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Origine del tarantismo

Dietro tutti i festival delle Notti della Taranta c'è un antico retaggio culturale. Dietro la cultura ci sono superstizione e religione ma ancora prima troviamo antichi riti pagani di riequilibrio delle energie del cosmo.

Origine del tarantismo

Il fenomeno del tarantismo, attualmente ridotto a fattore culturale, leitmotiv per festival estivi, o materia di studio antropologico e psicanalitico, ha origini antichissime. Si concentra soprattutto nel Salento, nelle province di Taranto, Bari e Lecce.

In quest’ultimo luogo, al fine di sopravvivere, il tarantismo si legò a doppio filo con i temi della religione dominante dell’epoca, ovvero il Cristianesimo, prendendo in prestito San Paolo e facendogli ricoprire il ruolo apotropaico di nemesi degli spiriti maligni, ovvero la taranta immaginata sotto forma di ragno o in alcuni casi di serpente o scorpione (in dialetto salentino, il serpente viene chiamato scurzone, nome che, proprio come scorpione, deriva dall’antico protoindoeuropeo skar: ferire, tagliare, grattare).

 

Tarantismo come risposta alla repressione religiosa

Prima di questa versione religioso-culturale del tarantismo, esso era legato a fenomeni pagani del mondo greco-lliro. Molti hanno creduto, forse basandosi su un fondo di verità, che il motivo per cui le vittime del morso della taranta fossero quasi esclusivamente femmine, avesse a che vedere con la repressione sessuale del cristianesimo medievale, che spingeva, soprattutto le donne, a reprimere le proprie energie telluriche in un inconscio pronto ad erompere durante la trance individuale o collettiva.

In questo senso gli episodi di tarantismo non rappresenterebbero una mera superstizione stregonesca ma una valvola di sfogo collettiva per tutte le energie naturali dalle quali la religione forzava le persone a prendere distanza. Ciò confermerebbe anche il perché la danza in trance delle tarantate avesse spesso caratteri sessuali (Santu Paulu meu de le tarante ca pizzichi le caruse 'mmenzu ll'anche, Santu Paulu meu de li scurzuni ca pizzichi le carusi a li carzuni… Addhù te pizzicau la tarantella, sutta de la putia te la vunnella) e dissacratori della religione opprimente (come l’orinare in luoghi sacri).

 

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La radice dionisiaca del tarantismo

Ma forse c’è una radice più antica, riscontrabile nei luoghi del Salento meno oppressi dalla religione cristiana medievale. Dietro questa apparente isteria di massa simile a quanto accadde a Salem alla fine del 1600, c’è una forte e innegabile connessione coi baccanali e i riti di Dioniso, ovvero con l’ebbrezza divina.

Dioniso infatti rappresenta la corrente vitale, la libidine, la frenesia, la forza primordiale animale e divina al contempo, che l’uomo contiene in se’ a dispetto della sua controparte razionale che cerca di dare un ordine intelleggibile all’universo e ai fatti della vita.

Solo le donne potevano partecipare ai misteri dionisiaci, come nella taranta, e farsi canali dell’impeto del dio della vita al punto da trascendere l’individuo ed incarnare per il tempo di una danza estatica l’intera forza della natura, la madre dell’esistenza. Dionisio, considerato il dio che riconduce alla totalità dell’esistenza per la via dell’animalità e dell’ebbrezza, connette il singolo individuo col centro dell’energia cosmica senza curarsi delle conseguenze sociali, ovvero della comunità di individui e delle sue regole.

Difatti le donne che partecipavano ai suoi misteri divenivano pazze e non gestibili socialmente, in quanto del tutto disinibite e prive di remore morali. Qui insorge il ruolo della società con una sensibilità pagana e sciamanica che trova un modo di armonizzare questo impulso cosmico, portatore di fertilità fisica, vitale, mentale, culturale e sociale, ad un contesto sociale e quindi regolato.

Infatti, nel tarantismo questo spirito dionisiaco, lo spirito della taranta, non viene esattamente esorcizzato, se non in apparenza, ma celebrato, aiutato ad esprimersi in un contesto sicuro (il perimetro magico colorato, come un mandala, in cui il furore dionisiaco veniva contenuto), ed esaurito in modo sano, approccio totalmente inconcepibile per la religione cristiana che ne rifiutava tutti i caratteri bestiali, sessuali e femminili.

Il tarantismo e lo sciamanesimo

Il tamburello del tarantismo ha molto a che fare col tamburo dello sciamano, il ritmo musicale e coreutico, già caro agli acusmatici pitagorici, connette il ritmo dell’universo a quello di ogni suo singolo elemento, compreso il battito cardiaco umano.

Anche il dio Shiva crea l’universo col suo Damaru, tamburo a due teste utilizzato ancora in Tibet per le pratiche tantriche che, come nel tarantismo, detta il tempo alternato del rassicurante spirito apollineo rappresentato dalla coscienza razionale di facciata, e quello dello sconvolgente spirito dionisiaco rappresentato dall’estati data dal pizzico della taranta.

 

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Foto: bennymarty / 123rf.com