturali che permettano di superare ostacoli materiali e servizi di supporto alla cura dei familiari.

Non solo. Il passaggio a una nuova fase richiede anche un nuovo intervento legislativo che faccia chiarezza su alcuni temi, a partire da diritto alla disconnessione, welfare aziendale e responsabilità legate a cybersecurity e data protection.

Tutti sono d’accordo che lo smart working del futuro sarà qualcosa di molto più leggero e flessibile rispetto a quello visto finora. Possiamo immaginare, secondo gli esperti, un lavoro per metà in presenza e metà in modalità agile.

Chissà se sarà anche l'occasione per riparare le distorsioni che si sono venute a creare finora, rendendo il lavoro più equo e meno precario.