Le ore da dedicare al sonno

Linee guida internazionali raccomandano un certo numero di ore di sonno (variabile nelle diverse età della vita) in grado di garantire efficacia nella gestione delle proprie attività quotidiane. Quali sono le soglie di tollerabilità e quando si incappa in un disturbo del sonno in base al tempo speso di riposo notturno? Risponde l'esperto.

 

Cosa dicono le linee guida internazionali sulle ore di sonno ideali per stare bene

Quante ore bisognerebbe dormire per vivere una vita soddisfacente, attiva e prevenire, per quel che concerne la qualità del sonno, alcune tra le malattie più diffuse del nostro tempo?

 

Per quanto esistano linee guida internazionali che raccolgano le principali raccomandazioni relative al numero di ore auspicabili e tollerabili di riposo quotidiano in base all’età, non è solo un esito del quoziente tra tempo sonno/vita a rendere il ristoro notturno un elemento realmente rigeneratore per il nostro benessere. Dalla qualità del sonno e dalla regolarità delle sue fasi può dipendere la nostra effettiva capacità di concentrazione, di memoria o, al contrario, rischi di disturbi della sfera psichica e dell’efficienza prestazionale. 

 

Ne parliamo con Luigi De Gennaro, docente e referente del Laboratorio di Psicofisiologia del sonno all’Università La Sapienza di Roma e segretario dell’Associazione italiana di medicina del sonno.

 

In che modo dormiamo

Basiamo il nostro senso di appartenenza a un gruppo sociale, culturale e come popoli secondo specifiche abitudini, ma quando poi si tratta di andare a dormire, la specie umana sembra somigliarsi un po’ tutta.

 

“Noi siamo diversi in mille dimensioni fenomenologiche, ma incredibilmente per quanto diversi, quando comincia la notte di sonno quello che facciamo e quanto lo facciamo è strettamente simile e predicibile – premette De Gennaro –. Vale per tutti gli esseri umani che le fasi del sonno siano distinte da due diverse componenti, la fase REM (acronimo da rapid-eye-movement) in cui più frequentemente si sogna e che costituisce circa il 20% del tempo dedicato al dormire, e una restante
parte, più preponderante, chiamata genericamente “Non REM” (NREM), dove anche qui è possibile accedere al sogno e che per differenza riguarda il restante 80% in un continuum tra superficialità e profondità del sonno”.

 

Le 4 fasi del sonno

Mentre dormiamo nostro corpo passa attraverso diversi stadi del sonno con caratteristiche specifiche che si ripetono ciclicamente.

 

“La nostra notte è scandita a intervalli regolari a successione da quattro fasi del sonno – prosegue l’esperto –:

  • Fase 1 (primo rilassamento, movimento oculare lento, abbassamento della temperatura corporea)
  • Fase 2 (respiro più profondo, si è a tutti gli effetti addormentati)
  • Fase 3 e 4 (aumenta la profondità del sonno, la muscolatura è rilassata)
  • Fase REM (a circa 90 minuti dall'addormento si verifica la prima fase REM che si ripeterà con la stessa cronologia 4 o 5 volte fino al risveglio mattutino, la muscolatura è completamente paralizzata).

 

La capacità recuperativa nell'individuo avviene soprattutto nei primi due cicli completi ed è nella prima metà della notte che si caratterizza un sonno più profondo e di recupero. In linea generale anche nell’insonnia sono presenti queste quattro fasi mentre fanno eccezione coloro che soffrono di narcolessia, in quanto l’ingresso al sonno sembrerebbe giungere direttamente in Fase REM; nella depressione, inoltre, quest’ultima fase giunge con tempistiche anticipate”.

 

Le fasi del sonno nelle diverse età della vita

Che servano 8 ore di sonno al giorno per stare bene è una verità sì, ma fino a un certo punto. Non soltanto nell’arco della vita il corpo inizia a richiedere una quantità di tempo per il riposo fisico e mentale specifico ma anche soggettivamente, l’indicazione non comprende le necessità o l’esigenza di recupero individuali.

 

“Nei primi mesi di vita e poi con l’anzianità assistiamo a grandi differenze nell'organizzazione sonno – chiarisce il segretario Aims –. I neonati dormono per circa i 2/3 del tempo complessivo sommando brevi intervalli di pisolini fino a raggiungere anche le 18 ore giornaliere.

 

Nell’infanzia e fino ai 10 anni si dorme in media circa 10 ore mentre nell’adolescenza il tempo si riduce ancora di circa un’ora. E’ nell’età adulta che il sonno ideale è stimato di circa 7-8 ore. Con l’avanzare dell’età, le fasi stadio 3 e 4 tendono a ridursi progressivamente fino quasi a scomparire e ciò evidenzia come mai, pur nell’invecchiamento fisiologico, si abbia un impoverimento nell'architettura del sonno perché si riduce il tempo 'ristorativo' del sonno più profondo.

 

Questo non significa che gli anziani dovrebbero genericamente dormire di più, anzi. Spesso l’anziano somma al sonno notturno il sonnellino pomeridiano e questo in parte permette un parziale recupero. E’ la qualità del sonno a essere generalmente peggiore nelle persone anziane: i risvegli notturni aumentano in maniera spontanea e fisiologica”.

 

Alcune ricerche stimano che una percentuale compresa tra il 40% e il 70% degli anziani potrebbe avere problemi cronici legati al sonno in grado di interferire in modo significativo con le attività quotidiane e ridurre la loro qualità di vita.

 

"In particolare, dolori diffusi, necessità frequente di andare in bagno, apnee notturne, sindrome delle gambe senza riposo e disturbi dell’insonnia sono tra le principali cause di un sonno di scarsa qualità. Anche il ricorso frequente a pisolini diurni altera i ritmi circadiani” conclude il professore de La Sapienza.

 

Lunghi dormitori e brevi dormitori, chi sono

Le linee guida del National Sleep Foundation includono intervalli consigliabili, tollerabili e quantità di sonno fuori dalle raccomandazioni. Questo significa che chi dorme in misura non conforme agli standard soffre di un disturbo del sonno?

 

“Consideriamo alcuni esempi noti al grande pubblico e che potremmo definire a limite – aggiunge De Gennaro –: il celebre golfista americano Tiger Woods dorme mediamente 4-5 ore sulle 24 mentre lo svizzero Roger Federer, campione del tennis, dorme 11-12 ore al giorno. Questi due soggetti sono classificabili tipicamente come brevi dormitori, nel caso di Woods, e lunghi dormitori, come lo è Federer. Non siamo di fronte a patologie perché non si tratta di insonnia e né di ipersonnia. La loro condizione ci dimostra che nonostante le indicazioni più generali e certamente valide, la risposta più semplice, e quindi più onesta, al quanto dovremmo dormire è che dovremmo dormire il numero di ore che serve a garantire un livello di efficacia ottimale durante il giorno. 

 

Una componente tra coloro che si dichiarano insonni deriva proprio dalla falsa credenza che se non si dorme almeno 8 ore al giorno allora non si è riposato abbastanza. Leonardo Da Vinci dormiva un totale di circa 4 ore al giorno scandite in blocchi di 30 minuti circa ogni 3 ore e mezza mentre tra i lunghi dormitori famosi c’è Albert Einstein, mai meno di 11 ore al giorno”.

 

Ore di sonno e recupero cerebrale

Il buon riposo fa bene alla mente, ma in che modo? “Il principale recupero che avviene mentre dormiamo riguarda il cervello, non il resto del corpo – commenta lo psicologo –. Il sonno svolge una funzione biologica primaria al punto che gli dedichiamo un terzo del tempo della nostra vita. Sarebbe davvero un grande spreco se non fosse utile.

 

Nel sonno profondo avviene la massima parte di eliminazione dei prodotti di scarto dell'attività cerebrale: il cervello nel suo funzionamento continuo produce materiali di scarto come la proteina amiloide, uno dei marcatori cellulari della malattia di Alzheimer. Quello che non si sa è che questa alterazione nella produzione maggiore della proteina amiloide è tipica degli anziani in generale e la scarsa quantità di sonno indica una parziale mancanza di questo spazio elettivo. 

 

Questo territorio di ricerca è promettente perché le demenze sono realmente presenti nella popolazione mondiale in misura incrementale e la modifica di alcuni fattori causali potrebbe portare a interessanti progressi. Anche per questo motivo non dovremmo accontentarci della quiescenza, di starcene tranquilli sul divano, per pensare di ottenere quel vero riposo che ciascuno di noi si merita ogni giorno della sua vita”.

 

Le fasi del sonno e la qualità del sonno in ottica di genere

Come dormono le donne? “Le donne dormono diversamente e la prima differenza sta nell’esposizione maggiore ai disturbi – commenta il professore a La Sapienza –. Prendiamo ad esempio l’insonnia, un disturbo prevalente che interessa un italiano su 8 nel corso della vita in forma cronica, ossia se dura almeno tre mesi consecutivi: se andiamo ad approfondire il rapporto fra generi, notiamo che il rapporto è quasi raddoppiato nella popolazione femminile. 

 

Questo elemento, inoltre, è spesso associato a disturbi depressivi e di ansia ed è stato dimostrato come insonnia, depressione e ansia siano in rapporto stretto e non unidirezionale: chi è insonne ha più probabilità di sviluppare disturbi depressivi ma allo stesso tempo chi soffre di ansia, panico e di depressione è maggiormente esposto al rischio di insonnia”.

 

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Com'è cambiato il sonno degli italiani durante la pandemia

Diversi osservatori hanno denunciato un aumento generalizzato dei disturbi del sonno nel periodo della pandemia da Covid-19. In che modo Sars-Cov-2 ha influenzato le abitudini al riposo degli italiani?

 

“La pandemia ha riguardato e riguarda tuttora un intervallo di tempo piuttosto lungo e non monotonico – precisa De Gennaro –: in primavera 2020 c’è stata la fase più critica associata a provvedimenti restrittivi come il lockdown totale e studi hanno documentato fino al 50% in più di persone che lamentavano disturbi del sonno in una curva stabile in diversi paesi del mondo. 

 

Allo stesso tempo sono state dichiarate forti alterazioni dell’esperienza onirica: sogni e incubi, i cosiddetti pandemic dreams, hanno di fatto rappresentato una finestra elettiva in cui vedere le conseguenze della pandemia nella nostra vita mentale. Successivamente abbiamo potuto appurare che tutto non è tornato come prima e ce lo suggeriscono l’aumento vertiginoso del consumo sonniferi che ha sfiorato un + 30% anche dopo i lockdown. Lo stesso è avvenuto con il boom degli integratori per dormire, molti dei quali di nessuna efficacia comprovata, ma a dimostrare la forte domanda di cura nella popolazione.

 

La sfida attuale e futura è invece legata al Long covid, sindrome ormai da tempo riconosciuta dall’Organizzazione mondiale della sanità e che riguarda le persone guarite dall’infezione anche. Sono stati censiti fino a 50 sintomi associati e diversi dei quali riguardano proprio la qualità e la durata del sonno e rappresentano una traccia dei costi che questa pandemia ancora sta avendo sulla salute pubblica.

 

La numerosità dei sintomi da long covid non sembra abbia rapporto di correlazione rispetto alla severità della malattia e questo comporta. La
sindrome ha anche implicazioni sociali in quanto le persone si stanno associando in gruppi di pazienti e chiedono il riconoscimento del loro status”.

 

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L’intervistato è Luigi De Gennaro, segretario dell’Associazione italiana di Medicina del sonno (Aims) e docente referente del Laboratorio di Psicofisiologia del sonno all’Università La Sapienza di Roma.

L'Aims dispone di specialisti e centri per il sonno su tutto il territorio nazionale.

 

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