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Vegan ma ultraprocessato: quando l’industria si traveste da sostenibilità

Negli ultimi anni la domanda di prodotti vegetali ha registrato una crescita senza precedenti: sempre più persone scelgono di ridurre o eliminare alimenti di origine animale spinte da motivazioni etiche, dalla preoccupazione per il cambiamento climatico o dal desiderio di migliorare il proprio benessere.

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©Foto di Sarsmis su iStock

L’industria alimentare ha colto questa tendenza e ha risposto immettendo sul mercato un’offerta sempre più vasta di alternative “plant-based”: burger vegetali, formaggi a base di soia, bevande proteiche di pisello o avena… insomma il supermercato oggi offre un assortimento che fino a pochi anni fa era impensabile. Eppure, questa apparente abbondanza cela un problema spesso sottovalutato: gran parte di questi prodotti rientra nella gamma sempre più ampia di cibo vegan ultraprocessato, ovvero alimenti formulati industrialmente con farine raffinate, additivi, stabilizzanti e aromi artificiali, ma con un ridotto apporto di nutrienti essenziali. Dietro l’immagine verde e rassicurante si celano infatti insidie che mettono a rischio la salute di chi sceglie una dieta vegana. Di seguito analizziamo il paradosso dei cosiddetti “cibi finti,” i loro effetti e gli strumenti pratici per orientarsi verso scelte che siano davvero consapevoli.

 

 

Il paradosso dei cibi vegani finti


Il boom del mercato plant-based ha attratto colossi multinazionali e startup tecnologiche, generando investimenti miliardari nella ricerca di alternative che imitino il gusto e l’aspetto dei prodotti animali. Tecniche come l’estrusione delle proteine vegetali permettono infatti di ottenere burger che sembrano sanguinare grazie a coloranti naturali o molecole sintetiche, oppure formaggi filanti prodotti con amidi modificati, o ancora gelati cremosi senza latte ma ricchi di emulsionanti. Dietro l’aspetto accattivante, insomma, questi alimenti risultano spesso altamente trasformati e lontani dalla semplicità di un pasto vegetale naturale.
Il paradosso è evidente: questi cibi vengono proposti come soluzioni sane e sostenibili, ma in realtà vengono ottenuti tramite processi industriali che snaturano la materia prima, riproducendo di fatto le stesse logiche dell’industria alimentare che hanno reso problematici i prodotti animali ultra-processati: massimizzare il gusto, aumentare la durata di conservazione, stimolare il consumo frequente. Un hamburger vegetale può contenere meno grassi saturi rispetto a quello animale, ma allo stesso tempo includere oltre venti ingredienti, dal glutammato, agli oli raffinati, fino agli aromi “fumé” ricreati in laboratorio: insomma si tratta sì di cibi vegan, ma talmente ultraprocessati da essere definiti “cibi finti”, in quanto imitano forma e sapore degli alimenti tradizionali, ma perdendone genuinità e integrità nutrizionale. Lontani anni luce da un piatto di legumi cucinati in casa, questi alimenti rivelano la contraddizione di un sistema che, pur rivestendosi di verde, continua a privilegiare il profitto rispetto alla qualità nutrizionale.
 

 

Effetti sulla salute


Numerosi studi hanno messo in luce il legame tra il consumo elevato di alimenti ultraprocessati e l’aumento del rischio di malattie croniche. Sebbene molti di questi studi non siano specifici sul cibo vegan ultraprocessato, il meccanismo rimane simile: non è l’assenza di ingredienti animali a determinare la salubrità di un prodotto, ma il profilo nutrizionale. Molti di questi alimenti ultraprocessati infatti, presentano un eccesso di zuccheri aggiunti, grassi saturi e additivi, che possono favorire processi infiammatori e alterazioni metaboliche. Consumare frequentemente cibi finti significa dunque esporsi a diversi rischi:

  • Rischio cardiovascolare: alimenti industriali ricchi di sale e grassi trans favoriscono ipertensione e alterazioni lipidiche;
     
  • Diabete e obesità: l’alta densità calorica e la scarsa presenza di fibre favoriscono un eccesso di calorie e picchi glicemici che sovraccaricano il metabolismo;
     
  • Infiammazione cronica: alcuni additivi, come emulsionanti e dolcificanti, possono alterare la composizione del microbiota intestinale, favorendo processi infiammatori.

Insomma il mito secondo cui “vegano = salutare” risulta ingannevole: una dieta basata quasi esclusivamente su prodotti industriali non garantisce una buona salute vegana. Al contrario, riduce la qualità complessiva dell’alimentazione e può portare a carenze se non è bilanciata da cibi freschi, integrali e minimamente processati: la vera protezione si ottiene scegliendo alimenti vegetali nella loro forma più autentica e naturale.
 

 

Come scegliere prodotti vegetali autentici


Per non cadere nelle trappole del marketing, tutelare la propria salute e compiere scelte realmente sostenibili, è necessario sviluppare un approccio critico e informato, con l’obiettivo non di demonizzare i sostituti vegetali, ma di relegarli a consumo occasionale, inserendoli in un quadro alimentare in cui gli alimenti freschi e minimamente processati siano predominanti. Ecco alcune semplici regole da seguire:

  1. Leggere le etichette: un alimento con pochi ingredienti, riconoscibili e naturali, è da preferire rispetto a prodotti con liste lunghe e incomprensibili;
     
  2. Limitare additivi e zuccheri: la presenza di troppi conservanti, esaltatori di sapidità e dolcificanti è da considerarsi un valido campanello d’allarme;
     
  3. Valutare il contenuto nutrizionale: è importante confrontare valori di sale, grassi e zuccheri con le raccomandazioni delle linee guida;
     
  4. Scegliere filiere trasparenti: è utile ricercare certificazioni affidabili, filiere controllate e processi produttivi rispettosi della materia prima, in modo da ridurre il rischio di greenwashing;
     
  5. Prediligere l’integrale: è importante privilegiare alimenti semplici e integrali (quali cereali non raffinati, legumi secchi, frutta e verdura di stagione, semi e frutta a guscio) che rappresentano la base di una dieta vegetale equilibrata e benefica.