Anoressia, cos'è e come si manifesta

L’anoressia, così come la bulimia, è un disturbo del comportamento alimentare (DCA) molto complesso, determinato da condizioni di disagio psicologico ed emotivo. Va trattato con un approccio professionale e multidisciplinare che ne affronti sia i sintomi sia le cause profonde.

anoressia

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L’anoressia è un DCA, cioè un disturbo del comportamento alimentare che insorge soprattutto (ma non solo) durante l’adolescenza e la prima età adulta. Considerate la sua larghissima diffusione e le sue conseguenze fisiche e psicologiche, che possono essere anche molto gravi, merita di essere conosciuta e affrontata con la massima serietà.

 

 

Anoressia, cos'è

Si parla di anoressia quando una persona rifiuta di alimentarsi a sufficienza per un'intensa paura di ingrassare. Una paura del tutto ingiustificata, perché la coglie anche se è normopeso o addirittura sottopeso. L’aspetto fisico è un chiodo fisso: la persona anoressica gli dedica un’attenzione ossessiva, vede sé stessa in modo alterato e rifiuta di ammettere di essere dimagrita troppo.

 

È difficile dire come si innesca l'anoressia, perché il decorso varia moltissimo di caso in caso. Di norma, si comincia eliminando dalla dieta tutti i cibi ritenuti grassi o malsani, controllando compulsivamente le calorie e il proprio stesso peso. Dopodiché si prende l’abitudine di consumare ogni pasto con estrema lentezza, quasi con fatica, rimuginando a lungo su ogni singolo boccone. Si arriva spesso al punto di saltare del tutto i pasti, oppure di adottare comportamenti compensativi per “annullare” l’effetto delle calorie assunte.

 

È importante sottolineare come l’anoressia non sia una “fase”, magari legata all’adolescenza o all’imitazione di modelli di perfezione estetica. L’anoressia è una vera e propria patologia che nasce da fattori psichici e ha ripercussioni pesanti sull’organismo, fino a rivelarsi talvolta letale

 

Il nome corretto per questa malattia, in realtà, è anoressia nervosa. Spesso lo si abbrevia in anoressia ma, letteralmente, questo termine indica soltanto una forte riduzione dell’appetito. 

 

Potenziali cause di anoressia

C’è chi dà per scontato che le cause dell’anoressia siano da ricercare nella madre o nel padre del soggetto, oppure nel bombardamento di immagini mediatiche in cui la magrezza è eccessiva. In realtà, trattandosi di una malattia così complessa e multifattoriale, per indagare le cause dell’anoressia è necessario rivolgersi a specialisti.

L’Istituto Superiore di Sanità cita alcuni possibili elementi scatenanti:

  • Familiarità con persone che hanno sofferto della stessa patologia;
  • bisogno di controllo del proprio sé che si esercita controllando il corpo;
  • eccesso di pressioni o di aspettative, tipicamente da parte dei genitori;
  • al contrario, il timore di essere trascurati e messi da parte;
  • la convinzione per cui l’aspetto fisico sia la chiave con cui ottenere il riconoscimento sociale desiderato;
  • il confronto costante con canoni estetici irraggiungibili in cui la magrezza è spacciata per un valore;
  • esperienze traumatiche subite in passato, tra cui violenze e comportamenti abusanti. 

 

L’anoressia nervosa

Questi sono i criteri per definire l’anoressia nervosa, descritti nel DSM 5, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali

  • Restrizione dell’assunzione calorica in relazione alle necessità, che porta a un peso corporeo significativamente basso nel contesto di età, sesso, traiettoria di sviluppo e salute fisica.
  • Intensa paura di aumentare di peso o di diventare grassi, oppure un comportamento persistente che interferisce con l’aumento di peso, anche se significativamente basso.
  • Alterazione del modo in cui viene vissuto dall’individuo il peso o la forma del proprio corpo, eccessiva influenza del peso o della forma del corpo sui livelli di autostima, oppure persistente mancanza di riconoscimento della gravità dell’attuale condizione di sottopeso.

 

Nella precedente edizione del manuale si parlava di un “peso inferiore all’85%” rispetto a quanto previsto, ma questo riferimento numerico era difficile da valutare in bambini e adolescenti. È stato inoltre eliminato il criterio dell’amenorrea (mancanza di mestruazioni), perché non applicabile a maschi, bambini e donne in menopausa.

 

L’incidenza dell'anoressia in Italia vede un netto e preoccupante aumento. L’Istituto Superiore di Sanità parla di una prevalenza dello 0,2-0,8% per l’anoressia e dell’1-5% per la bulimia. 

 

Da un campione di 770 persone con una diagnosi di disordini alimentari e un’età media di 25 anni, è stato rilevato che il 70,3% soffriva di bulimia nervosa, il 23,4% di anoressia nervosa, il 6,3% di “disturbi alimentari non altrimenti specificati” o di altre condizioni, per lo più riconducibili all’obesità. Sempre in questo campione, la data di esordio vede un picco a 15 e 18 anni.

 

Segni e sintomi

Per effettuare la diagnosi non esistono specifici esami ma questionari che la persona compila.

Tra questi:

  • Eating Attitudes Test, (EAT-26) un questionario composto da 26 domande, per controllare i disturbi legati alla dieta
  • Eating Disorder Symptom Severity Scale, (EDS3) per studiare i sintomi che accompagnano l'anoressia: la preoccupazione dell'immagine del proprio corpo;
  • Eating Disorders Symptom Impact Scale (EDSIS), di recente ideazione, esamina la nutrizione, il comportamento della persona e l'isolamento sociale.

 

La diagnosi può evidenziare l’appartenenza a uno dei due sottotipi di anoressia nervosa:

  • Anoressia con abbuffate, cioè con un’alimentazione compulsiva immediatamente seguita da condotte compensatorie o eliminatorie (vomito autoindotto, attività fisica estenuante, uso esagerato – e fuori da controllo medico – di lassativi, diuretici, clisteri).
  • Anoressia restrittiva, quando la persona perde peso attraverso una dieta ferrea, il digiuno e/o l'eccessiva attività fisica.

Si parla anche di anoressia atipica quando la persona presenta delle gravi difficoltà emotive e le ricollega al cibo, cercando di controllarlo e limitando sempre più l’apporto calorico. Nonostante ciò, si mantiene normopeso: ciò significa che diventa molto più difficile diagnosticare il suo disturbo e prenderlo in carico.

 

Ma come inizia l’anoressia? Quali sono i primi sintomi? L’abbiamo chiesto alla professoressa Anna Ogliari, associata di Psicologia clinica presso l’Università Vita-Salute San Raffaele e responsabile del servizio di Psicologia clinica dell’età evolutiva dell’Ospedale San Raffaele Turro.

 

Di sicuro la perdita di peso è uno degli indici, ma non l’unico, anzi nelle fasi iniziali di malattia e non solo, il peso può essere nella norma, sono i pensieri legati al corpo e al cibo a cambiare”, spiega. “Uno dei primi campanelli d’allarme a cui genitori e amici devono fare attenzione è una modificazione del comportamento alimentare: la persona può ridurre la quantità e qualità del cibo assunto; evitare di mangiare a tavola con gli altri, adducendo talvolta scuse come ad esempio “ho già mangiato” oppure “ho mal di testa”; oppure può prendere abitudini diverse come sminuzzare il cibo, mangiare più lentamente, masticare più a lungo”. 

 

Altri comportamenti a rischio, continua la professoressa, “possono avere a che fare con l’aspetto corporeo come ad esempio: passare più tempo davanti allo specchio, cercare di percepire differenze nel proprio corpo, controllare il dimagrimento. Oppure iniziare a fare una attività fisica diversa, non più per divertimento o benessere ma solo per controllare il peso corporeo o smaltire il cibo assunto. Altri campanelli d’allarme possono riguardare alcuni aspetti caratteriali della persona: è più riservata, riduce i contatti sociali, passa più tempo da sola. I più piccoli sono più irritabili e mettono in atto dei rituali, come atteggiamenti di controllo rispetto al cibo, all’alimentazione, al corpo”.

 

Parlare di fasi dell’anoressia ha un’importanza relativa. Questa malattia ha un esordio molto lento: le persone che si ammalano, maschi e femmine di una fascia d’età sempre più precoce, non cambiano repentinamente ma spesso manifestano pensieri di malattia precedentemente all’esordio del comportamento alimentare vero e proprio. Soprattutto quando l’esordio è precoce, è frequente che si passi da un sottotipo di disturbo alimentare a un altro”, spiega la professoressa Ogliari.
 

 

Complicanze

L’assunzione insufficiente di cibo, se protratta nel tempo, può portare numerose complicanze anche molto gravi:

  • Diminuzione della densità minerale ossea;
  • amenorrea;
  • calo del desiderio sessuale;
  • ipoglicemia; 
  • comparsa di carie dentarie;
  • varie forme di pancreatite cronica;
  • alterazioni a carico dell’apparato cardiaco, come la bradicardia in caso di rilevante e repentina diminuzione di peso;
  • perdita di capelli;
  • ulcere intestinali;
  • danni permanenti ai tessuti dell’apparato digerente;
  • disidratazione;
  • complicanze al fegato e ai reni;
  • blocco della crescita;
  • ipotermia;
  • emorragie interne;
  • difficoltà di concentrazione e di memoria.

 

A livello dermatologico si possono manifestare:

  • Xerosi cutanea;
  • gengivite;
  • fragilità di capelli e unghie;
  • acne;
  • cheilite

 

In termini di salute mentale, spesso l’anoressia nervosa è collegata a:

  • Sbalzi d’umore;
  • vergogna;
  • difficoltà nelle relazioni sociali e familiari;
  • depressione;
  • ansia;
  • disturbo ossessivo compulsivo;
  • tendenza al perfezionismo;
  • disturbi della personalità.

 

Se non trattati in tempi e con metodi adeguati, i disordini alimentari possono diventare permanenti e portare alla morte per arresto cardiaco o per suicidio. 

 

Anoressia e bulimia

Anoressia e bulimia spesso vengono confuse, anche perché capita spesso che una persona passi da una condizione all’altra.

 

Una persona bulimica ingerisce quantità eccessive di cibo, solitamente di nascosto, raggiungendo anche le migliaia di calorie nell’arco di poche ore. Durante queste abbuffate, ha la sensazione di non potersi controllare: tant’è che, subito dopo, sprofonda nella vergogna e nel senso di colpa e si induce il vomito, oppure fa ricorso a diuretici e lassativi. Perché si diagnostichi un DCA (disturbo del comportamento alimentare) questo comportamento dev’essere frequente, per esempio almeno due volte alla settimana per tre mesi. 

 

Questi comportamenti incidono inevitabilmente sulla forma fisica: non è detto che il soggetto tenda a dimagrire, perché potrebbe anche restare normopeso, oppure ingrassare, o ancora veder ripetutamente oscillare il proprio peso anche di parecchi chili. 

 

Oltre alle conseguenze fisiche, ci sono quelle psicologiche. Con il passare del tempo, la persona bulimica tende a provare vergogna e disgusto per i propri comportamenti, isolandosi dagli altri e focalizzando tutta la propria attenzione sul cibo.

 

Il trattamento

A chi rivolgersi per curare un disturbo del comportamento alimentare come l’anoressia nervosa? “Di solito la prima richiesta di aiuto viene indirizzata al pediatra di libera scelta o al medico di base”, chiarisce la professoressa Anna Ogliari.

 

Dopodiché, la presa in carico avviene attraverso un team multidisciplinare composto da figure diverse: un medico, che può essere un neuropsichiatra per l’età evolutiva o uno psichiatra per l’età adulta; uno psicologo o psicoterapeuta formato alla cura dei DCA; un nutrizionista con una formazione specifica. A questa triade devono essere affiancate quelle figure che consentono la diagnosi del disturbo (come il pediatra o l’endocrinologo, appunto) che servono a meglio ridefinire il problema fisico e nutrizionale e consentire una presa in carico a 360 gradi”. 

 

Il supporto e le strategie di intervento

Prendere in carico il paziente, ci tiene a precisare la professoressa Anna Ogliari, significa anche prendere in carico la sua famiglia. “È necessario un supporto alla famiglia che aiuti genitori e fratelli a identificare i comportamenti e le modalità comunicative da tenere, per esempio per quanto riguarda i comportamenti da tenere durante i pasti o le discussioni.

 

Per mostrarsi interessati e partecipi non è necessario usare toni giudicanti o frasi come "Cerca di mangiare di più". Una frase del genere può avere un effetto boomerang che porta a una maggiore chiusura. È molto più empatico provare a dire: Sono preoccupato per te perché ci sono comportamenti che non ti permettono di essere libero: "come posso aiutarti"?” 

 

Durante il percorso di cura, anche una frase come "Ti vedo meglio" potrebbe risultare inadeguata perché talvolta rimanda a modificazioni del corpo e alla possibilità di aver preso peso. Commentare l’aspetto fisico non è mai una buona idea. È molto più opportuno fare osservazioni come Ti vedo più felice, c’è una luce diversa nei tuoi occhi”. 

 

I disturbi del comportamento alimentare

Di disordini alimentari si parla spesso, ma non sempre in modo corretto. Ad aumentare la confusione è anche il fatto che, molto spesso, una persona possa passare da un DCA all’altro, per esempio alternando anoressia e bulimia, bulimia e binge eating e così via. 

 

Per fare chiarezza ci si può affidare all’ultima edizione del DSM 5, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, che li suddivide in sei categorie diagnostiche principali:

  • Pica, cioè il desiderio incontrollabile di ingerire materiali non commestibili (gesso, legno, terra ecc.).
  • Mericismo, cioè l’abitudine di rigurgitare in bocca il cibo per poi rimasticarlo, ingoiarlo o sputarlo, a fini auto-consolatori,
  • Disturbo alimentare evitante/restrittivo, cioè l’incapacità di alimentarsi in modo corretto e sufficiente a causa di disinteresse o avversione per il cibo,
  • Anoressia nervosa, cioè la restrizione calorica eccessiva dovuta a un’ingiustificata paura di ingrassare o a una distorta percezione del proprio corpo.
  • Bulimia nervosa, cioè l’alternanza di abbuffate e condotte compensatorie (vomito, abuso di farmaci, attività fisica eccessiva).
  • Disturbo di alimentazione incontrollata, noto anche come binge eating disorder e caratterizzato da frequenti abbuffate.

 

I disturbi che fuoriescono da questa classificazione ricadono in due categorie residue:

  • Disturbo della nutrizione o della alimentazione specificato, cioè casi sottosoglia dei disturbi sopra menzionati.
  • Disturbo della nutrizione o della alimentazione non specificato, cioè disturbi per cui le informazioni sono ancora insufficienti.