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Jova Beach Party, proviamo a fare un po' di chiarezza

Le polemiche sul Jova Beach Party, il tour di Jovanotti nelle spiagge, hanno acceso l’estate italiana e spaccato a metà il mondo ambientalista. A partire dai dati, proponiamo una riflessione.

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Jova Beach Party, la polemica

L’idea di migliaia di persone di ogni età che si incontrano per una giornata di festa, unite dalla passione per la musica, non può non far sorgere spontaneo un sorriso. Soprattutto dopo due anni in cui la pandemia ci ha bruscamente rinchiusi nelle nostre case, privandoci della gioia dei rapporti con gli altri. Che fare, però, se questi eventi invadono i delicati ecosistemi naturali?

 

È questo l’interrogativo che sta animando l’estate italiana. Protagonista del dibattito è il Jova Beach Party, lo spettacolare tour voluto dal cantante Jovanotti. Dopo la prima edizione del 2019 e la pausa forzata per il Covid-19, nel 2022 è tornato in grande stile con venti tappe

 

Come suggerisce il nome, quasi tutte – salvo rare eccezioni – si svolgono nelle spiagge. Cioè in ambienti naturali, la cui flora e fauna spesso sono già fortemente sotto pressione per via dei consueti flussi turistici. Rispetto alle aree tradizionalmente adibite per concerti e festival estivi, come stadi, arene e anfiteatri, è tutta un’altra cosa: a livello scenografico, ma anche e soprattutto ambientale. 

 

Il mondo ambientalista spaccato a metà

A fare da garante della bontà dell’operazione è il WWF che anche nel 2022, come tre anni prima, ha sottoposto ogni location a uno screening, evidenziandone le caratteristiche ecologiche. Sulla base di questi dati, ha fornito agli organizzatori indicazioni ad hoc su come predisporre la spiaggia e su quali interventi di mitigazione eseguire. Tutto questo con l’intento di limitare il più possibile l’impatto ambientale.

 

Una presa di posizione che ha scatenato l’ira di altre associazioni. “Per concerti come quelli previsti dal Jova Beach Party esistono ovunque in Italia spazi dedicati e idonei, che offrono attrezzature e servizi per gli spettatori e gli organizzatori, e che quindi non è necessario utilizzare le spiagge, soprattutto quelle vicino a parchi o siti naturalistici”, tuona Italia Nostra

 

È vero che l’organizzazione del concerto si fa carico degli interventi di mitigazione, ma è vero anche che “per tutelare la biodiversità basterebbe non danneggiarla e non aver bisogno, quindi, di compensazioni che purtroppo sembrano greenwashing”, si legge nella nota. Altrettanto duro il commento della Lipu: “Le spiagge sono un ambiente delicato: farne un luogo di concerti è sbagliato materialmente e culturalmente”.

 

La chiusura di Jovanotti: “Eco-nazisti”

“Non sparate fuffa. Venite a verificare. Eco-nazisti che non siete altro”. Questa la frase saliente dello sfogo che Jovanotti ha pubblicato su Instagram, evidentemente esasperato dalle polemiche che non accennano a placarsi.

 

Parole piccate a cui il geologo e divulgatore scientifico Mario Tozzi ha volutamente replicato con toni ben più concilianti. Il problema – spiega– non sta nel concerto in spiaggia, bensì nelle sue dimensioni. Ogni bagnante porta via involontariamente 50-100 grammi di sabbia dopo una banale giornata al mare: questo impatto, moltiplicato per 50mila persone che ballano e saltano per ore, può diventare disastroso. Tanto più perché “in Italia circa il 40 per cento delle spiagge è sottoposto a un’erosione costante e l’esito di questo processo è che rischiano di andare perdute, se non si interviene incisivamente”.

 

C’è anche un’altra ragione, continua Mario Tozzi, ed è culturale. È sbagliato dare per scontato che la natura sia al nostro servizio. È sbagliato plasmarla a nostro piacimento, soprattutto se non è una questione di vita o di morte, soprattutto se le alternative esistono.

 

Il caso del fratino

Protagonista involontario della querelle è il timido fratino (Charadrius alexandrinus), un piccolo trampoliere che nidifica tra le dune delle spiagge italiane, soprattutto nel medio Adriatico e nel Tirreno. La sua popolazione è in calo, soprattutto perché ha bisogno di un ambiente pulito, in cui la vegetazione spontanea e le dune siano intatte.

 

Già nel 2018 Jovanotti aveva scelto di annullare la data di Ladispoli del suo tour, perché pericolosamente vicina alla sua area di nidificazione. Nel 2022 il tema si è ripresentato. 

 

Osservate speciali le due date a Fermo, nelle Marche. La stampa sostiene che la spiaggia di Casabianca sia stata spianata due volte, per la prima e per la seconda edizione del tour; il WWF, invece, nega. E ribadisce di aver programmato i lavori di preparazione il più tardi possibile per evitare di compromettere una nidificazione che, alla fine, non c’è stata.

 

Chi paga per i concerti in spiaggia?

Un lungo approfondimento scritto da Sarah Gainsforth per L’Essenziale indaga un altro aspetto, finora rimasto ai margini del dibattito: quello dei costi economici e, di conseguenza, sociali. E lo fa sciorinando parecchi numeri.

 

Affittare uno stadio come quello di Napoli per un live, per esempio, ha un costo pari al 10% dell’incasso, con un minimo garantito di 50mila euro. Per la spiaggia di Barletta, l’agenzia di Jovanotti (Trident) ha pagato poco meno di 2.700 euro. 

 

A fronte di questi magri incassi, l’amministrazione comunale e regionale ha l’onere di allestire l’area e mobilitare polizia, protezione civile e così via. All’organizzazione del Jova Beach Party spettano poi le operazioni di pulizia e ripristino ma, stando ai dati raccolti da Gainsforth, il costo non è comparabile.

 

Maurizio Salvadori, manager di Trident, si difende affermando che la gestione di un concerto in una spiaggia sia talmente complessa da risultare molto più costosa, anche tolto il canone di affitto dello stadio. E sottolinea come le amministrazioni non siano chiamate a sovvenzionare il Jova Beach Party, come invece fanno per ospitare altri eventi come le tappe del Giro d’Italia.

 

In quest’ottica, ospitare il Jova Beach Party sarebbe un’opportunità per far conoscere il territorio, attirare turisti e generare un indotto che va ben oltre l’incasso del concerto. Ma sarà davvero così? I dati raccolti dall’Essenziale raccontano una storia leggermente diversa. Un conto è sponsorizzare una zona misconosciuta, un conto è congestionare ulteriormente una località già al centro dei flussi turistici: in questo secondo caso, la tanto auspicata crescita economica è tutt’altro che garantita.

 

Uno spunto di riflessione dal Jova Beach Party

Questa è soltanto una sintesi, volutamente stringata, dei temi caldi. Ma la polemica è talmente accesa, e gli elementi da valutare sono talmente tanti, che ormai sul Jova Beach Party si potrebbe scrivere un libro. 

 

Di fronte a questioni così complesse, decretare chi ha ragione e chi ha torto sarebbe un esercizio un po’ velleitario. E, tutto sommato, nemmeno tanto utile. Di informazioni ce ne sono a bizzeffe: ciascuno di noi dunque ha i mezzi per scegliere secondo coscienza quali artisti supportare e come impiegare il proprio tempo libero. 

 

Cosa ci possiamo portare a casa, allora, da questa faccenda? A noi piace pensare che possa essere uno spunto di riflessione sul rapporto che ci lega alla natura. Istintivamente andiamo a cercarla, ne sentiamo il bisogno, sappiamo che ci fa stare meglio: ma siamo sicuri di saperci avvicinare a lei nel modo giusto?

 

Riempire una spiaggia di palchi, transenne, bar, toilette, e di tutto ciò che serve per un maxi-evento del genere, tecnicamente è lecito. Ce l’ha insegnato il Jova Beach Party. E magari tecnicamente può anche essere definito come sostenibile, se ci atteniamo alle valutazioni fornite dal WWF, in attesa di ulteriori studi sull’impatto ambientale nel breve e nel medio termine. 

 

Ma siamo sicuri che questo significhi vivere la natura? Siamo sicuri che un ambiente così pesantemente trasformato, antropizzato e piegato ai nostri interessi sia natura? Forse la nostra visione antropocentrica ci ha fatto dimenticare che il pianeta in cui viviamo ha equilibri che non sono i nostri, necessità che non sono le nostre, logiche che possono addirittura esserci ostili. A noi il compito di rispettarlo, e proteggerlo, per quello che è. Perché è la cosa più preziosa che abbiamo.