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Kate Fletcher, insieme per una Slow Fashion

Slow Fashion: non solo una “decelerazione” del mondo della moda, ma una revisione del rapporto che ciascuno di noi ha con quello che indossa. Il termine, con tutto quello che comporta in termini di sostenibilità- è stato coniato da Kate Fletcher, esperta di moda, designer, autrice e docente.

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©golubovy -123rf

In contrapposizione alla fast fashion e al consumismo a tutti i costi, una fetta del settore dell'abbigliamento negli ultimi anni ha sentito il bisogno di mordere il freno. Nel 2007, l'esperta di moda, designer, autrice e docente Kate Fletcher ha coniato il termine Slow Fashion, stabilendo nuovi principi per un approccio più consapevole e responsabile al mondo della moda.
 

L'impatto della fast fashion

Una ricerca pubblicata su Nature reviews Earth and environment esamina l’impatto ambientale di ogni passaggio della catena di approvvigionamento dell’industria tessile, dalla produzione al consumo. 

I dati sono allarmanti: ogni anno vengono consumati 1.500 miliardi di litri d’acqua, la lavorazione e la tintura dei tessuti sono responsabili di circa il 20% dell’inquinamento idrico industriale, circa il 35% (cioè 190mila tonnellate all’anno) delle microplastiche presenti negli oceani è attribuibile ai lavaggi dei capi in fibre sintetiche e i rifiuti tessili- diventati tali per far posto alle nuove collezioni- superano i 92 milioni di tonnellate ogni anno

Un'impronta ecologica impossibile da sostenere, che necessita di un rapido cambio di rotta.
 

Il ritorno alla Slow Fashion

E così, dopo oltre un ventennio di fast fashion- in cui i ritmi di produzione e di consumo sono aumentati in modo inversamente proporzionale alla qualità dei capi e al loro prezzo- un numero crescente di brand ha iniziato a virare verso un approccio più sostenibile. 

Semplicemente compriamo troppo”, denuncia Fletcher. Così, la Slow Fashion incoraggia ad acquistare meno capi, più sostenibili, con una maggiore qualità, con una minore frequenza.

Tale rivoluzione del settore, negli ultimi anni è andata di pari passo con una crescente consapevolezza dei consumatori, che- come sottolineato dal Report 2020 sulla moda consapevole di Lyst- ricercano standard etici e di sostenibilità della filiera più alti. 

 

Identikit della Slow Fashion

Secondo la stessa Fletcher -ideatrice del termine e del concetto sull'esempio del movimento Slow Food e dei suoi punti cardine- si può definire la Slow Fashion come: “una moda concepita da un punto di partenza diverso rispetto al fashion del consumismo e della crescita a tutti i costi. Una moda che coniuga integrità ecologica e qualità sociale attraverso i prodotti, le pratiche d'uso e le relazioni. Dove non importano solo i materiali e la tecnologia, ma anche i comportamenti, i rapporti, la mentalità”. Dove, secondo la “logica della Terra” (Earth logic) le risorse e il mondo naturale sono al centro (Earth first). 

La Slow Fashion si basa essenzialmente su alcuni principi fondamentali:

  • Qualità: materiali di prima scelta, naturali o sostenibili per aumentare il ciclo di vita dell'indumento e ridurre, dunque, gli scarti. Ne consegue un maggior valore, anche economico, del capo.
  • Estetica: capi esteticamente belli, con un design che permette di farli durare oltre la singola stagione.
  • Etica della filiera: ogni passaggio della filiera -dalla materia prima al prodotto finito- deve essere trasparente e attento dal punto di vista ambientale (uso delle risorse, trasporto,packaging), ma anche etico e sociale.
  • Relazioni: alla base della Slow Fashion ci sono le relazioni. Tra il consumatore e lo specchio, tra il consumatore e la moda, tra il consumatore e l'indumento scelto, tra i consumatori che si riconoscono e si identificano nei principi della Slow Fashion, tra il consumatore e la società, tra il consumatore e il mondo intero. Sono tutti questi livelli di relazioni che muovono le persone all'acquisto e ne determinano i comportamenti nella scelta e nella cura degli abiti. 
     

Una questione tecnica, estetica, politica

Tracciabilità della catena produttiva, uso efficiente delle risorse, innovazione nella scelta dei materiali: si tratta di punti fondamentali nella ricerca di una moda sostenibile. Tuttavia il concetto di Slow Fashion, così come lo intende la Fletcher, risulta molto più ampio.

Nella raccolta di saggi “Moda, design e sostenibilità”- pubblicata in italiano- si mette in relazione la moda non solo con gli aspetti tecnici di cui sopra, ma anche con l'estetica e persino con la politica.

Scrive Kate Fletcher: “La moda è implicita nei sistemi più vasti di controllo e potere dell’epoca moderna […]. Il tipo di moda che viviamo oggi non è scelta liberamente dai cittadini, ma rappresenta spesso l’unica opzione  […]. Sono quindi le idee dominanti in fatto di economia, pratica imprenditoriale, strutture organizzative, preferenze culturali a dettare la visione e l’esperienza prevalenti della moda e a reprimere e soffocare le idee alternative costringendole ai margini”.

Così, la politica influenza la moda. Tuttavia, in qualità di consumatori, abbiamo il potere di influenzare a nostra volta- con la nostra domanda- l'offerta, e non solo.

In un paragrafo intitolato Le storie dei dress code alternativi, la Fletcher suggerisce di  guardare ai margini del sistema imperante, tenendo a mente che le scelte di ciò che indossiamo sono fatte di valori, di esperienze passate, desideri attuali e aspirazioni future. Riguardano noi, singoli individui che si rapportano con la propria fetta di mondo, e non lo stereotipo stagionale che propongono i marchi e le passerelle. 

Le espressioni dei valori, aspirazioni, retaggio, comprensione e della forma fisica del nostro corpo costituiscono una logica dell’abbigliamento che trascende le ristrette visioni commerciali della moda. Tutti questi elementi offrono prospettive più ampie che rispettano la nostra realtà oltre che le nostre aspirazioni, e che mettono in contatto la nostra psiche con le nostre scelte in fatto di fibre e di moda”.

Un concetto che ha del rivoluzionario, perché trascende dal mero consumismo per arricchirsi di un retaggio personale con cui le logiche di mercato hanno pochissimo a che fare.