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Festival dell'Oriente 2014: riflessioni sull'edizione romana

Dopo il grande successo a Milano, il Festival dell'Oriente approda nella Capitale. Chiusi e battenti e spenti i riflettori tiriamo qualche somma in merito a questa importante manifestazione

Festival dell'Oriente 2014: riflessioni sull'edizione romana

Si è appena concluso nella Capitale il Festival dell’Oriente tenutosi presso la nuova Fiera di Roma. L’evento, si legge sul sito ufficiale, ha lo scopo di far conoscere e diffondere la cultura orientale nelle sue multiformi espressioni.

Ben tre palchi hanno permesso di assistere al susseguirsi di spettacoli e due enormi padiglioni hanno ospitato ristoranti, stands, bancarelle e dimostrazioni. Due sale sono state dedicate a numerosi workshop e seminari sempre riguardanti queste tematiche: dalla medicina cinese allo yoga del suono, dall’ayurveda alla filosofia.

 

Festival dell'Oriente: questioni logistiche

La prima cosa che colpisce di questa grande manifestazione sono le sue aspirazioni, ovvero il voler abbracciare in un unico ampissimo sguardo un “oriente” inteso come esotico, altro da sé più che come categoria geografica.

Questo presupposto ha permesso (ma non saprei dire se legittimato) la presenza di stands sugli indiani d’America nonché, proprio per la biblica premessa all’inclusione, di poter farcire tale appuntamento di una elevatissima quantità di “materiale” in termini di seminari, spettacoli e banchi rappresentanti numerosi paesi.

A mio avviso la gestione strategica di un evento così imponente è stata in parte lacunosa: i padiglioni, complice anche l’affluenza del pubblico romano, somigliavano a caotici bazar dove gli stand erano stipati l’uno accanto all’altro senza apparente ordine logico.

A un metro dal caos degno dei più rumorosi mercati arabi c’erano alcuni visitatori che “speravano” (?) di rilassarsi con questo o quel tipo di massaggio orientale; contemporaneamente, nei medesimi metri, si alternavano spettacoli e danze a poca distanza dagli affollatissimi ristoranti etnici.

Questo insieme di elementi ha reso la visita molto frastornante, lo shopping difficoltoso, l’assistere agli spettacoli sfiancante (qualora si fosse riusciti a vederli) e la degustazione della cucina scomoda e frettolosa.

 

Festival dell'oriente: consumismo vs cultura

All’inadeguatezza organizzativa, che potrei comprendere date le proporzioni e l’affluenza di pubblico, devo aggiungere una delusione più sostanziale nata, forse, dalle mie aspettative in merito a questa manifestazione.

La percezione che ho avuto è stata quella di una passeggiata in un centro commerciale dell’esotico neanche di elevatissima qualità. Se qualche bancarella presentava oggetti di pregio, molte non erano altro che raccolte di cianfrusaglie di dubbio gusto.

Di CULTURA orientale onestamente ne ho vista ben poca fatti salvi alcuni validi artisti saliti sul palco e i seminari e alcuni workshop  interessanti; altri, a mio parere, fuori luogo (cosa c’entrano con il festival dell’Oriente le scie chimiche e la geoingegneria oppure “la lettura dell’anima” o gli angeli e arcangeli?).

Per questo motivo, se noi consideriamo tale evento come un grande mercato etnico, come un’occasione per scuole e centri di farsi pubblicità, come possibilità di assistere a spettacoli insoliti e ammalianti, allora può dirsi riuscito.

Ma se qualcuno si è avventurato al Festival dell’Oriente con lo scopo di approfondire la sua conoscenza dell’altra metà del mondo, con la speranza di trovare dei testi insoliti da leggere o di assaporare quelle atmosfere magiche che hanno sedotto gli europei di tutte le epoche, a mio avviso, è rimasto deluso. Ne è uscita infatti un’immagine dell’Oriente (termine che vorrebbe inglobare la porzione di mondo tra il Marocco e il Giappone…) frutto dell’iconografia occidentale, aderente ad un immaginario ben preciso - reale o meno poco importa - molto appariscente, ma poco approfondito.

 

Conoscere l'"altro"

Noi oggi siamo abituati a vivere in un mondo globalizzato dove le distanze geografiche vengono estremamente ridotte dalla tecnologia e anche le culture possono muoversi agilmente per diventare patrimonio condiviso.

Questo processo però è tutt’altro che lineare e la strada che congiunge due popoli è, generalmente, tortuosa. E’ molto naturale affibbiare allo “straniero” degli stereotipi costruiti da noi, frutto della NOSTRA educazione e risultato della NOSTRA tradizione.

Essi a volte sono pittoreschi o ingenui, talvolta molto pericolosi, fatto è che rappresentano entrambi l’idea che abbiamo dell’ “altro”. L’attuale non è un momento storico particolarmente fecondo da questo punto di vista perché è contrassegnato da meccanismi sociali e politici che tendono a chiudere, anziché ad aprire le porte (e non solo, banalmente, i confini, ma una generale disponibilità all’accoglienza, anche culturale).

Il Festival dell’Oriente è sicuramente stata un’ottima occasione per ricordare al grande pubblico l’esistenza di una parte di mondo ricchissima di cultura, fascino e magia. Forse ci si deve ancora sgrullare di dosso qualche clichè un po’ stantio, ma l’impresa non è facile.

Confidiamo nella prossima edizione!