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Clima: gli attivisti morti nel 2020

Nel 2020 almeno 227 persone hanno pagato con la vita la loro scelta di difendere il futuro del Pianeta. Lo testimonia la ong Global Witness.

Attivisti indigeni

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©mathess / 123rf.com

Cosa significa lottare per l’ambiente

“Un sacco di persone pensavano che mia mamma fosse pazza. Pensavano che fosse pazza perché lanciava l’allarme sui danni che avrebbe causato la miniera. Sul bestiame che avrebbe ucciso. Sulla violenza che avrebbe portato. Oggi è chiaro a tutti che lei non era pazza. Aveva ragione”.

 

Sono le parole di Malungelo Xhakaza, figlia di Fikile Ntshangase, insegnante che per anni è stata portavoce delle proteste popolari contro la miniera di carbone che è stata aperta nel 2007 a Somkhele, in Sudafrica. Gli scavi facevano tremare le pareti delle case; riempivano l’aria di polveri tossiche; consumavano ingenti quantità di acqua, in una zona in cui è già scarsissima.

 

Quando la società mineraria Tendele ha avviato l’iter per estendere le operazioni, Fikile Ntshangase si è battuta con tutte le sue forze. Si è informata, ha organizzato manifestazioni e incontri con la cittadinanza, ha partecipato a un’azione legale. 

 

Poi, una mattina di ottobre dello scorso anno, tre sconosciuti si sono presentati in casa sua, hanno chiesto al nipotino dove fosse la nonna e l’hanno freddata nel suo salotto. Sull’omicidio è stata avviata un’indagine che finora non ha portato a nessuna accusa formale.

 

Si apre con questa straziante testimonianza l’ultimo report della ong Global Witness che, ogni anno, cerca di custodire la memoria dei difensori dell’ambiente che hanno pagato con la vita il loro impegno.

 

Almeno 227 attivisti per il clima sono morti nel 2020

Purtroppo quello di Fikile Ntshangase non è un caso isolato. Global Witness fa sapere che almeno 227 attivisti per il clima sono stati uccisi nel 2020; dal 2012, quando la ong ha iniziato a tenere traccia di questo tragico bilancio, non era mai stato toccato un numero così alto. E tutto fa pensare che il conteggio reale sia ancora peggiore perché alcuni attentati finiscono nel silenzio, senza processi né visibilità mediatica.

 

Oltre una vittima su tre è indigena, soprattutto nelle Filippine e nell’America centrale e meridionale, Messico in primis. Considerato che in termini numerici i popoli indigeni rappresentano appena il 5% della popolazione globale, è evidente che la loro opera di guardiani del territorio sia invisa a certi gruppi criminali.

 

Se si va invece a esaminare la causa per la quale si battevano gli ambientalisti, in circa un caso su tre si tratta dello sfruttamento di risorse naturali (disboscamento, miniere, agricoltura intensiva) o la costruzione di grandi infrastrutture, come le dighe idroelettriche.

 

Preoccupano Colombia, Messico e Filippine

Ancora una volta il Paese più sanguinoso in assoluto è la Colombia con 65 omicidi nel 2020, inseriti in un contesto che le Nazioni Unite hanno descritto come “violenza endemica”. L’accordo di pace siglato nel 2016 tra il governo e le Farc aveva fatto ben sperare ma, da allora, i gruppi militari e paramilitari hanno preso il controllo delle aree più remote, nell’inerzia da parte dello Stato. 

 

Anzi, proprio alcuni elementi fondamentali dell’accordo si sono tradotti in ulteriore violenza. È il caso del programma governativo volto a sostituire le coltivazioni di coca con altre piantagioni legali; nel 2020 ben 17 agricoltori sono stati uccisi da gruppi armati per il solo fatto di aver aderito.

 

Nella graduatoria dei Paesi più pericolosi, la Colombia è seguita – a distanza – dal Messico e dalle Filippine, a quota rispettivamente 30 e 29 omicidi. Il Messico preoccupa soprattutto perché questo numero è cresciuto del 67% nell’arco di appena un anno; circa una vittima su due è indigena, circa una su tre si batteva contro il disboscamento illegale.

 

Nelle Filippine, invece, le ong internazionali e le agenzie Onu da tempo lanciano l’allarme sulle gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani. Il regime guidato da Rodrigo Duterte, che già si distingueva per una dura repressione del dissenso, ha approfittato della pandemia da Covid-19 per limitare ulteriormente la libertà personale con un durissimo lockdown, accompagnato dal varo di una nuova legge antiterrorismo.