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Cos'è la campagna Città 30

Ci sono tanti buoni motivi per ridare spazio a pedoni e bici, obbligando le auto ad andare più piano e riducendo, così, il rischio di incidenti. Tutto questo si chiama città 30 ed è un modello che anche i cittadini italiani iniziano a chiedere a gran voce.

citta30

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©thomasstockhausen/123rf.com

Al via la campagna Città 30

Domenica 26 febbraio, in gran parte d’Italia, pioveva e le temperature erano crollate rispetto anche solo al giorno prima. Ma questo non ha fermato le centinaia di persone che, in venti città italiane, sono uscite di casa e si sono piazzate in mezzo alla carreggiata, con striscioni e cartelli. 

 

Era il flash mob inaugurale della campagna Città 30, lanciata da una cordata di organizzazioni di cui fanno parte Fiab, Legambiente, Asvis, Kyoto Club, Vivinstrada, Salvaiciclisti, Fondazione Michele Scarponi, Amodo e Clean Cities Campaign.

 

Ma cosa chiedono, nel concreto? Prima di tutto, “l’inversione generalizzata della regola e dell’eccezione nella disciplina dei limiti massimi di velocità all’interno dei centri abitati: oggi la norma sono i 50 km/h salvo alcune zone regolate a 30 km/h, con questo progetto la norma diventano i 30 km/h salvo alcuni assi di scorrimento veicolare a 50 km/h. Questo, coi dovuti accorgimenti, può avvenire di fatto anche a codice della strada vigente”, si legge nel documento programmatico della campagna. 

 

Il limite di velocità più basso (la cosiddetta zona 30) è una condizione necessaria, ma non sufficiente. Una Città 30 diventa tale se l’assetto fisico delle strade è ridisegnato per scoraggiare la velocità e il traffico dei veicoli a motore e, viceversa, dare maggiore spazio a pedoni, mezzi pubblici, verde urbano, spazi di gioco e incontro. È una città in cui i controlli garantiscono il rispetto delle regole e dissuadono dai comportamenti pericolosi. È una città, infine, che viene studiata coinvolgendo attivamente i residenti.

 

6 buoni motivi per i 30 all’ora in città

Ma cosa cambia, nel concreto, introducendo la città 30? Il vademecum della campagna menziona sei buoni motivi:

 

  • Sicurezza stradale. Oggi il 73% degli incidenti avviene su strade urbane e il 55% dei morti è dovuto a eccesso di velocità, mancata precedenza ai pedoni sugli attraversamenti e guida distratta. Un impatto a 30 km equivale, per un pedone vulnerabile, a una caduta dal primo piano; a 50 km/h equivale invece a una caduta dal terzo piano e comporta una probabilità di morte di oltre il 50%.
  • Migliorare la mobilità sostenibile. Il 77,6% di tutti gli spostamenti avviene in ambito urbano; di questi, il 36% è inferiore ai 2 km. Se le città sono più sicure, l’utente è incentivato a percorrere queste brevi distanze a piedi o in bici.
  • Traffico più fluido. Già oggi, la velocità media di spostamento in città non supera quasi mai i 30 km all’ora: abbassare il limite contribuirebbe a rendere più fluida la circolazione, evitando gli stressanti e continui stop and go.
  • Ridurre i costi economici, sociali e ambientali legati all’uso eccessivo dell’auto privata e agli incidenti che ne conseguono.
  • Migliorare il livello di qualità della vita dei cittadini. Una città non più dominata dalle macchine è una città che ridà spazio alle sue legittime protagoniste, cioè le persone.
  • Promuovere l’uso di biciclette, monopattini elettrici e motorini in sharing, rendendoli più appetibili e concorrenziali. 

 

Città 30 in Europa

Ormai iniziano a esserci dei dati a riprova di queste tesi, perché le città 30 in Europa già esistono da tempo. La prima, fin dal 1979, è stata la francese Chambery: all’epoca gli incidenti erano 435 all’anno, nel 2006 la media era scesa a 32. Anche a Grenoble la norma sono i 30 km/h; i 50 sono l’eccezione. Nella capitale Parigi le zone 30 sono state allargate progressivamente e dal 2021 coprono quasi l’intera città, ad eccezione di grandi arterie come gli Champs-Élysées.

 

Tra le capitali europee spicca anche Berlino. Inizialmente le zone 30 furono introdotte nei dintorni di scuole e asili e nelle zone in cui gli incidenti erano più frequenti, oggi coprono circa l’80% delle strade secondarie e alcune arterie principali. Sempre in Germania, ad Amburgo si può circolare a 50 km/h soltanto in 500 chilometri di strade su 500.

 

Tra gli altri esempi di città 30 in Europa ci sono l’inglese Londra, l’austriaca Graz, la belga Bruxelles. Quest’ultima esperienza è piuttosto recente, perché partita il 1° gennaio 2021: nell’arco di sei mesi, il numero di incidenti era già calato del 20% e quello di morti e feriti gravi del 25% rispetto alla media del periodo 2016-2020.

 

Città 30 in Italia, a che punto siamo

Era l’inizio di gennaio del 2023 quando il consiglio comunale di Milano ha approvato un ordine del giorno, presentato dal consigliere Marco Mazzei, che estende il concetto di zona 30 a tutto il Comune. Manca ancora l’approvazione della Giunta (che appare però quasi scontata, trattandosi di una proposta che arriva dalla maggioranza), ma è bastato questo per accendere il dibattito sulla città 30 anche in Italia. Con tutte le inevitabili polemiche che ne conseguono.

 

D’altra parte, i tempi previsti sono piuttosto stretti – la nuova misura entrerà infatti in vigore dal 1° gennaio 2024 – e una metropoli come Milano, capitale economica del Paese, riveste anche una certa importanza simbolica.

 

Poche settimane prima, la giunta bolognese aveva approvato le linee di indirizzo per la realizzazione del piano Bologna Città 30, per il miglioramento della sicurezza stradale. È l’inizio di un percorso che si concluderà a giugno 2023 e prevede anche la partecipazione dei cittadini attraverso incontri e laboratori.