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Meditazione analitica o concentrativa: le differenze

La meditazione analitica e la meditazione concentrativa: due sentieri meditativi del buddismo tibetano tutti da approfondire

Meditazione analitica o concentrativa: le differenze

Le tipologie di meditazione sono molte, così come sono molti i maestri o i guru che ne propongono ogni anno di nuove.

Orientarsi in questa gigantesca offerta meditativa è difficile specie per chi vi si avvicina per la prima volta ed è poco esperto in questo campo. Se affrontare uno per uno i singoli stili di meditazione sarebbe un lavoro lunghissimo, possiamo partire dal chiarimento di due concetti di base inerenti questa pratica.

Sono presi in prestito dalla tradizione del buddismo tibetano, ma nell’uno o nell’altro possono confluire tutti i tipi di meditazione: si sta parlando della distinzione tra meditazione analitica e meditazione concentrativa.

Il punto di partenza può essere il medesimo per entrambe, ma come vedremo, gli esisti sono sorprendentemente differenti.

 

La meditazione analitica

Questo tipo di meditazione prevede la presenza di un oggetto - reale, filosofico o intellettuale - al quale la mente si dirige per indagarlo in uno o più aspetti speculativi. Può essere una riflessione, un concetto esistenziale, una parola significativa, un sentimento importante che il meditante andrà ad sezionare fino alla più profonda penetrazione.

Nella tradizione del buddismo zen, ad esempio, si utilizza come strumento meditativo il koan, ovvero un racconto breve o un’affermazione all’apparenza oscuri o paradossali che il praticante deve decifrare. Esso viene affidato da un maestro all’allievo che passerà lunghe ore in meditazione assorbito dall’analisi del suo personale koan.

Con queste parole il Dalai Lama spiega la meditazione analitica: “Nella meditazione analitica si usa la capacità di ragionamento, producendo un cambiamento interiore grazie all’indagine e all’analisi sistemica. Risulta così possibile servirsi correttamente dell’intelligenza umana, ovvero la capacità razionale e analitica al fine di elevare il livello di comprensione e il senso di soddisfazione per la propria esistenza”.

Riassumendo, dunque, ci troviamo di fronte a una tipologia di meditazione che si affida alle capacità analitiche del praticante il quale penetra il core meditativo (qualunque esso sia) da tutti i punti di vista al fine di svelarne ogni intrinseco aspetto.

La mente rimane consapevole, vigile, cosciente e legata all’oggetto della sua speculazione nel quale, almeno teoricamente, si immerge sempre di più.

 

Ecco qualche esercizio di meditazione zen

La meditazione concentrativa o stabilizzante

In questo tipo di meditazione la mente concettuale rimane silente, scevra di qualsivoglia intellettualizzazione. Il suo fine è stabilizzarsi nella contemplazione senza però chiamare in causa o attivare nessun processo analitico.

Analogamente al precedente tipo di meditazione, anche questo prevede la presenza di un oggetto – che è generalmente un’immagine, un suono, il respiro, etc…- ma esso non viene sottoposto a nessuna speculazione filosofica.

Diviene, al contrario, il catalizzatore dell’attenzione del praticante che arriva ad annullarsi in esso. Il flusso mentale è indirizzato su un unico punto escludendo, auspicabilmente, tutta la realtà circostante senza lasciare appigli a distrazioni o pensieri molesti; questo centro dell’attenzione viene osservato e interiorizzato tout court così com’è e per quello che è.

Lo scopo di questo tipo di meditazione è la stabilizzazione, l’acquietamento e il distacco di colui che la pratica.

 

Molte vie e una sola meta 

Questi due tipi di meditazione, come è evidente, sono diversi, ma non antitetici. Offrono possibilità diverse, hanno scopi e tecniche diverse, attivano parti del cervello diverse, ma possono far parte entrambe della pratica personale.

Esse non sono altro che tecniche: la cosa veramente importante è dove queste tecniche ci conducono nel viaggio di esplorazione di noi stessi.

 

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