Intervista

La cucina fermentata, intervista a Valeria Mosca

Valeria Mosca, la chef della cucina fermentata: la conoscono così, ma i suoi progetti e le sue ricerche vanno ben oltre vasi e vasetti che riposano in dispensa. Noi la intervistiamo per capire cos'è il foraging, l'alimurgia e quali sono i segreti della cucina tradizionale dimenticata che ha recuperato con impegno, passione e successo.

La cucina fermentata, intervista a Valeria Mosca

Intervista a Valeria Mosca, giovane chef del foraging

Dopo aver incuriosito chef, appassionati e addetti ai lavori con la sua cucina fermentata nata dal recupero di conoscenze culinarie antiche che si basano su una filosofia di vita sostenibile, Valeria Margherita Mosca non smette di sorprendere i suoi fan e incuriosire.

Sul sito La cucina italiana si presenta spiegando la sua profesisone nel campo del foraging, l'alimurgia e la cucina e ora la chef va regalando incontri Wood*ing - WIld food lab, progetti educativi e tante novità. Tra "mixologia", "forager" e "bar endemici", scopriamo grazie a questa intervista cosa c'è in serbo per grandi e piccini!


Specificando che non si tratta di alimentazione esoterica, né di "cibo per le streghe", forse non tutti hanno familiarizzato con questi termini: cos’è il foraging? E l’alimurgia?

L’alimurgia è l’arte di nutrirsi mediante erbe, fiori e piante spontanee e la conseguente catalogazione. E’ un’arte antichissima, anche se il termine è stato coniato solo nell’epoca dei lumi. Il foraging, legato all’alimurgia, è semplicemente l’attività di ricerca di cibo spontaneo.

 

La tua storia culinaria è sorprendente e fortemente innovativa, indubbiamente qualcosa in divenire e che aprirà molti spunti: da cosa è nata in te l’idea di cucinare in questo modo? 

E’ qualcosa nato ancor prima di iniziare a cucinare, legato ai ricordi d’infanzia passati con mia nonna che è stata la mia prima maestra, portandomi in giro per boschi a raccogliere piante selvatiche di sussistenza.

Per lei, come per molti della sua generazione, non era una novità, era il modo più semplice per procurarsi il cibo in un periodo in cui c’era meno consumismo. Ora credo che si stia facendo largo una nuova necessità, quella di ripristinare certi valori e inserirli in uno spettro più ampio, consapevoli che non si possa continuare a sprecare risorse sul nostro pianeta.

 

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Come si sposa la tradizione culinaria italiana con il foraging e la cucina fermentata? Cosa hai preso invece dalle tradizioni di altri paesi?

Quando pensiamo alle tecniche fermentative ci viene in mente subito l’Asia. In realtà alcune fra esse fanno parte della nostra identità alimentare e perciò della nostra identità culturale.

Ti faccio l’esempio della lattofermentazione, uno dei metodi più utilizzati dagli alpeggiatori dell’arco alpino per la sussistenza invernale. Fermentavano così piante e vegetali raccolti durante l’estate assicurandosi nutrimento durante i mesi più freddi.

Stessa cosa vale per la raccolta. La tradizione alimurgica italiana ha radici forti e antiche. Fino alla fine del 1800 ed in alcune aree fino ai primi decenni del '900 l’uomo appartenente ai ceti medio bassi si nutriva all’80% di cibo selvatico. Tutto ciò che veniva coltivato era venduto o ceduto ai ceti più abbienti.

Esserci dimenticati di queste “attitudini” è cosa recente, sicuramente conseguente all’industrializzazione, alla globalizzazione alimentare, all’agricoltura intensiva. 

Lavorare la materia attraverso tecniche fermentative ci ricollega alla nostra identità culturale, utilizzare ingredienti selvatici non fa altro che far diventare la cucina espressione vera del territorio e insieme riappropriarsi di una nostra identità dimenticata rendendola contemporanea.

 

Come sta crescendo l'importante progetto Wood*ing? Tra laboratori, corsi di fermentazione e degustazioni, sta conquistando un pubblico diversificato o è destinato ad essere una nicchia per appassionati?

Direi che sta crescendo benissimo. Sin da subito ho trovato apertura ed entusiasmo nell’esplorare la nostra organizzazione. La formazione, le cene degustazione, ma anche i continui e numerosi inviti a importanti congressi del settore sono tra i mezzi migliori per diffondere la nostra idea ad ampio raggio, raccogliendo vasti consensi.

 

Hai mai sperimentato una pianta che conoscevi poco e che ha dato risultati sgradevoli o tossici? 

Partiamo dal presupposto che, per fare foraging, occorra avere basi importanti di tossicologia e botanica. Questo è importantissimo per ovvi motivi ed è un punto che non mi stancherò mai di ripetere. Quindi non mi è mai capitato di incappare in piante tossiche.

Magari ci possono essere piante che, ad un primo assaggio, hanno un sapore particolare e qui sta l’abilità nel trattarla o abbinarla con giusti ingredienti per rendere il piatto bilanciato sotto il punto di vista organolettico.

 

Quanto è importante - soprattutto per gli chef in erba - il fatto di non imitare il tuo operato senza una buona base di conoscenza?

Come dicevo prima, non ci si improvvisa forager, perché sbagliare a riconoscer eun alimento può rivelarsi fatale. 

 

Viceversa, qual è l’ingrediente che ti ha dato e continua a darti maggiori soddisfazioni? Il piatto che preferisci preparare?

Mi stupisco sempre davanti a troppe cose quando sto in mezzo alla natura incontaminata o in cucina alla presa con nuovi ingredienti. Non saprei mai scegliere!

 

Leggendo “Wild Mixology” è interessante vedere come persino i cocktail che proponi sono “selvatici”: qual è il più particolare?

La mixologia è una disciplina in espansione e credo che, per questo, avesse bisogno di allargarsi a nuovi ingredienti ma sopratutto a nuove tecniche, ferma e stantia da troppo tempo oramai.

Un buon professionista del bar deve sempre e comunque maneggiare perfettamente i classici e le tecniche tradizionali ma aprire la miscelazione a nuovi orizzonti credo che oramai sia diventato indispensabile. Un po’ come lo è stato per la cucina alcuni decenni fa. Non ho un cocktail preferito, mi piacciono tutti.

 

Puoi svelarci altri progetti che hai o avete in serbo per il futuro?

Tra pochissimo, questione di giorni, apriremo il Wood*ing Bar a Milano, il primo bar totalmente endemico al mondo, dove si potranno assaggiare i nostri cocktail e degustare alcuni dei piatti creati dal Lab. 

A breve partiremo col progetto “Thinking like a forest”, dove progettiamo campi sperimentali di piante selvatiche a basso impatto ambientale, per recuperare vecchie aree agricole e alpeggi in disuso.

Lanceremo, in collaborazione con ERSAF, i primi campus per bambini, per avvicinarli alla natura e al foraging. E, dal prossimo anno scolastico, e di questo sono particolarmente orgogliosa, porteremo il foraging nelle scuole elementari e medie, con un ciclo di tre lezioni all’interno del programma scolastico.

 

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