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La Francia condannata per il clima

Nonostante le promesse, lo Stato francese non ha fatto abbastanza per fermare i cambiamenti climatici. L’ha sancito il tribunale, condannandolo a un simbolico risarcimento di un euro a favore di quattro associazioni ambientaliste.

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©Kremlin.ru / Wikimedia Commons

Vittoria storica per gli ambientalisti francesi

“È con grande emozione che scriviamo oggi queste parole: due anni dopo l'incredibile mobilitazione che ha portato l’Affaire du Siècle, ABBIAMO VINTO!”.

 

Con queste parole le organizzazioni ambientaliste francesi hanno accolto la sentenza con cui il tribunale amministrativo di Parigi, mercoledì 3 febbraio, ha condannato lo Stato francese per “inazione climatica”. 

 

Cosa significa? Significa che, nonostante l’impegno preso di fronte alla comunità internazionale siglando l’Accordo di Parigi sul clima del 2015, e nonostante le ripetute promesse fatte alla cittadinanza, le istituzioni non hanno fatto abbastanza per fermare i cambiamenti climatici.

 

Lo Stato dovrà quindi versare un risarcimento – puramente simbolico – di un euro a favore delle quattro ong che hanno promosso la campagna l’Affaire du Siècle: Notre Affaire à Tous, Fnh (Fondation Nicolas Hulot pour la nature et l’homme) e le sedi francesi di Greenpeace e Oxfam. 

 

Ma appare evidente che questa sentenza ha una portata molto più vasta. Perché nasce da una mobilitazione dal basso che è stata sostenuta da 2,3 milioni di persone. Perché mette nero su bianco che le promesse per il clima sono vincolanti e vanno rispettate. E perché apre la strada a future richieste di risarcimento da parte dei cittadini.

 

Come continuerà la campagna l’Affaire du Siècle

La decisione del giudice non giunge totalmente inaspettata. A metà gennaio si era espresso sul tema anche il rapporteur public, cioè il magistrato che porta avanti le indagini e condivide gli esiti con il tribunale amministrativo, sottolineando “il mancato rispetto della traiettoria di riduzione dei gas ad effetto serra che gli stessi poteri pubblici hanno stabilito”. Una posizione che il tribunale amministrativo ha poi sottoscritto. 

 

Ma non è finita qui. Con una nuova udienza in programma in primavera, i giudici potranno decidere se obbligare l’amministrazione francese a intraprendere nuove azioni per ridurre le emissioni di gas serra. Lo Stato ha comunque la possibilità di presentare ricorso. 

 

Dobbiamo ridurre le emissioni di CO2, in fretta

I cugini d’Oltralpe sono in buona compagnia. Sulla base dei dati dei primi nove mesi del 2020, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) calcola che in Italia le emissioni siano scese del 9,2% rispetto all’anno precedente, in parallelo a una riduzione del Pil pari all’8,2%.

 

Un fenomeno che, però, è figlio della drammatica emergenza sanitaria e non certo di politiche lungimiranti. “Tale riduzione comunque non contribuisce alla soluzione del problema dei cambiamenti climatici, che ha invece necessità di modifiche strutturali, tecnologiche e comportamentali che riducano al minimo le emissioni di gas serra nel medio e lungo periodo”, puntualizza l’Ispra.

 

Secondo l’Emissions Gap Report pubblicato dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), i piani presentati dai vari governi nel quadro dell’Accordo di Parigi sono “seriamente inadeguati”. Anche se venissero seguiti alla lettera, le temperature globali sarebbero comunque destinate ad aumentare di 3 gradi centigradi entro la fine del secolo.

 

Siamo sull’orlo della catastrofe climatica, sostiene l’Unep, ma abbiamo ancora una freccia al nostro arco. I poderosi piani di stimolo all’economia avviati per la pandemia di coronavirus hanno i numeri per innescare un’autentica transizione verde. Considerata le cifre in ballo, possono salvare il clima e l’economia. Ma alla base ci dev’essere una forte volontà politica