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Spagna: al ristorante solo acqua del rubinetto

In Spagna baristi e ristoratori sono obbligati a offrire ai clienti un’alternativa semplice ed ecologica alle bottiglie di plastica: l’acqua di rubinetto.

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©nikkimeel / 123rf.com

Cosa prevede la legge spagnola sull’acqua di rubinetto

Quando prendiamo il nostro posto a un qualsiasi bar o ristorante, la prima cosa che compare sul tavolo è sistematicamente una bottiglia d’acqua (o più di una). Acqua che è stata prelevata da una sorgente a qualche migliaio di chilometri di distanza, trasportata fino a uno stabilimento, imbottigliata e poi di nuovo trasportata (rigorosamente via camion) fino a un punto vendita.

 

Anche in Spagna a lungo le cose sono andate così. A partire dal 10 aprile 2022, però, baristi e ristoratori sono obbligati a offrire un’alternativa, la più semplice ed ecologica: l’acqua di rubinetto. Gratuitamente. È quanto prevede l’articolo 18.3 della legge sui rifiuti e sui suoli contaminati per un'economia circolare, entrata in vigore il 10 aprile 2022 (ma per alcune disposizioni bisognerà attendere il 1° gennaio 2023).

 

L’economia circolare in Spagna e in Italia

L’obiettivo è chiaro: ridurre gli sprechi e i rifiuti, incoraggiando le soluzioni meno impattanti in termini ambientali. In materia di economia circolare la Spagna ha ancora parecchio da migliorare, come dimostra il rapporto del Circular Economy Network

 

I rifiuti generati in Spagna nel 2018 hanno raggiunto un volume complessivo di 138 milioni di tonnellate. Più della metà dei rifiuti urbani (per la precisione, il 52% nel 2020) è finito in discarica invece di essere riciclato. Ne consegue che nel 2020 il tasso di uso circolare della materia – cioè la percentuale di materie prime seconde sul totale – si è fermato all’11,2%, leggermente sotto la media europea del 12,8%.

 

L’Italia in confronto se la cava molto meglio. È al primo posto in Europa per performance nell’economia circolare, con una quota di riciclo complessiva pari al 68% (contro una media europea del 35%) e un tasso di uso circolare di materia pari al 12,8%.

 

L’acqua in bottiglia, un’abitudine italiana

Adottare un modello di economia circolare, però, non equivale soltanto a differenziare e riciclare i rifiuti. Prima di tutto, bisogna fare il possibile per evitare che le risorse diventino rifiuti. In questo senso, l’acqua in bottiglia è una contraddizione in termini perché impone un packaging (in plastica nella maggior parte dei casi, solo sporadicamente in vetro) la cui vita utile è di appena pochi minuti.

 

Un packaging che, per giunta, non offre alcuna garanzia in termini di sicurezza né di comodità. L’Italia vanta infatti il quinto posto in Europa per qualità dell’acqua pubblica, grazie a una serie di fattori. Innanzitutto, l’85% dell’acqua deriva da falda. I limiti di legge sulle sostanze inquinanti sono inoltre severissimi (e lo diventano ancora di più con la nuova direttiva EU 2020/2184) e i controlli sulla rete idrica sono capillari.

 

Eppure, spiega l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea), in dieci anni le vendite di acqua minerale imbottigliata nella plastica sono più che raddoppiate: erano circa 5 miliardi di bottiglie all’anno nel 2009, sono arrivate a 10 miliardi nel 2019. Durante la pandemia è aumentato il numero di cittadini che bevono (almeno occasionalmente) acqua di rubinetto, forse per privilegiare la praticità in un periodo di restrizioni. 

 

E se l’acqua di rubinetto trattata viene proposta al bar o al ristorante? Stando a un’indagine di Aqua Italia, sono di più gli italiani che continuano a chiedere una bottiglia rispetto a quelli che accettano di buon grado l’offerta. Di sicuro il fatto di renderla gratuita, come è stato fatto in Spagna, potrebbe rappresentare un valido incentivo.