Intervista

A Verona nasce la Banca del Tessuto

Uno spazio in cui il materiale tessile destinato al macero trova nuova vita e utilità. La Banca del Tessuto intende contrastare lo spreco tessile attivando buone pratiche di economia circolare e filosofia del dono.

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A Verona c'è un luogo in cui lo scarto tessile si trasforma in risorsa e opportunità sociale. D-Hub è un atelier di riuso creativo che- accanto a una lunga serie di iniziative nate per promuovere il diritto al lavoro e la sostenibilità su più livelli- ospita la Banca del Tessuto. Di che cosa si tratta, quali sono i principali obiettivi e quali i risvolti positivi sulla comunità? Ne abbiamo parlato con Maria Antonietta Bergamasco, co-fondatrice di D-Hub.
 

Una Banca del Tessuto, in cosa consiste il progetto?

La Banca del Tessuto è pensata come uno spazio di circolazione di materiale tessile, altrimenti destinato al macero.

L'idea è quella di contrastare lo spreco tessile, cercando di costruire un circolo virtuoso di raccolta di tessuti o accessori, prodotti in eccedenza o a fine serie, per metterli a disposizione della cittadinanza con logiche che si basino su un'economia circolare o del dono, che sappia valorizzare anche lo scambio di risorse o che possa monetizzare per sostenere attività di inserimento sociale e lavorativo di donne in situazione di svantaggio.
 

Come è nata l’idea?

L'idea è nata da una situazione critica all'interno della nostra associazione: tra le attività istituzionali c'è una sartoria sociale che, a partire da materiale di scarto, genera piccole collezioni di accessori per conto terzi o per il nostro atelier.

Usiamo principalmente banner di PVC, ma nel tempo abbiamo sviluppato anche competenze e collezioni con altro materiale tessile. La sartoria sociale ha dimensioni limitate (50 mq) e un magazzino che non permette una adeguata conservazione dei tessuti.

Avevamo, dunque, bisogno, di uno spazio dove stoccare le donazioni di materiale che, sempre più spesso, la comunità ci offre.

E da lì ci siamo dette: perché non lo facciamo anche per altre e altri? Pensavamo soprattutto alle donne che incontriamo nei nostri percorsi e che imparano a cucire in sartoria o in corsi a loro dedicati, in cui facciamo sempre in modo che possano anche costruirsi una piccola dote (macchina da cucire, manuale, squadra, metro, forbice, ecc.) ma... mancava la stoffa. E poi, osando, ci siamo chieste: e se potesse essere uno spazio non solo per donne che stanno nella loro vita lavorativa, ma per la città tutta?
 

Quali sono gli obiettivi?

Permettere alle donne che fanno con noi percorsi di inserimento lavorativo di avere accesso gratuitamente a materiale per incrementare le loro competenze sartoriali e, perché no, avviare anche piccole vendite come hobbiste dei prodotti che realizzano, costruendo insieme a loro un circuito di diffusione e sapendo che possono godere di materiale valido.

Ma, anche, impattare sulla comunità per una maggiore sostenibilità ambientale. Ed è molto bello dialogare con la comunità intorno a questi temi. Ci stanno rispondendo e sostenendo aziende del territorio, ma anche la cittadinanza.

E sono le piccole donazioni quelle che ci colpiscono di più, perché ci arrivano anche piccoli tesori familiari, carichi di vita, come il tessuto con cui si facevano le lenzuola per la dote o i bottoni raccolti lungo tutta la vita da una madre che non c'è più. Un altro obiettivo vorrebbe essere anche raccontare queste piccole storie gentili, piene di ricchezza a cui non sempre sappiamo dare valore.

L'obiettivo più grande, poi, è quello di far coesistere tutte queste dimensioni, proprio per una questione di coesione sociale che, per noi, non è un punto di arrivo, ma il punto di partenza per uno sviluppo veramente sostenibile, dove nessuno resta indietro.
 

Come funziona e come è possibile essere parte del progetto?

Abbiamo deciso di avviarlo in maniera sperimentale, per questi primi mesi, come attività rivolta alle socie e ai soci che, tesserandosi con diversi livelli di membership, acquisiscono anche dei "rocchetti".

I rocchetti sono la moneta alternativa che abbiamo pensato per la Banca del Tessuto: a ogni materiale è assegnato un rocchetto e, entrando nel nostro spazio, si potrà sbirciare tra i tessuti, con il supporto di un gruppo di preziose volontarie, e accedervi con il proprio credito di rocchetti. Un rocchetto equivale a 0,5-4 metri di stoffa, in base alla composizione del tessuto.

Prevediamo che possano esserci dei rocchetti sospesi, che chi si associa può decidere di destinare ad altre o altri. In questo modo, vogliamo garantire un accesso completamente gratuito alle donne che escono dai nostri percorsi.

La membership è il modo in cui rendiamo possibile e sostenibile il progetto, che ha dei costi di gestione dello spazio, di recupero delle stoffe e di un minimo di coordinamento.

Infine, vorremmo sperimentare una modalità mista, a banca del tempo: un'artista/artigiano/creativa che volesse accedere al materiale potrà fare una tessera base a costo simbolico, offrendo in cambio un laboratorio, gratuito per le donne in formazione o a costo calmierato ai soci e alle socie. Perché quando sarà possibile, questo sarà un luogo che vorrà favorire anche la circolazione dei saperi artigianali e artistici.

Per informazioni o adesioni, rispondiamo a info@dhubatelier.com. Si può poi donare materiale, tempo, competenze... insomma, è uno spazio dove vorremmo che "chi può dia, chi non può prenda".
 

La Banca del Tessuto si inserisce in un quadro più ampio di progetti di recupero e riuso creativo...

Il quadro dei progetti dell'associazione è davvero ampio. Le iniziative principali sono la sartoria sociale, i cui prodotti sono esposti alla Banca del Tessuto, e un parco, dove realizziamo processi di sviluppo di comunità.

Una piccola piattaforma di laboratori urbani, in cui mettere al centro la persona e la sostenibilità della vita, che crediamo si possa provare a raggiungere investendo in relazioni e in piccoli processi di decrescita. 
 

Quali valori- o meglio, diritti-intendete promuovere e supportare?

Ciò che abbiamo a cuore e che vogliamo promuovere sono il diritto al lavoro, in particolare per le donne, che ancora in Italia hanno una strada davanti troppo impervia; la valorizzazione e il riconoscimento del lavoro artigianale e artistico, che vogliamo non perda altri cm a favore di fast fashion e click facili da piattaforme velocissime e iper efficienti, ma che massacrano i lavoratori; il contenimento degli sprechi e il rispetto per l'unica Terra che abbiamo; e, infine, che le persone non si perdano di vista e che le comunità riscoprano il valore delle relazioni, soprattutto in questo momento in cui rischiamo di consolidare un'equazione pericolosa, cioè che distanza sia sicurezza.
 

State inoltre promuovendo una call di Mail Art. Come si situa nel quadro dei vostri progetti?

Proprio su quest'ultimo punto di non allungare le distanze, ma di trovare nuovi modi di vicinanza, abbiamo lanciato per la Banca del Tessuto una call di Mail Art... arte postale: un'artista e amica con cui siamo in un bellissimo dialogo, Valeria Bertesina, ci ha regalato un progetto di Mail Art e ci sta aiutando a raccogliere cartoline artistiche da ogni parte del mondo, con cui in primavera organizzeremo un'esposizione alla Banca del Tessuto. Poi, vorremmo trasformarla in esposizione itinerante.

L'idea è proprio quella di dire: ora non possiamo incontrarci per i laboratori e per le attività di animazione di comunità, ma possiamo creare legami liberi, democratici, sognanti e sopra le righe.

Per farlo, abbiamo scelto lo strumento dell'arte, un'arte che si offre gratuitamente e che va tutta in esposizione. Abbiamo ricevuto ormai quasi 100 piccole opere d'arte e stiamo tracciando tale narrazione sulla nostra pagina Facebook.

Questa combinazione, come la combinazione dei nostri progetti, ci sta permettendo di stare in un equilibrio davvero importante, in questo momento così delicato.
 

Siete soddisfatte della risposta che state ricevendo attorno alla vostra iniziativa?

Sappiamo che il lavoro è tanto, ma sentiamo anche di essere su una strada bella, dove stiamo incontrando tante persone che stanno capendo quello che facciamo e che ci stanno non solo supportando, ma anche chiedendo di essere parte attiva in questi processi di sostenibilità sociale e ambientale.