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Turismo spaziale e problema ambientale

I miliardari Richard Branson e Jeff Bezos inaugurano l’era del turismo spaziale. Ma qual è il suo possibile impatto in termini di emissioni di gas serra?

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©tomfawls / 123rf.com

L’era del turismo spaziale è iniziata

“Benvenuti all'alba di una nuova era spaziale”. Così l’imprenditore statunitense Richard Branson, fondatore di Virgin Group, si è espresso al ritorno dal suo primo volo spaziale. Decollato dal Nuovo Messico alle 16:40 ora italiana dell’11 luglio, il suo spazioplano – per la prima volta con un equipaggio completo a bordo – ha tracciato un arco toccando gli 86 chilometri di altitudine, mentre gli astronauti fluttuavano guardando il Pianeta dall’alto. Dopo circa un’ora l’atterraggio, senza problemi di sorta.

 

In una sorta di gara a distanza, il patron di Amazon Jeff Bezos ha inaugurato i voli spaziali turistici della compagnia Blue Origin, da lui fondata. La data scelta non è casuale: 20 luglio, 52mo anniversario dell’allunaggio. A bordo del volo, partito da una base in Texas e durato circa 11 minuti, anche il fratello Mark, l’82enne Wally Funk e il 18enne Oliver Daemen; rispettivamente la persona più anziana e quella più giovane ad andare nello spazio. A differenza dello spazioplano di Branson, la razzo-navetta New Shepard ha valicato la cosiddetta linea di Kármán, cioè i 100 km di altezza che per convenzione segnano il confine tra l’atmosfera terrestre e lo Spazio.

 

Cosa significa in termini di emissioni

Nell’epoca del flight shaming, in cui molti si fanno vanto della scelta di rinunciare all’aereo per motivi ambientali, è d’obbligo chiedersi quale sia l’impatto del turismo spaziale in termini di emissioni. Per ora le uniche risposte possibili sono inevitabilmente parziali, ma ci offrono già qualche spunto di riflessione.

 

Innanzitutto, i voli spaziali non sono tutti uguali. La Vss Unit di Richard Branson è alimentata da un un propellente ibrido a base di carburante solido e un ossidante liquido, l’ossido di azoto, ed emette CO2, fumo, vapore acqueo e ossidi di azoto. Alcuni studi sostengono che questi composti inquinanti vengano rilasciati in gran parte fra la stratosfera e la mesosfera e siano destinati a restarci dai due ai cinque anni.

 

Jeff Bezos ci tiene molto a sottolineare che il motore della sua navicella turistica è ben più green perché brucia ossigeno e idrogeno, rilasciando in atmosfera soltanto vapore acqueo. La produzione dell’idrogeno, però, richiede l’utilizzo di idrocarburi; esiste una tecnica alternativa, l’elettrolisi, ma è ancora sperimentale e costosa.

 

Un impatto sul clima da valutare in prospettiva

Un utile termine di paragone è proprio l’aereo, ritenuto all’unanimità il mezzo di trasporto più impattante poiché genera il 2,4% delle emissioni globali. Eloise Marais, docente di geografia fisica alla University College London, spiega al Guardian che un volo intercontinentale emette da 1 a 3 tonnellate di CO2 per passeggero. Un volo spaziale ne emette 200-300 tonnellate, ma i passeggeri sono 4 o poco più. 

 

In termini di emissioni pro capite, quindi, il confronto è impietoso. Ma è anche vero che nel 2020 sono state effettuate (o per lo meno tentate) 114 missioni spaziali, contro i 100mila voli che solcano i cieli ogni singolo giorno. 

 

Considerato che i primi biglietti venduti dal tour operator Virgin Galactic di Branson costano tra i 200mila e i 250mila dollari, e che la famiglia di Oliver Daemen ha sborsato 28 milioni di dollari per aggiudicarsi all’asta il suo biglietto, non si può certo dire che il turismo spaziale sia un fenomeno di massa. Né tanto meno che sia destinato a diventarlo entro breve tempo.

 

Proprio questo periodo di transizione – sottolinea Marais – è preziosissimo. Attualmente non esiste alcuna regolamentazione sulle emissioni dei viaggi spaziali: se governi e autorità internazionali si attiveranno subito, non rischieremo tutti quanti di doverne pagare il prezzo quando ormai i danni saranno fatti.