Intervista

Il Teatro di Paglia, uno spettacolo naturale di grano e vissuto

Il teatro di paglia, un teatro spontaneo, libero e che libera, semplice, dove l’effetto sinestetico gioca un ruolo fondamentale: oro, profumo di paglia, calore, suoni delle stelle e dei grilli, in un dietro le quinte fatto di magia.

Il Teatro di Paglia, uno spettacolo naturale di grano e vissuto

Cos'è il Teatro di Paglia? Come nasce? Dove si trova?

Nicholas Bawtree, ideatore e portavoce della Rete di Teatri di Paglia, ci racconta in questa intervista di "un teatro fatto di grano, un teatro vissuto come pane quotidiano". L’idea è quella di una messa in scena spontanea, in cui gli attori si nascondono tra il pubblico: quest'ultimo può infatti contribuire all'opera con tutto ciò che desidera: musica, racconti, poesie, barzellette, balli, giochi di prestigio, persino lezioni di statistica!

 

Questo per dare la possibilità a chiunque di condividere un pezzetto della propria esperienza, non attraverso uno schermo, ma dal vero, sotto le stelle, in un arena morbida e accogliente, quasi un nido, dove non esistono microfoni, ma solo la modulazione della voce e i suoni della natura. Un teatro impermanente, itinerante, contingente, come lo è la vita del resto. Al momento ci sono ben sette progetti già realizzati e cinque che stanno prendendo il via in tutt'Italia. Una storia che fa davvero venire voglia di leggere la favola di Praseidimio…

 

Un teatro costruito interamente in balle di paglia: ci puoi raccontare com’è nata questa idea, grazie a quale folgorazione?

Nel 2003 lavoravo con mia madre Jenny, che gestisce dal ’69 in provincia di Arezzo uno dei primi centri di vacanze a cavallo d’Italia. Un giorno abbiamo fatto un grosso rifornimento di fieno, e al primo viaggio col camion abbiamo iniziato ad accatastare le balle “a scala” in previsione dei viaggi successivi. Proprio in quei  giorni avevo visto un bellissimo teatro costruito con pietre locali in mezzo a un bosco lì vicino (La Selva - Giardino del Belvedere).

Così è avvenuta la folgorazione: perché non creare un teatro con delle balle di paglia, utilizzando l’archetipa forma semicircolare?

 

Perché proprio la scelta della paglia? C’è una ragione simbolica, metaforica?

In realtà le metafore sono venute dopo. All’inizio c’è stata semplicemente la voglia e la curiosità di costruire qualcosa con un materiale diverso dal solito.

Ho scelto la paglia piuttosto del fieno perché è molto più leggera, più economica ed ha un colore più caldo: giallo-oro piuttosto che verde. Poi, dopo il primo esperimento, ho riflettuto con i miei amici sul forte significato simbolico di un teatro fatto con gli steli del grano, la stessa pianta da cui si ricava il pane.

 

Un teatro costituito dalla parte della pianta che collega la terra con i semi, non solo interamente naturale, ma anche necessariamente impermanente. Un teatro, a pensarci bene, in cui simbolo e realtà coincidono da molti punti di vista.

 

Parlaci un po’ anche del tipo di spettacoli che vengono rappresentati, a partire dalla tua esperienza.

Come ho già detto, il teatro di paglia è nato da un esperimento essenzialmente strutturale. L’esperimento ha funzionato, ma ero talmente preso dalla costruzione che non avevo pensato allo spettacolo! Così quel primo anno nel giro di ventiquattr’ore ho chiamato qualche amico, e tra una canzone e una scenetta abbiamo sbarcato il lunario.

La cosa interessante è che negli anni a seguire poi abbiamo proseguito con questo principio di partecipazione spontanea, all’inizio con una scaletta, poi con una progressiva destrutturazione, fino ad arrivare a una vera e propria autogestione da parte del pubblico: una serie di contributi liberi e spontanei (musica, racconti, poesie, barzellette, balli, giochi di prestigio, scene brevi, giocoleria – l’anno scorso persino una lezione di statistica!) circoscritti da un’introduzione di benvenuto dove spiego le “regole del gioco”, e da un saluto finale.

 

Fare un teatro di paglia, perlomeno per l’esperienza di Rendola, significa anche questo: partire dal basso, dare voce a chi non ha voce, mettersi in discussione, creare un’atmosfera di ascolto tale da dare la possibilità a una persona “qualunque” di alzarsi e lì per lì decidere di raccontare un aneddoto della sua vita, di cantare una canzone o semplicemente condividere un pensiero. E’ una scelta difficile, soprattutto per chi organizza, perché vuol dire lanciarsi nell’ignoto. Ogni anno la sera dello spettacolo inizia ad arrivare tanta gente e io ho il cuore in gola, perché mi dico: “E se quest’anno nessuno ha portato niente?”.

Ma poi, dopo un po’ di timidezza iniziale, i contributi sono tanti e variegati. E mi rendo conto che le mie paure hanno molto a che fare col mio ego: “Cosa penseranno di me, che organizzo tutto questo, se la cosa viene male?”.

L’ego è sempre lì in agguato, a farti sentire inadeguato, a metterti i bastoni tra le ruote; il palco è uno dei suoi luoghi preferiti, e quanto è presente se ne sente la vibrazione, l’odore. A volte il modo migliore per affrontarlo è proprio quello di cadere, fare una capriola e risollevarsi ridendo. Bisogna cercare di af-fidarsi. Io ho bisogno di un anno intero per raccogliere il coraggio necessario, e non sempre mi basta.

Poi ti accorgi che la difficoltà è tutta dentro di te, che la leggerezza della paglia è lì pronta ad accoglierti con calore e a rendere morbida ogni tua caduta.

 

Dopo l’esperienza toscana, sono nati altri teatri di paglia in giro per l’Italia. Com’è nata l’attuale Rete dei Teatri di Paglia?

Dopo un articolo uscito sul mensile cartaceo e sul portale di Terra Nuova e sul suo sito, ho iniziato a ricevere telefonate da persone che volevano costruire il proprio teatro di paglia. Dopo il terzo progetto andato in porto, ho capito che era tempo di creare una rete, e così lo scorso autunno è stata fondata la Rete dei Teatri di Paglia e creato il sito del Teatro di Paglia. Al momento ci sono ben sette progetti già realizzati (uno in Piemonte, due in Emilia Romagna, uno in Toscana, uno in Molise e due in Sicilia) e cinque nuovi progetti che porteranno il teatro anche in Lazio, Marche e Liguria.

 

Non tutte queste esperienze portano avanti l’esperimento originario dello spettacolo spontaneo (a me piace chiamarla “coincidenza scenica”), ma l’importante è tentare di cogliere l’essenza del teatro di paglia, che inizia già nell’idea di costruirlo, prosegue con la ricerca del luogo e dei materiali, culmina nella rappresentazione e chiude il cerchio con lo smontaggio, quindi con il lasciare il luogo che ci ospita come l’abbiamo trovato.

 

Insomma, si direbbe quasi un percorso iniziatico, una sorta di terapia di paglia. C’è qualche parallelo con la clown terapia, praticata anche in ospedale?

Beh, io ho vissuto cinque anni con un amico che fa clownterapia e so che, specialmente quando si ha a che fare con i bambini, è necessaria una grande professionalità – lì sì. I punti in comune, se ci si vogliono vedere, sono forse l’impermanenza – mi viene in mente la delicata “toccata e fuga” che fanno i clown nel passare nei reparti ospedalieri – e il grande lavoro, soprattutto interiore, per riuscire ad essere leggeri senza essere superficiali.

 

Ci descrivi un po’ le difficoltà pratiche che può incontrare chi vuole costruire un teatro di paglia? Per dirne una, è sempre facile reperire le balle? E poi, l’illuminazione? Il pericolo d’incendio?

L’ideale è trovare un contesto, come quello in cui è nato il primo teatro di paglia, in cui le balle sono già presenti per altri scopi. Così il teatro si svincola non solo dal materiale da costruzione, ma anche dal luogo e dal tipo di relazioni che di solito si creano. Costruire il teatro, poi, nella sua forma più semplice di due gradinate, è una cosa che in gruppo richiede pochi minuti - quest’anno a Rendola ci sono voluti 8 minuti netti! Se non si è pratici nel maneggiare le balle, è bene conoscere alcuni trucchi, ma la procedura è semplice (sul sito della Rete dei Teatri di Paglia si può ordinare il manuale di costruzione). Per quanto riguarda le luci, il minimo indispensabile: a Rendola ho legato due faretti da esterno a due olivi ai lati del teatro (in alternativa si possono usare due pali di legno).

 

Niente microfoni. Infine, il pericolo d’incendio è più psicologico che reale: le balle, essendo pressate, difficilmente prendono fuoco. Per capire, dar fuoco a una balla di paglia è un po’ come dar fuoco a un elenco telefonico. Più pericolosa è la paglia sciolta, ma anche nel remoto evento di un incendio, le uscite d’emergenza sono a trecentosessanta gradi!

 

Un’ultima domanda: cos’è che trasmette alla gente (spettatori, agricoltori, attori) un teatro di questo tipo? A me sembra così spontaneo, un canovaccio di storie che si intrecciano da raccontarsi a vicenda e a piedi nudi... la sensazione è quella di una “raccolta primordiale”! E’ così?

Vedo che hai colto pienamente lo spirito! Sì, è proprio così: credo che ci sia una gran voglia, in giovani e meno giovani, di tornare non tanto al passato, ma proprio ai primordi, come dici tu, allo spirito originario delle cose. E il teatro di paglia è uno dei possibili modi per fare questo. Viviamo in un’epoca in cui ci sono tante cose che non funzionano e che spesso continuano a non funzionare perché partono da delle basi che, più o meno consapevolmente, nessuno mette in discussione.

 

Costruire un teatro di paglia è un gesto sciamanico, alla portata di tutti, per cercare una base diversa: più naturale, più morbida, più allegra. Conosci la favola di Praseidimio, che filava la paglia e la trasformava in oro? Beh, è proprio questa la cosa di cui avrebbe bisogno la società di oggi: una trasformazione alchemica. E il punto di partenza siamo sempre noi stessi, e la relazione con l’altro.

 

 

Immagine | Teatri di Paglia